La pandemia e l’adolescenza messa nel freezer

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Marco ha 11 anni e passa il tempo ad annoiarsi. “Certo ogni tanto esco con lo skate e incontro qualche amico, ma tutto il resto è noia”, dice, involontariamente citando una canzone di quasi cinquant’anni fa. Sta a casa con la mamma e la sorella, stretto a loro sul divano davanti alla televisione. Prima giocava a calcio, si divertiva con i suoi videogiochi preferiti, ma adesso anche questi sembrano annoiarlo. Niente sport, niente gite, nessuna prospettiva di incontro con le “femmine”. “Non ha nessun interesse”, racconta la mamma. Aveva messo il naso fuori dalla porta dell’infanzia, ma è stato costretto a fermarsi e a fare un passo indietro.

Stefania di anni ne ha 15, ha trascorso i mesi del lockdown in montagna e nelle vacanze estive si è divertita. Tra ottobre e novembre, però, qualcosa è cambiato: “Sarà la fatica di adattarsi continuamente… ma non mi piace più stare in mezzo agli altri”. Ha iniziato ad avere paura dello “sguardo che ti giudica”, terrore delle interrogazioni in presenza e di “fare delle figuracce”. Vorrebbe che tutta questa situazione finisse, tornare ad avere una vita “normale”, ma al tempo stesso racconta che così “sta bene“, “molto meglio la DAD e molto meglio stare in casa”. Le giustificazioni per rimanere nella sua stanza, anche quando è possibile uscire, iniziano a moltiplicarsi.

Luca invece è irritabile e arrabbiato tutto il tempo. Segue le lezioni online la mattina e poi prova a studiare, ma “la mia vita è stata messa nel freezer”. Ha 16 anni e si percepisce che dentro ha un motore acceso, pronto ad andare a tutta velocità ma, come una figura in un quadro di Hopper, è immobile, in una posa carica di tensione. Un amore mai dichiarato per una ragazza di una classe accanto alla sua, che vede a singhiozzo tra una DAD e l’altra, tanta voglia di muoversi e dare sfogo alle energie che sente nel corpo, compresse in un tempo domestico che scorre immobile, tra mancanza di privacy, litigi con il padre e scoppi di rabbia. Difficile trovare concentrazione e motivazione, e il rendimento scolastico precipita. A casa, poi, fatica a seguire il programma: “Ho tanti compiti, poi spiegano veloce e io non riesco a starci dietro”.

Come stanno gli adolescenti in questo periodo di pandemia? A confronto con gli adulti, i ragazzi sono stati maggiormente protetti dal rischio di ammalarsi e di essere ricoverati, ma sono tra i più esposti agli effetti indiretti di questo periodo. Sono stati sottoposti a innumerevoli fattori stressanti (minaccia alla propria salute e a quella delle persone care, chiusura delle scuole, confinamento in casa, lutti, preoccupazioni economiche e incertezza per il futuro, per citarne solo alcuni) e contemporaneamente privati dei principali fattori protettivi come contatto con gli amici, attività piacevoli, sport, in molti casi anche accesso ai servizi di supporto psicologico.

L’adolescenza rappresenta un terreno particolarmente sensibile allo stress e al suo impatto, non solo perché il cervello è massimamente plastico, pronto a ricevere ogni sollecitazione. Gli adolescenti, infatti, sono alle prese con delicati snodi evolutivi dai quali dipenderanno il loro definirsi come individui nel mondo (identità), la consapevolezza del proprio valore (autostima), la capacità di farcela da soli e quella di chiedere aiuto (indipendenza), la regolazione delle emozioni e la relazione con l’altro (amore e intimità). In questo particolare momento della crescita, isolamento e solitudine rappresentano un rischio elevato, sia per la salute mentale sia per quella fisica. Allo stesso tempo, finita questa pandemia, uscire di casa e tornare a incontrare gli altri per molti non sarà facile.

I tanti studi pubblicati dai ricercatori, in Italia e nel mondo, che evidenziano la presenza di una significativa percentuale di difficoltà psicologiche negli adolescenti rappresentano allora un punto di partenza per riflettere. 

Molte di queste indagini sono state condotte su campioni limitati e non rappresentativi (una ricerca online, ad esempio, molto spesso si rivolge ad un campione non rappresentativo della popolazione di riferimento); fotografano una situazione in un dato momento senza poterne seguire l’evoluzione nel tempo; si basano su condizioni psicologiche auto-riferite (ossia raccolte attraverso questionari e non supportate dalla valutazione di esperti) e non dispongono di un termine di paragone, ad esempio dati pre-pandemia riguardanti lo stesso campione. La maggior parte di quelli a disposizione oggi, poi, si limitano ad analizzare gli effetti psicologici del primo lockdown. Per capire questi primi risultati e individuare i fattori sui quali intervenire, dovremo dunque continuare a monitorare l’andamento di queste difficoltà e valutare altri fattori, che gli studi ancora non considerano o considerano solo in parte.

