Minori Stranieri Non accompagnati in Italia: “Abbiamo bisogno di essere ascoltati”

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Dal 2015 più di 55.000 minori stranieri non accompagnati sono giunti in Italia.

Basterebbe questo numero per dare le dimensioni di un fenomeno che è tutt’altro che marginale. Ma di numeri che ci possono restituire la fotografia della realtà ne abbiamo molti altri. Nonostante il calo generale registrato nel 2018, ad esempio, secondo i dati prodotti dalla Direzione generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al 31 dicembre dello scorso risultavano presenti in Italia 10.787 minori stranieri non accompagnati, un calo del 41,1% rispetto allo stesso periodo del 2017. Ben il 60,2% di questi minori ha 17 anni, i sedicenni costituiscono quasi il 25% del totale, l’8% dei minori ha 15 anni e il 7% ha meno di 15 anni. L’incidenza percentuale dei diciassettenni è stabile rispetto allo stesso periodo di rilevazione del 2017, a fronte del lieve aumento della quota di minori con meno di 17 anni (dati tratti dal “Report di Monitoraggio” del 31/12/2018 a cura delle Direzione generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

Su questi dati si è ragionato nel corso della conferenza stampa che si è tenuta questa mattina all’Ara Pacis, partendo dal dossier sui minorenni stranieri non accompagnati nei centri di accoglienza “L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia” 2017/2018, realizzato in collaborazione tra l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), già avviata a partire dal 2017, alla presenza della Garante Filomena Albano e della Portavoce Unhcr per il Sud Europa Carlotta Sami.

I dati sono stati raccolti visitando ventidue strutture in 11 regioni (Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Sicilia, Puglia, Toscana, Abruzzo, Marche, Lazio, Liguria ed Umbria) per un totale di 203 minorenni coinvolti (età media 17 anni, l’84% di sesso maschile) di 21 nazionalità diverse (principalmente Nigeria, Gambia, Senegal, Guinea Conakry, Costa D’Avorio e Mali, i paesi del Maghreb Egitto, Tunisia ed Algeria, Albania e infine, paesi considerati come refugee-producing countries, come Eritrea, Siria, Somalia, Afghanistan e Iraq (23 su 134), portando avanti attività come focus group e attività di partecipazione e ascolto.

«Ascolto e partecipazione sono stati gli assi su cui è stato sviluppato il ricco e articolato piano di lavoro realizzato in questi due anni con UNHCR –  ha dichiarato Filomena Albano – grazie all’ascolto è stato possibile impostare le attività di partecipazione avviate nel 2018. Pur trattandosi di attività sperimentali le azioni hanno rappresentato una grande occasione di crescita. I giovani ospiti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) di Firenze e Pescara ad esempio hanno portato la loro testimonianza ai corsi di formazione per aspiranti tutori volontari. Quelli di Roma hanno partecipato a laboratori di fotografia che sono stati l’occasione per realizzare la mostra Io So(g)no, in esposizione al Museo dell’Ara Pacis dal 19 giugno. Le attività hanno permesso ai minori di sentirsi parte di un processo in cui loro, al pari degli adulti, sono stati parte attiva».

Uno degli aspetti messi in evidenza dal dossier è relativo alla prolungata permanenza dei minori nelle strutture di prima accoglienza, anche di carattere temporaneo/emergenziale, che va ben oltre il termine di 30 giorni fissato dalla normativa (Art. 19 comma 1 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, così come modificato dalla legge n. 47/2017) e si protrae nella maggior parte dei casi fino al compimento della maggiore età. Questa situazione, riscontrata nel 47% dei casi, comporta inevitabilmente l’impossibilità di accedere ai progetti di seconda accoglienza della rete SPRAR, e ai servizi di assistenza e integrazione espressamente previsti per questa categoria di soggetti vulnerabili. Occorre sottolineare come l’attuale capienza offerta dai progetti SPRAR per i minori stranieri non sia in linea con quanto effettivamente previsto dalla suddetta normativa.

«Noi aspettiamo, ma nessuno ci dice se l’attesa durerà un mese, o due mesi, o se alla fine potremo davvero partire» è uno dei commenti raccolti nelle strutture, che può dare anima ai numeri di cui si parla. A cui se ne aggiunge un altro dello stesso tenore: «Se mi dicessero: “Devi aspettare due, tre mesi, ma poi parti”,io aspetto più tranquillo, e nel frattempo posso fare delle cose per preparami alla nuova vita nel paese in cui andrò’… studiare la lingua. Ma se non so nemmeno in che paese andrò, cosa faccio?».

