«Marta è una bambina impegnativa, non perché sia particolarmente ingestibile o capricciosa, ma è insaziabile. La sua “fame” di conoscenza molto spesso ci sorprende e nello stesso tempo ci sfinisce: non è concepito giocare nei pomeriggi con bambole, principesse, macchinine perché il suo tempo libero è dedicato a libri, colori, disegni, mattoncini; i cartoni animati sono stati sostituiti da film e le nostre serate sono animate da infinite chiacchierate e sfide a “Uno”; insomma queste particolarità che la contraddistinguono a volte hanno messo in discussione il nostro lavoro di genitori».
Marta ha 5 anni ed è una bimba plusdotata. Quella appena descritta dalla sua mamma Milena sulla sua pagina Facebook è la sua “giornata tipo”. Da quando, pochi mesi fa, è arrivata la diagnosi che ha certificato la plusdotazione, la scelta di condividere la sua storia attraverso i social è stata naturale, per quanto non scontata, per fare rete insieme ad altre famiglie.
«La plusdotazione è ancora un tabù – spiega Milena – nonostante nella nostra società il tema della diversità sia ormai un tormentone, si fatica invece ad accettare coloro che vivono una diversità invisibile, quasi da far invidia. Si rischia infatti di non trovare negli insegnanti, nella comunità, degli interlocutori aperti, informati, pronti all’ascolto e al confronto e finire per essere giudicati semplicemente come persone in cerca di gloria, o genitori che vogliono esaltare il proprio figlio».
Già. Se ne parla poco. E sebbene si faccia fatica a crederlo, essere plusdotati non significa aver vinto alla lotteria e assicurarsi automaticamente un futuro radioso e di successo per i propri figli. Forse è proprio questo il primo equivoco in cui si rischia di cadere. Non bisogna chiamarli “geni”. Spesso questi ragazzi hanno solo bisogno di essere capiti e compresi, come accade al protagonista de “La Fisica degli Abbracci”, l’ultimo libro di Anna Vivarelli, (Uovonero Edizioni, 2021, €14,00). Will scrive che “A nove anni sono entrato a Cambridge e a undici mi sono laureato. A dodici anni tenevo un corso al Trinity College sulla teoria dei campi e mi specializzavo in fisica delle particelle. A quattordici anni, sette mesi e sette giorni sono morto”. Will, ragazzo dalle performance eccezionali, però, avrebbe solo bisogno di una vita “normale”, di persone che sappiano stargli accanto, come Dora, una badante rumena, incontrata per caso.
A causa della scarsa conoscenza di questa realtà – plusdotazione o “giftedness” – è difficile anche arrivare al percorso che porta all’approfondimento con strutture specializzate. I genitori spesso non sono guidati e sono lasciati soli. «Pur avendo capito da subito che Marta aveva un’intelligenza fuori dal comune – racconta ad Alley Oop – in famiglia si tendeva a collegare queste sue capacità solo al fatto che crescesse con me che, dopo aver perso il lavoro, ho ricominciato a studiare. “Marta è sempre con gli adulti”, “Marta ascolta la mamma che studia” erano le frasi ricorrenti per spiegare il suo linguaggio ricco e decisamente sorprendente per una bambina così piccola». Comportamenti e abilità venivano, in un certo senso, ridimensionati e ricondotti a questa condizione in cui Marta stava crescendo. Aveva iniziato a parlare a 6 mesi. A 18 mesi già conosceva l’alfabeto in italiano e in inglese. Adesso impara a memoria in un giorno e mezzo le poesie che le maestre insegnano in classe. Fa domande su domande, e durante una conversazione non accetta di essere “liquidata” con una risposta secca, come a volte si fa con i bambini per chiudere in fretta.
Anche Riccarda, mamma di Luca, non aveva mai sentito di plusdotazione. «Stavo parlando a un’amica olandese di alcune caratteristiche di Luca – racconta – che a 5 anni aveva imparato a scrivere e a leggere da solo – infatti lo chiamavamo il “filosofo” – amava giochi come la dama. Mi disse che probabilmente era “gifted”. Io non sapevo davvero di cosa stesse parlando. Così decisi di fargli fare il test e scoprimmo che davvero era così. In Italia nessuno mi aveva segnalato questa ipotesi e penso che sia un gran peccato. Sapere che le sue caratteristiche avevano un “nome” ci ha dato un contesto e delle informazioni importanti, ci ha guidato nelle scelte, ad esempio Luca ha iniziato a suonare pianoforte – che gli piace tantissimo – aggiunge – così come abbiamo guardato a scuole che potessero seguirlo in maniera personalizzata e non standardizzata perché lui impara in modo diverso».
