“Ce la facciamo ad arrivare a cento entro venerdì?”, chiedeva qualche giorno fa l’attivista svedese Greta Thunberg su Twitter. Con “cento” Thunberg si riferiva al numero di Paesi da coinvolgere negli “scioperi” contro il cambiamento climatico programmati in tutto il mondo per venerdì 15 marzo 2019, la giornata dello Sciopero Globale per il Clima (Global Climate Strike).
Un numero – cento – simbolico e allo stesso tempo indicativo dell’ampia portata raggiunta in poche settimane dal movimento scolastico e studentesco per l’ambiente, che trova le sue radici e la sua ispirazione proprio nell’iniziativa della sedicenne svedese. Ad agosto 2018 Thunberg aveva iniziato per prima a “scioperare” da scuola chiedendo al suo Paese un intervento di contrasto al cambiamento climatico. Nel giro di pochi mesi il movimento ha raggiunto una portata globale e un’ampia partecipazione civile: da settimane migliaia di alunni e studenti in diverse città del mondo saltano la scuola ogni venerdì e scendono per strada nel tentativo di sensibilizzare le istituzioni sulla questione climatica.
Fridays for future è il loro ormai celebre slogan. Tuttavia, nonostante la rapida crescita del movimento e dell’attenzione mediatica internazionale, sembra che per il momento le istituzioni non intendano prendere sul serio i manifestanti. In Germania per esempio il dibattito pubblico e politico sembra concentrarsi prevalentemente sulla violazione dell’obbligo scolastico da parte dei ragazzi anziché sui contenuti, l’urgenza e la rilevanza delle loro rivendicazioni. Ma i giovani di Fridays for future sono d’accordo sul fatto che non si fermeranno davanti a nulla.
Che il movimento giovanile per il clima intende fare sul serio emerge con chiarezza se guardiamo alla sua evoluzione fino a oggi. Le foto dello scorso agosto che ritraggono Greta Thunberg seduta davanti al parlamento svedese a Stoccolma accanto al cartello con la scritta “Skolstrejk för klimatet” appaiono oggi quasi iconiche. Da allora l’attivista è intervenuta al vertice delle Nazioni Unite a Katowice, al Forum economico mondiale di Davos e alla sessione planetaria organizzata dal Comitato economico e sociale europeo a Bruxelles, ispirando con i suoi discorsi migliaia di giovani in tutto il mondo e spingendoli così alla mobilitazione.
Thunberg ha inoltre partecipato agli “scioperi” del venerdì in diverse città europee, per esempio a Bruxelles e ad Amburgo. Recentemente è stata addirittura nominata “donna dell’anno” in Svezia, grazie a un sondaggio commissionato dal giornale Aftonbladet.
E il “bello” debba ancora venire: venerdì 15 marzo gli “scioperi” per il clima assumeranno proporzioni mai raggiunte prima. Stando a una lista del network globale di Fridays for future consultabile online e aggiornata costantemente, al momento sono 105 i Paesi che verranno toccati dallo “sciopero” planetario.
In testa alla classifica con il maggior numero di manifestazioni registrate (209) c’è la Francia, seguita dalla Germania (195), che fino a mercoledì guidava la lista, e dall’Italia (178) – dati aggiornati a giovedì 14 marzo 2019. Tra le città tedesche in cui si terranno le marce ambientaliste ci sono Berlino, Monaco di Baviera e Amburgo, ma anche città più piccole come Friburgo, Lipsia e Lubecca. Lo stesso vale per l’Italia, dove alle proteste di Milano, Roma e Napoli si aggiungeranno quelle di Bergamo, Siena e Bari, per fare alcuni esempi.
Soltanto qualche settimana fa abbiamo dedicato un post agli “scioperi” sul clima, sottolineando quanto sia importante che la scuola sostenga i giovani che si impegnano per la salvezza del pianeta, anche a costo di violare l’obbligo scolastico. Tra i compiti della scuola rientra infatti proprio quello di incentivare la formazione di una coscienza civile, politica e ambientale. Ad oggi però è arrivato ben poco sostegno da parte delle istituzioni e della politica su questo fronte.
Poco prima della partecipazione di Greta Thunberg allo “sciopero” Fridays for future del 1° marzo ad Amburgo, la ministra dell’istruzione tedesca Anja Karliczek (CDU) ha strizzato l’occhio ai docenti più conservatori, invitando i giovani al rispetto dell’obbligo scolastico e mettendo i manifestanti sullo stesso piano di chi marina la scuola. Il consiglio scolastico di Amburgo si è detto in linea con le affermazioni della ministra. Anche il presidente dei liberali (FDP) Christian Lindner ha sminuito su Twitter le competenze dei giovani manifestanti, dichiarando che la questione climatica è un “affare da professionisti” e che “chiunque è libero di manifestare, ma al di fuori dell’orario scolastico”.
Peccato che i veri professionisti, ovvero gli scienziati, siano già al fianco degli studenti: “I professionisti siamo noi e diciamo che le giovani generazioni hanno ragione”, ha tuonato Volker Quaschning, professore di energie rinnovabili a Berlino, in risposta a Lindner. Stefan Rahmstorf dell’Istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam ha aggiunto su Twitter: “Alunni e studenti scendono per strada perché i politici, nonostante le belle parole, mancano gli obiettivi sul clima!”. Proprio in sostegno agli “scioperi” del venerdì oltre 12.000 scienziati in Germania, Austria e Svizzera hanno firmato in questi giorni l’appello Scientists for future. Nel testo della dichiarazione si legge: “Le richieste di alunni e studenti sono legittime e ben fondate. Le attuali misure per la salvaguardia del clima, delle specie, dei boschi, del mare e del suolo sono del tutto insufficienti”.
Gli stessi politici che difendono la priorità dell’obbligo scolastico sull’impegno civile spesso definiscono l’iniziativa di Fridays for future in sé ammirevole e condivisibile e spendono parole positive per i giovani manifestanti. Ma si tratta soltanto di un sostegno di facciata e di un atteggiamento paternalistico che in realtà mirano a sviare l’attenzione dalla responsabilità e dall’inattività della politica nell’attuale crisi climatica.
Una politica sul clima che intenda risultare efficace non può però fondarsi su parole volte a creare consenso, bensì su rivendicazioni e misure radicali, destinate a diventare più radicali ogni giorno che passa. A portarle avanti con coraggio e determinazione è per ora soltanto il movimento di Fridays for future. Come dichiarato da Thunberg a Bruxelles, nessuno dei politici da lei incontrati negli ultimi mesi ha preso impegni concreti per contrastare il cambiamento climatico. Ma gli “scioperi” andranno avanti con o senza sostegno di scuola e istituzioni. Thunberg stessa lo ha annunciato soltanto qualche settimana fa con tono fermo dinanzi alla Commissione Europea: “Il nostro tempo sta per scadere e noi non intendiamo fermarci finché non avremo raggiunto il nostro scopo”. E nel frattempo la soglia dei cento Paesi partecipanti allo Sciopero Globale per il Clima è stata superata.
E la mappa delle manifestazioni si è colorata velocemente di bandierine:
Allo sciopero hanno aderito anche i movimenti degli studenti di diverse città italiane.