Sarà che gli ingaggi, per quanto congrui, non sono più quelli di una volta, e comunque mai e poi mai paragonabili a quelli di un calciatore di serie A (seppur magari invece pure superiori alle colleghe ‘calciatrici’…); sarà che il volley ha una reputazione di sport ‘intelligente’ da mantenere; sarà che in discipline meno ‘ricche’ i protagonisti in campo nascono ed evolvono nella consapevolezza che saper fare anche altro, nella vita, una volta appese le scarpette al chiodo non sarà solo utile, ma addirittura necessario. Fatto sta che sottorete, in percentuale decisamente superiore agli altri sport, si moltiplicano i ‘campioni laureati’ ( che a differenza dei ‘poeti laureati’, anche Montale crediamo avrebbe decisamente apprezzato…).
E in particolare il campionato femminile di serie A è il più ‘studioso’ d’Italia: tra la serie A1 e A2 femminile le laureate risultano essere (dati aggiornati all’autunno scorso) il 20,6% del totale delle giocatrici. Oltre una su cinque delle atlete riesce a raggiungere la laurea.
La percentuale risulta ancora più significativa se paragonata con quella degli atleti laureati in altri sport. Nella pallacanestro maschile gli atleti italiani laureati sono il 5,5% mentre nel calcio, in serie A, la percentuale dei laureati è inferiore all’1%. E se quel 20,6% s’è trasformato ora in 21% merito è delle ultime due ‘dottoresse’ sottorete, la schiacciatrice della Nazionale e della Savino del Bene Scandicci che, anche ‘approfittando’ del lockdown, si è laureata in Scienze Motorie.
Numeri e percentuali del resto simili (nel totale tra ‘dottori’ e ‘laureandi’) anche per la Superlega maschile, con i due tornei che si mantengono il linea con la media nazionale (circa il 26% della popolazione).
D’altra parte, l’isolamento da pandemia ha (almeno in questo…) agevolata la rincorsa all’alloro accademico anche per altre atlete: si pensi alla bomber della Juventus e della Nazionale Barbara Bonansea, ora laureata in business administration (chissà che conversazioni interessanti potrebbe sviluppare con Alessandro Spanò, l’ormai ex capitano della Reggiana neo-promossa in serie B, il caso più roboante in questo senso…), o alla nuotatrice paralimpica Monica Boggioni, fresca dottoressa in biotecnologie.
Insomma, il numero di laureate (e laureati) nello sport – o meglio, in alcune discipline – sembra allargarsi, per i motivi già accennati, ma anche per alcuni altri, che vale la pena sottolineare, a partire dalla sempre più crescente, in quantità e qualità, offerta di formazione universitaria online (e, anche in questo, il lockdown è stato certo un catalizzatore…), per arrivare all’ormai acquisita consapevolezza che lo sviluppo del ‘pensiero laterale’ è in larga parte funzionale a migliorare la performance sportiva, soprattutto per quegli atleti che faticano a digerire ritmi e carichi di lavoro troppo standardizzati e ripetitivi.
Una tendenza che alcuni tecnici-formatori (si veda ad esempio il ct del Settebello di pallanuoto, Sandro Campagna) tendono anzi ad implementare, suggerendo direttamente agli atleti corsi di studio da frequentare magari online, o arrivando a escludere dalle formazioni giovanili talenti poco disposti a conciliare palombelle e libri di scuola…