Cinque domande da farci per scoprire quanto il covid ci abbia già cambiati

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Secondo un recente report Mc Kinsey, dal titolo “Il ritorno: un nuovo muscolo, non solo un piano”, il mondo dei lavoratori post covid si divide in due.
Un insieme comprende tutti coloro che si sono trovati benissimo a lavorare da remoto: più produttivi, meno stressati, più capaci. Il secondo insieme comprende tutti quelli che invece si sono scontrati con la difficoltà di tenere separati gli ambiti e hanno sperato di tornare presto in ufficio per ristabilire dei confini sostenibili tra vita e lavoro.

Non è strano che la stessa esperienza abbia prodotto due reazioni così diverse: le ricerche sulla molteplicità dei ruoli evidenziano il fatto che le persone possono mettere in atto strategie molto diverse per “passare” da uno all’altro. Ma è importante tenerne conto quando cerchiamo di gestire il ritorno in modo uniforme, proponendo a tutti la stessa formula. E’ caratteristico delle situazioni complesse: si può provare a semplificarle, ma ridurre troppo il numero di fattori in gioco rischia di far cadere nel semplicismo, che produce un quadro inesatto della realtà:

aumenta così a dismisura il numero di anomalie: ovvero di fenomeni che la realtà così disegnata non prevede e la cui gestione ha costi molto alti.

Quella dal pre-covid al post-covid è una transizione, e come tutte le transizioni ha la caratteristica della multi-causalità: lo stress che genera non dipende solo dalla pandemia. Entrano in gioco anche fattori individuali, culturali, economici, sociali, che agiscono in contemporanea e a molteplici livelli. Restando nel campo delle transizioni, può essere interessante paragonare quel che ci è successo con l’esperienza che fa una persona che cambia Paese. Secondo Kate Berardo, VP del Leadership Development di Facebook e autrice di “Building Cultural Competence: Innovative Activities and Models”, l’esperienza dei cosiddetti “expat” coinvolge “5 R”. Vediamo quali sono e se possiamo collegarle con ciò che stiamo vivendo in questo periodo:

1) Sono cambiate le nostre Routine? Sono proprio i gesti più quotidiani e scontati a cambiare per primi: sia quando ci si trasferisce che quando ci si mette in quarantena. Allora scopriamo che la maggior parte delle cose familiari ci erano invisibili: le strade, i cartelloni, le insegne dei bar, alcuni gesti ripetitivi. Piccole ancore preziose ad un ambiente noto e confortevole, che ci faceva sentire sicuri. Riconoscere che la loro improvvisa assenza ci causa disagio è un primo passo per abbassare la fatica del farne a meno, mentre ci prendiamo del tempo per identificarne di nuove, meglio ancora se non legate a luoghi specifici, ma che possiamo “trasportare con noi”.

2) Alcune Reazioni degli altri ci hanno sorpreso? Saranno le mascherine oppure il distanziamento sociale, ma non siamo più sicuri di sapere che cosa aspettarci dal nostro prossimo quando lo incrociamo per strada, proprio come se fossimo improvvisamente emigrati in Giappone. Sono cambiati i termini della nostra vita sociale, e sappiamo che ogni persona può interpretarli a modo suo e con diversi grandi di ansia. Per questo, in molti reagiscono a questa incertezza evitando di trovarsi con altre persone, mentre la Berardo suggerisce di identificare una rete di persone più simili a noi che ci aiuti a interpretare le reazioni impreviste e di migliorare le nostre competenze relazionali, come la capacità di comunicazione e di ascolto.

3) Ci siamo scoperti con dei Ruoli diversi e nuovi? Da tempo si sa che avere molti ruoli genera benessere nelle persone, ma come fare quando questi cambiano improvvisamente, magari anche confondendosi, come è successo a molti genitori che sono diventati anche docenti, a docenti che si sono improvvisati conferenzieri digitali, a manager che si sono confrontati con dimensioni personali delle proprie persone che prima ignoravano? Il suggerimento è quello di dedicare del tempo a identificare i nostri nuovi ruoli – e le responsabilità ad essi connesse – e rendere esplicite le aspettative proprie e degli altri.

4) Sapremmo dire quante delle nostre Relazioni sono “cambiate”? Molto di ciò che è stato mosso dal colpo di vento della transizione era visibile, mentre è più difficile identificare che cosa sia cambiato tra noi e gli altri. Ma la sensazione che alcune relazioni si siano “spostate” c’è, ed è importante non ignorarla ma lavorarci: sia per rinsaldare le relazioni importanti, aggiornandole rispetto ai nuovi stati d’animo, che per aprire canali in direzioni diverse, per stabilire nuovi network.

5) Ci è capitato di Riflettere su quanto è successo? La capacità di riflettere è unica della nostra specie: noi possiamo “pensare i nostri pensieri”, ed è un processo fondamentale per elaborare a livello cognitivo quel che ci succede. E’ la riflessione a consentirci di dare nuove cornici – e quindi un senso – a fatti nuovi, permettendoci di ricollocarci nella nuove realtà, con nuove emozioni e sensazioni annesse. Per facilitare questo processo di auto consapevolezza, che è comunque un meccanismo mentalmente faticoso, possiamo per esempio tenere un diario o confrontarci con persone che stanno vivendo qualcosa di simile – e qui, per una volta, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

Anche senza volersi appassionare alla tendenza tutta americana ad accomunare i concetti per allitterazione, il messaggio fondamentale è che quel che ci sta succedendo è complesso: se all’eccesso di semplificazione sapremo opporci con l’arma della conoscenza, potremo uscirne con maggiore chiarezza su chi siamo e su quel che vogliamo.