Purtroppo, da diversi anni i dati sulla diffusione dei disturbi psicologici tra gli adolescenti sono poco rassicuranti, come abbiamo avuto modo di commentare anche su questo blog. Mettendo a confronto i dati del 2004 e del 2017, il National Health Service inglese ha osservato un aumento del 49% nelle difficoltà emotive in età evolutiva. Le difficoltà sono ulteriormente cresciute tra il 2017 e il 2020, passando dal  10% al 16%. Possiamo dunque ipotizzare che le difficoltà dei ragazzi avrebbero continuato a crescere, indipendentemente dalla pandemia.

Di grande interesse anche gli studi che mettono a confronto il 2019 e il 2020: uno studio italiano, ad esempio, ha registrato un aumento negli accessi al pronto soccorso per intossicazione dal alcol da parte degli adolescenti. Similmente, un’indagine condotta da un autorevole team di esperti australiani ha osservato un aumento – per quanto modesto – nelle difficoltà ansiose e depressive. Tra i fattori che maggiormente possono aver contribuito a queste problematiche psicologiche sono stati individuati le preoccupazioni legate al Covid, le difficoltà nell’apprendimento online e l’aumento della conflittualità con i genitori (le stesse di cui ci parlano i ragazzi nei loro racconti).

Tuttavia, avvertono i ricercatori, non siamo ancora usciti da questa pandemia: l’instabilità e lo stress continuano ad incidere sulle vite di tutti, incluse quelle dei ragazzi. Non sorprende allora che i picchi nell’aumento delle problematiche emotive, attentive e comportamentali tra gli adolescenti si abbiano in coincidenza del primo e del secondo lockdown, come evidenziano i ricercatori dell’università di Oxford, coordinatori di uno tra i più importanti studi internazionali, avviato lo scorso marzo e la cui ultima rilevazione risale a febbraio 2021.

Non mancano, poi, risultati inattesi. Il 27% dei ragazzi coinvolti in uno studio inglese, dopo il primo lockdown dichiarava di stare meglio di prima. I ricercatori hanno ipotizzato che gli studenti di scuola secondaria abbiano percepito in maniera più limitata le restrizioni relazionali imposte dalla quarantena, data l’intensa comunicazione attraverso i social e, con la chiusura della scuola sia diminuita la pressione scolastica, benefica per alcuni. E’ possibile allora che la pandemia per alcuni adolescenti abbia costituito una condizione più favorevole al benessere? Se sì, questi studi possono aiutarci a capire perché già prima della pandemia la sofferenza psicologica dei ragazzi era in aumento?

La situazione è complessa e se i dati quantitativi sono di aiuto, per comprenderla appieno dovremo anche ricorrere ad analisi qualitative, che ci aiutino a cogliere le sfumature nei racconti di Stefania, Luca e Marco e il significato di queste adolescenze sospese, che rischia di perdersi nelle analisi aggregate.

Cosa ci dicono complessivamente questi studi? Che sebbene il quadro sia ancora incompleto e trarre delle conclusioni sia prematuro, è necessario agire fin da oggi a livello preventivo per supportare situazioni di sofferenza psicologica che rischiano di trasformarsi in problematiche persistenti. Oltre ai fattori di stress, dovranno essere analizzate condizioni di vulnerabilità individuale e familiare. La capacità di affrontare le avversità della vita, a maggior ragione in bambini e adolescenti, non è un tratto individuale, ma un fenomeno che nasce e cresce nelle relazioni e nei contesti.

E invece c’è un silenzio preoccupante su questi temi nell’attuale dibattito pubblico. Non di allarmi e allarmismi abbiamo bisogno, ma di comprensione della sofferenza che stiamo attraversando, di luoghi di ascolto e di prevenzione. Sempre più, la politica dovrà occuparsene e operare scelte che tengano conto di queste difficoltà psicologiche e della pesante eredità che la pandemia sta lasciando agli adolescenti, gettando un’ombra lunga sul loro futuro. Ripensare i servizi di aiuto per gli adolescenti e rafforzarli rappresenta una priorità, così come offrire immediato sostegno alle famiglie e agli insegnanti.

Compito dei ricercatori sarà quello di continuare a monitorare i fenomeni, trasformare i dati in informazioni e le informazioni in conoscenze utilizzabili nelle decisioni che riguardano bambini, adolescenti e famiglie. Con uno sguardo rivolto alla salute fisica e uno allo stretto laccio che lega il benessere della mente a quello del corpo. Perché non esiste salute senza salute mentale.

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