Hanno giocato tirando calci di rigore imitando gli atleti della Nazionale Italiana Calcio Amputati. Hanno provato che cosa significa il lancio del peso col braccio non dominante. Si sono cimentati nella corsa alla cieca, fidandosi della guida accanto. Ed infine, hanno provato la disciplina più impegnativa di tutte, la staffetta in carrozzina dove i partecipanti, abbinati a coppie, svolgevano “a staffetta” un percorso definito in cui una persona spinge la carrozzina – senza correre, però – mentre l’altra era seduta e a metà del percorso, nella “switch area”, le due persone si invertono.
Sono manager e amministratori delegati delle aziende di Confindustria Dispositivi Medici che, insieme ai loro dipendenti, hanno partecipato alla Medical Device Challenge che si è svolta nel weekend del 12 e del 13 ottobre scorsi presso il Dynamo Camp, sfidando atleti disabili.
Un evento che punta non solo a raccogliere fondi per sostenere le attività di Dynamo per i bambini, ma anche a sensibilizzare chi lavora in un settore strategico come questo, con una ineludibile vocazione sociale: la Federazione raccoglie le imprese (circa 4 mila) che realizzano dispositivi medici (dagli aghi alle TAC negli ospedali passando per protesi e stampanti per organi in 3d) – per un fatturato complessivo pari a circa 17 miliardi – e che determinano un impatto decisivo sulla vita e sul benessere delle persone.
«Con il nostro lavoro riusciamo a cambiare la vita delle persone – spiega Mirella Bistocchi, amministratore delegato della Starkey Italy, società multinazionale Americana Starkey Technologies, dove è entrata nel 1987 prima come responsabile amministrativo – una soddisfazione immensa e un traguardo corale. I 76.400 dipendenti delle imprese dei dispositivi medici che in Italia partecipano al processo di produzione e commercializzazione percepiscono il grande valore sociale del loro operare quotidiano. Il 46% di questi lavoratori, il 6% in più della media dell’industria Italia, è donna, e ciò mi rende ancora più fiera. Costruire qualcosa che fa star bene gli altri comporta una carica emotiva e allo stesso tempo una responsabilità enorme. Un’energia che ci permette di dare il nostro contributo alla rivoluzione della scienza medica con lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate che consentono una medicina predittiva e preventiva, personalizzata e partecipativa accurata e poco invasiva, grazie alla contaminazione tra scienze diverse e all’applicazione delle loro scoperte. Ricerca e innovazione costante su cui investiamo 1,17 miliardi. Il nostro impegno sociale è insito nel nostro fare».
Mirella Bistocchi, che in associazione è stata anche presidente di ANIFA, l’associazione di Confindustria Dispositivi Medici che rappresenta le imprese che lavorano con i prodotti per il sistema uditivo, è stata, infatti, una delle partecipanti alla manifestazione che sottolinea tra i suoi obiettivi quello di promuovere lo sport oltre le barriere ed una cultura dell’inclusione, riconoscendo in prima persona – e soprattutto sperimentando – l’aiuto che i propri prodotti possono dare nella vita delle persone con disabilità.
Lo scorso marzo Bistocchi è stata nominata vicepresidente Confindustria Dispositivi Medici con delega a etica e impegno sociale: «Una grande sfida – ha dichiarato – etica e impegno sociale sono temi articolati e profondi nel modo in cui li vogliamo affrontare. E declinarli vuol dire poter dare a questi concetti un’identità specifica, vuole dire renderli reali, sporcarsi le mani per realizzare un sogno. Etica è soprattutto etica dei comportamenti per imprese che vogliono essere responsabili nei confronti della società e vogliono poter dare il loro contributo per uno sviluppo sociale e culturale oltre che economico. Un percorso lungo che abbiamo iniziato con un codice etico che evidenzia la responsabilità delle imprese nei rapporti con i medici e le strutture sanitarie, e che vogliamo continuare ponendo attenzione al benessere delle persone, dalla fornitura di tecnologie mediche alla social innovation. Da qui la seconda edizione della Medical Device Challenge – aggiunge – e la collaborazione con Dynamo Academy e Fispes per i bambini di Dynamo Camp. E ancora il progetto Africa per i Paesi in via di sviluppo, fatto di formazione e dialogo commerciale. E la riflessione che iniziamo a portare avanti con le nostre imprese per un bilancio sociale».
Il weekend a Dynamo Camp è stata un’esperienza forte e coinvolgente, per tutti. Ciascuno aveva un coach, un allenatore prezioso per affrontare al meglio le prove decisamente impegnative sia sul fronte fisico che psicologico: «Ascolta veramente e concentrati sugli obiettivi – ricorda Bistocchi, citando le parole del coach – bisogna averli chiari per raggiungerli. Sulla “corsa bendata”, in particolare, l’input principale è stato quello di mettere grande attenzione sulla corsa, su ogni singolo passo e sulla capacità di ascoltare l’altro per farci guidare. Prima di salutarci a Dynamo, ognuno ha scritto su delle bandiere le parole che al meglio rappresentano questa due giorni insieme, io mi sono sentita di scrivere semplicemente senza barriere. Un’esperienza totalmente immersiva, di inclusione, ma anche di libertà e leggerezza, di essere e poter fare insieme qualsiasi cosa. Delle quattro la prova che più mi ha spaesato, ma allo stesso è quella che più mi ha colpito positivamente è la “corsa bendata”, pensata per farci vivere l’esperienza degli atleti non vendenti. Un circuito ad ostacoli in cui correre in coppia, uniti da un laccetto al polso, una volta bendati e una volta come guida del compagno “al buio”. Saper di dover affrontare degli ostacoli e non aver la capacità di vederli d’istinto mi ha completamente disorientato, prima di riuscire ad affidarmi all’altro e lasciarmi guidare con fiducia senza pensare».
E, come spesso succede in questi casi, si riceve sempre di più di quanto si dà. Come nel racconto della storia del coach per la prova del lancio del peso (i partecipanti si sono sfidati simulando una gara di lancio del peso, dove vince chi getta il peso, con il braccio non dominante, il più lontano possibile, seguendo i consigli degli atleti e dei tecnici FISPES), significativa per Bistocchi. Una storia di forza e coraggio, che sembra impensabile. «Tante le persone incontrate, diversi gli aneddoti – conclude – ma la storia che più mi ha colpito è quella di Stanislav Ricci, atleta Fispes: il coach che abbiamo avuto per la prova del getto del peso. Un ragazzo alto quasi due metri con una protesi ad una gamba. Diventato, grazie alla sua caparbietà, lanciatore di giavellotto dopo che è stato travolto in moto da un camionista che gli ha tagliato la strada senza rispettare le precedenze e, soprattutto, senza mai chiedergli scusa. Ecco la vita ti cambia in un secondo, ma come dicono gli AC/DC e con loro Stanislav: “It’s a long way to the top, if you wanna roch’n’roll!”».