Disabilità, la solitudine dei caregiver

«Scoprire la disabilità del proprio figlio significa rompersi, come essere umano e come genitore. E poi, provare a ricostruirsi, mentre si naviga in un mare sconosciuto di complessità e incertezze». A parlare è Stefania Dantone, mamma di Davide, un ragazzo di 13 anni, a cui all’età di cinque è stata scoperta una variazione genetica rara. Da quel momento, la vita di Stefania e della sua famiglia è cambiata per sempre. Una storia individuale, eppure universale. Capita a tutti i caregiver, termine che letteralmente significa “colui o colei che si prende cura”. Un ruolo di responsabilità che il più delle volte finisce nell’ombra.

Sui caregiver in Italia non esiste ancora una legge di tutela e sostegno, ma la ministra per la disabilità Alessandra Locatelli ha annunciato proprio in occasione del 3 dicembre, giornata internazionale delle persone con disabilità: «Il tavolo che abbiamo istituito con il Ministero del Lavoro per il riconoscimento dei caregiver familiari e che è composto da più di 50 persone tra esperti, professionisti, associazioni e famigliari, ha ultimato i lavori per la stesura di una proposta normativa che trovi una sintesi tra le diverse posizioni e che dia dignità alle persone che amano e che curano. A breve, dunque, verrà presentata una proposta che partirà dal caregiver familiare convivente, e prevalente, per garantire tutele differenziate e specifiche ai caregiver familiari. Sono molte le azioni che stiamo portando avanti, il prossimo anno sarà molto impegnativo ma la strada è quella giusta».

Secondo lo studio “Opinioni e percezioni sul tema della disabilità” realizzato da SWG per Valore D in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, 8 persone su 10 concordano sul fatto che i caregiver dovrebbero ricevere maggior supporto e riconoscimento economico, psicologico e sociale. Per il 49% delle persone intervistate, infatti, le persone con disabilità dovrebbero essere supportate dallo Stato e dalla sanità pubblica, senza ricadere su figure terze. Eppure, le cose vanno molto diversamente.

Il cammino incerto post diagnosi

«Dal momento in cui si riceve la diagnosi, inizia un lungo percorso a ostacoli in cui non esistono guide. Il passaparola è la via più accreditata per trovare informazioni, ma spesso non la più efficiente. Si finisce per diventare campioni nel compilare documenti su documenti: la burocrazia abbonda quando si parla di disabilità. Un’unica eccezione l’ho trovata in Trentino dove c’è un servizio dedicato di supporto ai caregiver» continua Stefania Dantone.

«Mio figlio ha una disabilità non visibile, una particolarità di funzionamento che ci è stata diagnosticata per la prima volta 15 anni fa. Non sapevamo molto di questo mondo, abbiamo iniziato da soli a fare ricerche, attivando un sostegno privato» – le fa eco Lucilla Fazio, mamma e caregiver, volontaria di un’associazione di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) attiva a livello nazionale. E aggiunge: «La presa in carico delle disabilità non visibili è molto complicata: dislessia, ansia, ADHD, spesso sono sottovalutate, soprattutto a scuola. Questo genera isolamento e disagio. Eppure, un approccio inclusivo all’insegnamento potrebbe far bene a tutta la classe».

La solitudine dei caregiver è anche di natura economica. «Faccio un esempio: per ogni ciclo scolastico è richiesta una nuova diagnosi, ma le neuropsichiatrie sono sottodimensionate e le liste di attesa arrivano anche a due anni. Questo significa dover scavalcare il servizio sanitario nazionale ed effettuare una diagnosi in centri privati. Così, oltre alla solitudine tipica di chi non sa come orientarsi nel mondo delle disabilità, c’è anche il carico economico che pesa ancora una volta sulle famiglie» – denuncia Lucilla.

L’errata percezione delle disabilità

Anche l’indagine di Valore D ed SWG conferma che spesso le disabilità invisibili non sono riconosciute. Il 76% del campione, identifica come disabilità la condizione di chi è in sedia a rotelle, il 54% chi ha un dolore cronico, ma solo il 22% riconosce come disabilità condizioni come l’ansia generalizzata, la dislessia o la sindrome da stanchezza cronica. E la stessa percezione delle disabilità spesso si rivela inappropriata: per il 61% delle persone intervistate “una persona con disabilità è una persona fragile e problematica, da proteggere e aiutare o da gestire”, mentre per il 24% le persone con disabilità sono “fonte di ispirazione”.

