Cinema, la vita anticonformista (e rimossa) della pioniera Elvira Notari

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“Elvira non riesce a frenare un grido. Un prodigio, un sogno, un incantesimo realizzato”. Siamo nella Napoli di inizio Novecento e la giostra di emozioni che lascia la ragazza senza parole è il cinema, anzi il cinematografo appena arrivato in città. Proiezioni di appena tre minuti che la stregano, di sala in sala, proprio mentre a 27 anni deve decidere del suo destino: passare la vita china a cucire come sua madre o isolata in casa come le sue sorelle? Oppure inseguire l’incanto, diventando padrona della sua esistenza?

In “Elvira” (Einaudi Stile Libero, 2022), Flavia Amabile, scrittrice e giornalista de “La Stampa”, tira fuori dall’oscurità la storia di Elvida Coda Notari, pioniera della settima arte, instancabile regista, attrice, sceneggiatrice e produttrice, una delle tante donne da primato sconosciute ai più, rimosse dalla memoria collettiva fino a scomparire. Amabile restituisce a Coda Notari il posto che merita tra le grandi italiane, con l’acutezza della cronista, la meraviglia della romanziera e la passione per la sua terra d’origine: è nata a Salerno, come la sua protagonista, di cui si sa pochissimo. L’autrice lo ricorda nelle note e nei ringraziamenti: “Come in una congiura perfetta, un insieme di circostanze pubbliche e private ha cancellato per quasi mezzo secolo il ricordo di Elvira Coda Notari. A contribuire al suo oblio è stata innanzitutto lei con la sua avversione a ogni forma di protagonismo. Non ha rilasciato interviste, non ha conservato la corrispondenza e non si è lasciata fotografare se non in occasione di un’immagine ufficiale – l’unica – e una manciata di altre private scattate soprattutto quando ormai era anziana e forse nemmeno si rendeva conto di essere ripresa, lei che ha trascorso una vita a riprendere gli altri”.

Antidiva per antonomasia, anticonformista per natura, Elvira fece di Napoli, dei suoi vicoli e del suo popolo il teatro di ogni film, la scintilla di ogni creazione. Scelse il suo compagno, Nicola Notari, fuggendo dalla sua famiglia d’origine. Decise di lavorare con lui, prima alla coloritura delle pellicole e poi alla realizzazione di lungometraggi con la Film Dora, dal nome della loro secondogenita, impresa che all’alba del nuovo decennio divenne una delle più attive manifatture cinematografiche di Napoli. Oppose la sua resistenza personale e professionale al regime fascista, che, libera e libertaria qual era, la considerò da subito una nemica, prima rendendole il lavoro impossibile e poi provocando una rapida scomparsa dei suoi film dalle sale e dagli archivi.

Nel libro, Amabile racconta dunque la “sua” Elvira, aggrappandosi alle poche tracce rinvenibili grazie alle storiche e agli storici del cinema che la hanno testardamente riscoperta e grazie alle poche testimonianze del primogenito Eduardo, che fu il primo scugnizzo del grande schermo. Una “donna schiva, caparbia, volitiva, intelligente, libera”. Così la seguiamo nel romanzo, fedele a sé stessa sempre, quando osa e quando paga il prezzo della sua audacia. Mai Elvira si snatura per inseguire il successo. Quando Nicola prova a convincerla a esplorare il genere storico, sulla scia di “Quo Vadis” e mentre i torinesi lavorano a “Gli ultimi giorni di Pompei”, lei risponde: “Non fa per noi. Continuiamo a fare il mestiere nostro, raccontiamo la gente che incontriamo per strada. Ricordatelo sempre, finché siamo insieme in questa impresa, nuie simm’ e Napule e avimma fa’ o cinema de napulitane”. Un cinema degli ultimi, che li riscatta e li riscalda: i monelli, i venditori, le sartine, le donne che subiscono violenza, i facchini, gli operai, i pescatori. E poi, quando in Italia le cose si fanno difficili, i migranti arrivati in America, che a Brooklyn la acclamano come un’eroina.

Ma “Elvira” è soprattutto la storia di un’irregolare: moglie indipendente e inquieta, imprenditrice costretta malvolentieri ad accettare le prescrizioni di un mondo, quello degli affari, che parla un linguaggio esclusivamente maschile, madre tutt’altro che risolta, capace di affidare la terzogenita Maria appena nata a un istituto di suore e di sopportare il peso del giudizio sociale, dell’odio della figlia abbandonata e degli altri familiari che non lo accetteranno mai. Lontanissima dal cliché della maternità totalizzante, modernissima nella sua autodeterminazione e nell’imperfezione quasi ostentata. In fuga dalla noia come Madame Bovary, ma senza la sua vacuità. Alla ricerca di un equilibrio tra l’amore e la sua arte come la Bettina di Anna Maria Ortese, ma senza lieto fine.

Mirabili, nel romanzo, le pagine sull’incontro tra Elvira e Matilde Serao. La vediamo insolitamente con il batticuore: la regista del popolo, sulla bocca di tutti, emozionata all’idea di essere ricevuta dalla prima donna direttrice di un quotidiano, punto di riferimento degli intellettuali napoletani, la celebre autrice de “Il ventre di Napoli”. Elvira vorrebbe portare nelle sale il suo libro “Sterminator Vesevo”, un diario sull’eruzione del Vesuvio del 1906, e conta sull’invito pubblico di Serao a non avere preconcetti, a creare maggiori legami tra cinema e letteratura. Ma a malapena riesce a spiegarle la sua fascinazione e a chiederle i diritti, perché la reazione è brutale. “A voi? Chi siete?”. Elvira accenna ai suoi film, le pellicole tratte da romanzi d’appendice e racconti. “Sentite, voi che fate quello schifo di film, come vi permettete di insistere? Faciteme ‘o piacere, jatevenne!”. L’umiliazione è cocente. L’abisso tra intellettuali e popolo vastissimo. Nessuna solidarietà femminile riesce a colmare la disuguaglianza sociale.

Il finale è amaro. La Seconda Guerra mondiale è iniziata, il fascismo è rigoglioso, Elvira si è ritirata a vivere in solitudine a Cava de’ Tirreni. Ma è il suo sguardo “dal margine”, come ci ha insegnato bell hooks, a essere rivoluzionario. Sono le sue sarte, le venditrici del mercato, quelle “vite piene, tormentate, contrastate, ribelli, perdenti. Libere” che ha messo al centro dei suoi film e che ha incarnato lei stessa. Si deve ad Amabile questo magnifico contributo alla lotta della memoria contro l’oblio. Una lezione di libertà importante per tutti gli ultimi, fondamentale per le donne, la cui stessa presenza – come Elvira ha sperimentato sulla sua pelle – è ancora oggi un atto di rottura rispetto alla cultura dominante.

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Titolo: “Elvira”
Autrice: Flavia Amabile
Editore: Einaudi
Prezzo: 18 euro

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