Donne e cinema, nessuna regista alla Mostra di Venezia: nel rapporto “Women in Film” la parità che manca

Nessuna donna dietro la macchina da presa. È questa la fotografia che restituisce l’82esima edizione della Mostra internazionale del cinema di Venezia, che accenderà le sue luci dal 27 agosto fino al 6 settembre: nessuna regista italiana concorrerà tra i cinque film selezionati per il concorso. Né tra le tre serie tv. Otto opere, otto uomini.

Anche fuori dal contesto italiano non va meglio: Women in Film, Television & Media – associazione no profit che promuovere l’equità di genere nell’industria dell’audiovisivo e dei media – sottolinea che le registe sono il 26,71% (39 su 146) in tutta la Mostra (eccetto Venice Immersive), il 41,38% (12 su 29) nelle Giornate degli Autori e il 26,32% (5 su 19) nella Settimana della Critica. In totale sono il 28,87% (56 su 194).

Ciò nonostante, proprio a Venezia sarà presentato in anteprima mondiale il film documentario “Elvira Notari. Oltre il silenzio” diretto da Valerio Ciriaci sulla prima regista italiana, tirata fuori dall’oblio della Storia anche grazie al romanzo “Elvira” della giornalista della Stampa Flavia Amabile. Ma ricordare le pioniere non basta se la selezione dei talenti continua a tagliare fuori le donne da uno degli appuntamenti culturali più importanti a livello internazionale, non solo per il presente – come specchio culturale del nostro Paese – ma anche per il futuro, come strumento di immaginazione e visione per un mondo nuovo.

Come emerge dalla ricerca “Women in Film”, curata e presentata da Mastercard nell’ambito del Festival di Cannes, la crescente attenzione culturale verso la narrazione e la rappresentazione femminile non è sufficiente a scalfire gli ostacoli che le cineaste europee e italiane – sia emergenti che affermate – devono ancora affrontare nella loro carriera.

In Italia quasi una donna su due (48%) rinuncia a una carriera nel cinema

Con un pull di 6mila donne intervistate in tutta Europa (Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Germania), tra aspiranti e professioniste del settore, il rapporto “Women in film” registra che in Italia quasi la metà di loro (48%) sta optando per un percorso professionale alternativo, nonostante la forte inclinazione verso l’industria del cinema.

A frenarle ci sono alcune ragioni principali, afferenti a motivazioni culturali e stereotipi di genere che minano l’autostima delle professioniste del cinema: la mancanza di contatti all’interno dell’ecosistema del cinema (37%), la mancanza di autostima e la paura di fallire (20%) insieme all’accesso limitato a finanziamenti e risorse (20%) e alla posizione geografica (19%) che rappresenta un impedimento soprattutto quando non si vive in una città culturalmente dinamica.

Nella musica come nel cinema, le donne devono faticare di più per vedersi riconosciuto il loro talento. Sebbene le origini del cinema stiano nel loro lavoro, nell’intera filiera, oggi sono relegate a sezioni “laterali”. Mentre i registi Paolo Sorrentino, Leonardo Di Costanzo, Pietro Marcello, Gianfranco Rosi e Franco Maresco saranno in concorso per il Leone d’oro, le registe Carolina Cavalli – con “Il rapimento di Arabella” – e Laura Samani – con “Un anno di scuola” – saranno presenti nella sezione Orizzonti, dedicata ai linguaggi emergenti e alle nuove prospettive del cinema mondiale. Un disequilibrio che racconta un problema strutturale: nonostante le registe italiane non manchino – lavorano, vincono premi e ricevono riconoscimenti a livello internazionale – il loro talento stenta ad ottenere il riconoscimento che merita. Come invece accade ai registi.

