“Nel piano del recovery fund o della next generation Eu, come pilastro fondamentale, decideremo di investire fortemente sulle famiglie e sulla demografia, oltre che sul lavoro femminile come motore di sviluppo“. A ribadirlo, lo scorso sabato, è stata la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, intervenendo al Festival dell’Economia Civile di Firenze.
Il lavoro femminile. Ce lo hanno ripetuto in mille modi: dalla task force guidata da Vittorio Colao ai ministri. D’altra parte è talmente lampante che sia la gamba zoppa di un’economia che dovrà fare i conti con i postumi del Covid. In Italia continua a lavorare meno di una donna su due e il rischio è ch,e con questa recessione e le scuole a intermittenza, la percentuale scenda ulteriormente.
Donne senza occupazione
L’indicatore principe della situazione femminile dei diversi Paesi al mondo è certamente il Global Gender Index elaborato dal World Economic Forum. L’evoluzione storica degli ultimi anni ci racconta come l’Italia, dopo un dalzo nel 2018 al 70esimo posto dall’82esimo del 2017, grazie proprio alla crescita del numero di donne nei board, è tornata l’anno successivo a scivolare nella classifica attestandosi al al 76esimo posto su 153 Paesi, solo una tacca più su del posizionamento che avevamo nel 2006.
A penalizzarci, se servisse ribadirlo, è la mancanza di opportunità di partecipare all’economia del Paese a cominciare dal tasso di occupazione. In Italia lavora ancora meno di una donna su due. E a dicembre 2019 un campanello d’allarme era stato suonato dal governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco: «Negli ultimi 20 anni numerosi studi, inclusi quelli prodotti in Banca d’Italia hanno messo in luce i molteplici benefici che derivano da una maggiore presenza e una più piena valorizzazione del contributo delle donne nell’economia e nella società» ha sottolineando, aggiungendo la costatazione però che «il raggiungimento della parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontano». In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, il divario fra tasso di occupazione delle donne e quello degli uomini è del 18,9%, in Europa fa peggio solo Malta.
La situazione peggiora, “naturalmente”, se le donne hanno figli. In Italia l’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato. Un dato che è quasi tre volte la media dell’Ue pari al 3,7%. Il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57% a fronte dell’89,3% dei padri. Ma a guardare bene lo spaccato per livello di educazione il divario è davvero notevole fra l’80% del tasso di occupazione delle laureate e il 34% di coloro che hanno la terza media o meno ancora, secondo i dati diffusi dall’Istat dal titolo “Conciliazione tra lavoro e famiglia/Anno 2018”, pubblicato a metà novembre 2019 .
L’occasione del Recovery Fund
Si potrebbe, quindi, iniziare proprio da qui, dall’occupazione femminile, ma inserendo le misure in un piano organico che veda seduti allo stesso tavolo i responsabili dei diversi dicasteri: dalla ministra delle Pari opportunità e della famiglia Elena Bonetti al ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina al ministro dell’Economia e della finanza Roberto Gualtieri, dalla ministra del Lavoro e politiche sociali Nunzia Catalfo alla ministra per le Politiche agricole alimentari, forestali Teresa Bellanova. Perché un piano organico che possa piantare i semi di un cambiamento radicale andrebbe concertato dalle diverse anime del governo, che potrebbero mettere a fattor comune le singole iniziative in un quadro più ampio e coordinato.
L’occasione per un’iniziativa risolutiva è certamente fornita dal piano post Covid-19 e dal Recovery Fund. «Non sarà una valutazione solo quantitativa quella relativa ai progetti. Le infrastrutture sociali, come le dotazioni di asilo nido, non solo rendono la società più giusta ma hanno anche un forte impatto sul Pil e sulla crescita. Se si liberano le donne dal lavoro di cura non pagato e si sostiene l’occupazione femminile non solo si fa un atto di giustizia ma si sostengono le principali carenze strutturali dell’economia italiana. Sostenere le donne è una grande riforma strutturale» ha sottolineato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri in audizione davanti alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera sul Recovery Fund.
L’intenzione c’è, ora la questione è che non si esaurisca in una parziale detassazione del lavoro femminile o in qualche incentivo sporadico alla formazione e all’imprenditorialità. Il Recovery fund, con le risorse spendibili in sei anni, consente di avere un orizzonte temporale lungo e di andare oltre una semplice manovra finanziaria di fine anno. Per questo è necessario agire con diverse leve andando ben oltre il cliché degli asili nido. Dal congedo obbligatorio di paternità portato a 3 mesi dagli attuali 7 giorni a parametri di partecipazioni a gare pubbliche legati al gender pay gap delle aziende (come già deliberato per la regione Lazio), da un’offerta di welfare più strutturato che non pesi più sulle famiglie a una revisione capillare di programmi scolastici e testi adottati nelle scuole per eliminare gli stereotipi di genere.
Sono solo alcune proposte che potrebbero andare nella direzione giusta per portare finalmente l’Italia fra i Paesi più virtuosi in Europa in tema di gender equality. Perché l’Italia può vantare sì un’elevata presenza di donne nei board delle società quotate (36%) grazie alla Legge Golfo-Mosca, ma questo non può essere l’unico fiore all’occhiello del Paese rispetto alla questione femminile.