Secondo il 74% del campione, inoltre, i media non danno una corretta rappresentazione. È significativa, in questo caso, la lente generazionale: sono soprattutto i giovani (8 su 10) a denunciare scarsa attenzione dei media sul tema. Ma una cosa è certa: la piena inclusione resta, al momento, un miraggio. Un obiettivo a cui dovrebbero tendere tutti e tutte.

Più di una persona su due, infatti, è convinta che molti luoghi pubblici siano inaccessibili, così come uffici e posti di lavoro. Per questo, è fondamentale che anche le aziende scendano in campo per assicurare che l’inclusione sia una realtà. Solo un terzo del campione, infatti, sostiene che le aziende sono già sufficientemente impegnate. «Il cambiamento nella percezione e sulla gestione della disabilità richiede tempo e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Questo percorso inizia con una rappresentazione autentica e condivisa della disabilità, superando narrazioni stereotipate che rafforzano la marginalizzazione. Riconoscere e rappresentare con autenticità le identità delle persone con disabilità significa considerarle individui completi, con diritti, sogni e potenzialità, contribuendo a combattere pregiudizi e discriminazioni» – fa notare Barbara Falcomer, Direttrice Generale Valore D.

Il ruolo della comunità

Ma molto può fare anche la comunità per contribuire a creare una cultura realmente inclusiva. Questa è la visione che ha portato Stefania e suo marito Michele a realizzare un deciso cambio di vita: lasciare il lavoro, rispettivamente guida turistica e responsabile della Terza Missione dell’Università di Padova, per trasferirsi in Trentino e trasformare il garnì di famiglia a Canazei in una residenza inclusiva.

«Da genitori sappiamo che spesso anche una vacanza può diventare frustrante per chi ha in famiglia una disabilità. Sapere che esiste un luogo realmente accessibile, un rifugio accogliente, in cui trovare tutto il supporto necessario, può dare un po’ di sollievo». Con l’aiuto di associazioni locali, infatti, il garnì metterà a disposizione terapisti ed educatori che aiuteranno le famiglie durante i periodi di soggiorno. Per dare pace anche alla mente, oltre che al corpo.

«La parte psicologica – fa notare Stefania – non viene quasi mai considerata: anche quando si riceve la diagnosi, non c’è attenzione nella comunicazione. Gli impatti sono devastanti». «Ma io – conclude – non mi stanco di sognare un mondo in cui la cura passa anche dalle parole, in cui le famiglie vengono accompagnate, almeno nei primi mesi, a riorientarsi nel nuovo orizzonte delle disabilità. Un mondo in cui qualcuno si ricordi di chiedere anche al o alla caregiver: “come stai, tu?”. Ma le mie, forse, sono solo utopie».

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  • Poggio Barbara |

    Buon giorno, sono mamma e cargiver di Sebastiano 23 anni , anche dopo la scuola siamo abbandonati a noi stessi . Mio figlio è in attesa da 3 anni di un progetto di borsa lavoro tramite gli assistenti sociali visti 3 volte poi mi hanno detto x altre 3 volte che mi avrebbero contattato loro ed infine non mi hanno più risposto. Inoltre abbiamo difficoltà a livello burocratico , perché al compimento della maggiore età la sua diagnosi di disabilità è stata rinnovata d’ufficio ,e fin qui tutto ok ,non fosse che usufruismo si della 104 ,lui percepisce il compenso fi invalidità ecc ma x iscriverlo alle liste speciali del collocamento richiedono il cartaceo dei documenti aggiornati e per averli devo pare richiesta x una nuova diagnosi e qui gli uffici sono divisi i patronati sconsigliano l’imps dice di fare così….ho chiesto consiglio all’ufficio invalidi civili di Alessandria ma anche lì nessuna informazione in merito ….e ci si sente sempre più soli ,frustrati e abbandonati

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