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Ed eccolo un altro nodo cruciale: l’assenza di procedure definite e omogenee per la relocation e il ricongiungimento familiare ai sensi del regolamento (UE) n. 604/2013 “Dublino III” dei minori non accompagnati, insieme alle prolungate attese e all’assenza di informazioni generano un mix non facile da gestire e affrontare, fatto di disorientamento e sfiducia, che produce l’elevato rischio di allontanamenti volontari dalla struttura. Nello specifico, i minori, si legge nel dossier, hanno lamentato la difficoltà e l’angoscia di dover aspettare giorno dopo giorno una risposta riguardo alle proprie domande di ricongiungimento, senza sapere se e quando le loro richieste potranno essere accolte.

Sono ragazzi lontani dalle famiglie e dalle loro case, in un paese straniero, in una delicata fase della crescita e della loro formazione. A conclusione di quasi tutti i colloqui, ciò che è emerso è quasi sempre il bisogno di essere ascoltati da parte degli operatori, il bisogno di essere “presi sul serio” – in un clima di “rispetto” e “gentilezza”, per usare le stesse parole scelte dai minori.

«Quasi la metà della popolazione rifugiata nel mondo è costituita da bambini, molti dei quali trascorrono tutta la loro infanzia lontano da casa – dichiara Carlotta Sami – è molto importante collaborare con i minori stessi per garantire loro protezione, rafforzando i meccanismi di partecipazione attiva nelle decisioni che li riguardano, anche attraverso la collaborazione con le autorità nazionali come AGIA».

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Nel limbo di una prolungata attesa, la carenza di informazioni (riscontrata nell’80% dei centri visitati) e di ascolto si accompagna alla mancanza di attività di socializzazione (sollevata nel 53% dei casi). I minori intervistati hanno evidenziato il problema di non poter giocare in squadre di calcio iscritte alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), poiché per il tesseramento la Federazione richiede la firma di autorizzazione da parte di un genitore (ai sensi dell’art. 19 del regolamento FIFA, per tutelare i minori dal rischio di tratta o sfruttamento). Alcuni minori ascoltati, inoltre, hanno anche riferito di sentirsi insicuri nelle comunità locali, a causa di episodi di intolleranza e razzismo accaduti loro o ad altri minori stranieri loro amici.

Da segnalare che in alcune delle strutture di accoglienza i minori non riuscivano a tenere contatti regolari con le proprie famiglie di origine. «Non sento la mia mamma da due mesi – è uno dei commenti – perché l’ultima volta dovevo decidere se spendere i 15 euro che avevo per comprare un paio di scarpe più adatte all’inverno, o per chiamare a casa. Ma se chiamo a casa e trovo la segreteria telefonica, finisce che non ho parlato con la mia mamma e non ho nemmeno le scarpe».

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In questo contesto, nel 2018 sono state poste in essere attività per favorire la partecipazione e il coinvolgimento dei minori, tenendo presente la finalità di sostenere e realizzare il diritto del minorenne straniero non accompagnato ad essere ascoltato e a prendere parte alle decisioni che lo riguardano, come stabilito dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e dalla normativa internazionale e nazionale di riferimento che quest’anno, il 20 novembre, celebrerà i suoi primi 30 anni dall’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

«La Convenzione pone in capo agli Stati anche una responsabilità di attenzione speciale nei confronti dei minori rifugiati affinché tali diritti vengano garantiti e rispettati in ogni fase della loro vita – scrive Roland Schilling  Vice Rappresentante Regionale UNHCR per il Sud Europa, facente funzioni di Rappresentante Regionale UNHCR per il Sud Europa – nonostante questo però, nel 2018, 29.000 minori non accompagnati e separati hanno chiesto asilo (nei soli 60 paesi in cui UNHCR ha raccolto i dati). La maggior parte di queste richieste provengono da bambini di età compresa tra i 15 ed i 17 anni, ma un numero consistente proviene da bambini di età inferiore ai 15 anni. Nel 2018, a livello globale, sono stati segnalati un totale di 111.900 bambini rifugiati non accompagnati e separati. Questi numeri sono considerati sottostimati. I bambini al di sotto dei 18 anni costituiscono circa la metà della popolazione di rifugiati».