Progressi nel cinema, per il 53% delle cineaste stanno rallentando

Lo scorso anno, proprio al Festival del cinema di Venezia, Mariagrazia Fanchi, direttrice dell’Alta scuola per la comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha presentato il rapporto “Gender Balance in Italian Film Crews” dell’ateneo e del Ministero della cultura -Direzione generale cinema e audiovisivo: al 2023 la quota di professioniste alla direzione di lungometraggi nel 2023 era del 21 per cento. Poco meno del 30% quella delle sceneggiatrici e delle montatrici. Numeri che confermano la percezione attuale, emersa dai dati del rapporto “Women in Film”: il 53% delle donne italiane intervistate ritiene che i progressi per le donne nel cinema stiano rallentando, con il 51% che segnala addirittura un aumento di barriere rispetto a cinque anni fa. Questa convinzione è dovuta alla percezione per cui, se da un lato la rappresentazione femminile sullo schermo sia migliorata, dall’altro i ruoli dietro le quinte restano ancora lontani dal raggiungimento della parità (lo pensa il 67% delle intervistate italiane) e sulle donne continua a gravare una maggiore pressione nel dover “dimostrare il proprio valore” rispetto ai colleghi uomini.

Più leadership femminile, più ottimismo per il futuro

Se la situazione oggi presenta più luci che ombre, gli auspici per il futuro sono positivi: dalla ricerca emerge un forte ottimismo per il futuro delle donne nel cinema, con il 64% delle italiane intervistate concordi sul fatto che le opportunità per le donne in ruoli di leadership, come regia e produzione, siano migliorate. La metà ritiene che le donne siano oggi più ascoltate negli spazi creativi e nei processi decisionali dell’industria. Anche in relazione alla future generazioni, quasi 7 donne su 10 credono che le giovani professioniste avranno più opportunità nel settore cinematografico: una prospettiva alimentata dalla maggiore disponibilità di strumenti e piattaforme per la creazione e la condivisione di contenuti (35%), dalla maggiore consapevolezza sociale delle nuove generazioni che consolida il loro desiderio di raccontare storie autentiche (32%) e da un migliore accesso a istruzione ed educazione cinematografica (30%).

«Le persone iniziano a credere in un futuro più equo per le donne nel cinema. È qualcosa che ho potuto osservare anche nella mia esperienza: i progressi sono tangibili e le porte stanno finalmente cominciando ad aprirsi – ha commentato l’attrice Ambika Mod durante la presentazione del rapporto -. Tuttavia, i risultati ci ricordano anche che la strada da percorrere è ancora lunga soprattutto per quanto riguarda i ruoli dietro le quinte. Se vogliamo auspicare a un cambiamento duraturo, dobbiamo assicurarci che le opportunità esistano non solo davanti alla telecamera, ma in ogni settore dell’industria cinematografica».

Chiudere il dream gap: investire sui sogni delle bambine

Le bambine devono poter sognare di diventare registe o lavorare nel cinema, in qualsiasi ambito dell’industria: non vedersi rappresentate significa rinunciare a farlo, consolidando il “dream gap” per cui, sentendosi meno competenti e “validate” rispetto ai loro coetanei maschi, perdono fiducia nelle proprie competenze e smettono di credere di poter intraprendere determinate professioni.

L’accesso precoce all’arte e al cinema è determinante per favorire l’inclusione e ampliare le opportunità delle donne nell’industria cinematografica: il 70% delle intervistate afferma che, un maggiore accesso all’educazione artistica durante l’infanzia, le avrebbe preparate meglio per intraprendere una carriera nel cinema. Solo il 39% (rispetto al 45% della media europea) riferisce che la propria scuola offriva una varietà di programmi artistici extracurriculari, come club di teatro, cineforum o laboratori creativi. L’importanza di aprirsi al “nuovo” è un approccio che rimane saldo anche rispetto alle prospettive future: il 45% delle donne italiane intervistate ritiene che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie stia portando un cambiamento positivo nell’industria cinematografica, con un picco che sale al 53% se si guarda alle millennial di tutta Europa.

«Questa ricerca mette in luce le sfide ancora esistenti, in particolare per chi è agli inizi del proprio percorso, e conferma come accesso, visibilità e supporto continuino a rappresentare ostacoli rilevanti – conclude Beatrice Cornacchia, EVP marketing e comunicazione APEMEA di Mastercard -. Per superare queste barriere, servono investimenti concreti, programmi di mentoring e cambiamenti strutturali: questo cambiamento non è un’opzione, ma un’urgenza reale in grado di liberare il pieno potenziale creativo di questa nuova generazione».

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