«Aver ricevuto la diagnosi è stato come un salto nel vuoto, e questa è l’immagine perfetta per rappresentare il giorno in cui è terminato il percorso psicologico e cognitivo di Marta. Felicità, soddisfazione, paura, ansia, provavo mille emozioni contrastanti leggendo le pagine di quella relazione – commenta Milena – anche se in futuro ho paura che non venga capita».
«Non chiamateli “geni”, anche se molte volte fanno cose geniali – spiega Raffaella Silbernagl, ceo e founder di Feed Their Minds, start up innovativa a vocazione sociale che si occupa della valorizzazione di questi bambini e ragazzi, e di formazione e consulenza per le scuole e per le famiglie – hanno un modo diverso di pensare, e per questo è preferibile usare l’espressione “different thinkers”. Si calcola che gli alunni ad alto potenziale cognitivo siano tra il 5 e l’8% della popolazione scolastica, in totale 400.000 studenti in Italia, 1 o 2 per classe». Si parla nello specifico di plusdotazione quando il Q.I. è maggiore o uguale a 130, di Alto Potenziale Cognitivo quando il Q.I. è maggiore o uguale a 120. Ma non è solo questo l’unico indicatore da tenere presente: «Hanno una grande memoria – aggiunge Silbernagl – sanno mantenere a lungo la concentrazione e sono naturalmente predisposti all’apprendimento. Inoltre, sono grandi sognatori ma sono capaci al tempo stesso di fare anche due o tre cose contemporaneamente. Da piccoli sono già in grado di parlare di cose astratte, come la morte o l’eternità, e si preoccupano di cose inconsuete per la loro età».
«La giftedness – scrive in una nota la professoressa Maria Assunta Zanetti dell’Università di Pavia – è uno speciale tipo di intelligenza caratterizzata non solo da alto QI e aumentate funzioni esecutive, ma anche da un’eccezionale creatività e alti livelli di motivazione in tratti specifici. Una delle principali caratteristiche dei gifted è una performance superiore rispetto ai pari in test cognitivi e misurazione della creatività. Tale caratteristica dimostra una maturazione cognitiva maggiore rispetto ai pari. L’intelligenza è dunque un costrutto sociale in cui la genetica propone, l’epigenetica dispone». E’ l’insieme di stimoli e di sollecitazioni adeguate ricevute dall’ambiente a fare la differenza. Non solo a casa e in famiglia, ma anzi soprattutto a scuola.
Immaginate la vita in classe di uno studente o di una studentessa con queste qualità. Non è facile. Potrebbe annoiarsi perché ha un ritmo di apprendimento diverso da quello dei compagni. Potrebbe avere difficoltà a inserirsi nel contesto classe perché ipersensibile, con un forte senso della giustizia e di interiorizzazione delle regole: talvolta, proprio per questo motivo, si verificano anche episodi di bullismo nei suoi confronti. Per il loro irrefrenabile desiderio di apprendere potrebbero essere scambiati per “iperattivi”.
«La paura più grande che ho è che mio figlio Luca, come accade a molti bambini plusdotati, perda l’interesse per la scuola – riprende Riccarda – e ne resti fuori. Ad esempio, un giorno, tornando a casa, mentre frequentava la quarta elementare ci ha chiesto di “saltare” la quinta perché temeva di annoiarsi. È stato un iter difficilissimo fargli fare direttamente l’esame della quinta perché per lo Stato italiano questa possibilità non è contemplata. È come se essere plusdotati sia un tale vantaggio che non ha bisogno di essere riconosciuto, mentre in realtà sappiamo benissimo che non è così. Ultimamente mi capita di interfacciarmi con molte mamme che hanno problemi a scuola con i loro bambini, che sono ipersensibili, indisciplinati, faticano a stare attenti, e io faccio presente la mia esperienza, invito a fare il test e puntualmente viene fuori che non sono bambini problematici, ma plusdotati».
Occorre ricordare che il ministero della Pubblica Istruzione ha emanato il 3 aprile del 2019 la Nota n. 562 con cui i “gifted children” sono stati inseriti nella categoria Bes (Bisogni Educativi Speciali), sottolineando la prospettiva della personalizzazione degli insegnamenti, la valorizzazione degli stili di apprendimento individuali e il principio di responsabilità educativa, da realizzare attraverso un PdP (Piano Didattico Personalizzato) per un’ottica pienamente inclusiva.
«E’ importante continuare a parlarne e a sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo della scuola che spesso non è adeguatamente formato – precisa Silbernagl, anche lei madre di un ragazzo plusdotato – e creare un trait d’union tra la scuola e la famiglia per un’interazione positiva finalizzata a sostenere questi ragazzi. Durante la pandemia hanno sofferto tantissimo e così sarà in futuro se il tema non sarà gestito e affrontato».
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