La maschera che indossi, quella della mascolinità tossica

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«Basta lacrime ed emozioni. Impara a dominare e a controllare le persone e le circostanze. È quello che mi ripeteva mio padre. Non mi sentivo abbastanza uomo. Mi sono rifugiato nel football. Ho aderito al modello culturale dominante. Pensavo che manifestando questa super mascolinità in qualche modo avrei avvalorato chi e che cosa ero. Di certo mio padre mi avrebbe rispettato vedendo quanto ero forte e mi avrebbe dato tutto l’amore e le attenzioni che io volevo disperatamente. Vorrei chiedere a ogni uomo di pensare a quale età e in quali circostanze qualcuno gli ha detto di essere un uomo. Credo che sia una delle frasi più distruttive della nostra cultura» dice Joe Ehrmann, coach motivatore ed ex giocatore di football.

La sua testimonianza apre il docufilm “The mask you live in” (in italiano “La maschera che indossi”) della regista americana Jennifer Siebel Newsom, che ha condotto un’inchiesta video sulle aspettative sociali e gli stereotipi di genere che riguardano l’essere uomini. Un lavoro che raccoglie le voci e i pensieri di giovani adulti, ragazzi e le analisi scientifiche di psicologi e psichiatri che discutono sulla mascolinità tradizionale. Un immaginario che ha ripercussioni reali e forse sottostimate. «Fin da ragazzi ci insegnano a nascondere i nostri sentimenti – asserisce Tony Porter attivista ed educatore – Non possiamo dire che abbiamo paura o che ci sentiamo feriti o che siamo tristi».

adorable-blur-boy-1648535La mascolinità è un costrutto sociale, non è un qualcosa di innato o di predeterminato dalla nascita. Lo spiegano bene la neuroscienziata Lisa Eliot e la pediatra Nadine Burke – Harris quando dicono: «A lungo si è creduto che uomini e donne fossero completamente diversi e che ogni differenza sessuale fosse codificata a livello biologico nel cervello. Ma il cervello è plastico e cambia a seconda delle esperienze. È un processo di proliferazione e potatura. Si creano numerosissime connessioni celebrali e quelle usate si rafforzano, mentre quelle meno usate muoiono. Può trattarsi di empatia, aggressività, abilità spaziali o verbali. Le cose su cui il bambino passerà più tempo diventeranno i suoi punti di forza».

È quindi il tipo di educazione a fare la differenza. Secondo lo psicologo Michael Thompson, i test psicologici su ragazze e ragazzi danno esiti uguali al 90%, differiscono solo per i tratti condizionati dagli stereotipi. Ed è sempre la cultura a far percepire a bambini e ragazzi “femminuccia” come un’offesa. «Abbracciamo pienamente una cultura che svaluta ciò che è “femminile” – afferma la psicologa Niobe Way – Abbiamo etichettato come femminili le relazioni, le emozioni, l’empatia, tutte cose importanti. Quindi i ragazzi iniziano a sminuire il loro lato relazionale, i loro bisogni e i loro desideri relazionali; nell’adolescenza il loro linguaggio emotivo scompare».

È la mascolinità tossica a dettare le regole e a chiedere continue dimostrazioni: «In America – dice il motivatore Ehrmann – i ragazzi imparano tre menzogne. La prima è che la virilità è associata alla forza fisica e a un corpo muscoloso e atletico. Essere un uomo non coincide invece con l’abilità sportiva. La seconda riguarda il successo economico. Se però costruisci la mascolinità sul potere e sul possesso, avrai una vita vuota in cui si lotta solo per le cose materiali. La terza bugia consiste nel correlare la mascolinità alla conquista sessuale. “Te la sei fatta?” Queste parole sono state create per conformare gli uomini alla cultura patriarcale».

Il bullismo e l’omofobia derivano da questa virilità velenosa. Chi non si conforma o è diverso spesso viene deriso ed emarginato. In tanti scelgono di indossare la maschera della mascolinità, da qui il titolo del documentario, nascondendo in questo modo la loro vera essenza, i loro sentimenti ed emozioni. «Quando i ragazzi soffrono – sottolinea lo psicologo William Pollock – non sempre riescono a chiedere aiuto perché non è loro permesso. Non sarebbero uomini. La vergogna li costringe a chiudersi. Perciò vivono dietro a quella maschera che impedisce loro di esprimersi appieno».

blur-boy-child-230620Un modello costruito sul dominio, il possesso, l’aggressività e la sopraffazione. È veicolato dai media, dalle narrazioni cinematografiche e tecnologiche. Film e videogame. Sono molti gli studi scientifici a dire che i contenuti violenti portano i ragazzi a insensibilità verso il dolore e la sofferenza altrui e li possono indurre a comportamenti più aggressivi verso gli altri e se stessi. Non sono gli unici effetti che causano violenza tra i giovani e gli uomini adulti, ma sono indicatori da tenere in considerazione.

Negli USA in media un diciottenne ha visto 200 mila atti di violenza sullo schermo, di cui 40 mila omicidi. Ogni ora oltre tre persone sono uccise da un’arma da fuoco; il 90% degli assassini sono maschi, quasi il 50% hanno meno di 25 anni.

Ci sono altri dati che snocciola il docufilm. Il 93% dei ragazzi è esposto alla pornografia su internet, il 68% dei giovani ne fa uso ogni settimana; il 21% ogni giorno. Per molti adolescenti la pornografia è educazione sessuale. Questo significa che è da quel canale che tanti ragazzi apprendono come rapportarsi alle ragazze. L’esposizione alla pornografia aumenta le aggressioni sessuali del 22% e aumenta l’adesione alla cultura dello stupro del 31%. Il 35% degli studenti dei college ha ammesso che commetterebbe uno stupro se riuscirebbe a non essere accusato. Una studentessa di college su 5 è vittima di un tentativo di stupro o di uno stupro completo. Ogni nove secondi negli Stati Uniti una donna viene aggredita sessualmente.

«Io chiamo ciò che facciamo ai nostri uomini e ragazzi – dice l’educatrice Caroline Heldman – “la grande trappola”. Alleviamo i ragazzi per farne degli uomini la cui identità è basata sul rigetto della femminilità e poi ci sorprendiamo se non considerano le donne esseri umani. Quindi li intrappoliamo. Prendiamo i ragazzi e ne facciamo uomini che non rispettano le donne a livello profondo e poi ci chiediamo perché la cultura dominante sia questa».

Qualcosa sta però cambiando e questo documentario lancia un messaggio:

«Ognuno di noi merita di sentirsi una persona integra e completa e ogni di noi può fare la nostra parte per ampliare il significato di cosa significa essere un uomo. C’è libertà fuori dalle rigide definizioni di virilità. Chiediamo agli uomini di parlare e intervenire per essere parte della soluzione. Dobbiamo ridefinire la forza degli uomini non come potere sugli altri, ma come forza per la giustizia. E giustizia significa uguaglianza e correttezza, lotta alla povertà e impegno contro la diseguaglianza e la violenza. Questa è la vera forza».