Perché sono così pochi i laureati maschi nel nostro Paese?
La serie storica trentennale dei neolaureati di primo e secondo livello evidenzia una differenza di genere profonda e costante nel tempo; fin dall’inizio del secolo, infatti, le neolaureate superano i neolaureati di 20 punti percentuali. Questo rapporto si inverte solo nell’aggregato delle discipline Stem[1] (59% uomini e 41% donne), ma poiché i laureati del gruppo Stem rappresentano solo il 28% del totale influiscono poco sul profondo disequilibrio delle quote di genere per l’insieme dei laureati.
Figura 1 – Neolaureati di primo e di secondo livello per genere dal 2004 al 2022. Valori percentuali.
Le conseguenze sul mercato del lavoro
Questa esigua presenza maschile tra i neolaureati non è senza conseguenze sul mercato del lavoro: tra gli occupati del nostro Paese i giovani laureati (maschi) sono solo 20,4%; troppo pochi, sia relativamente al loro stesso genere nel confronto con gli altri Paesi europei (33,5%), sia nel confronto con la componente femminile nazionale (40,4%).
Figura 2 – Quota di laureati sul totale degli occupati in età 15-39 per genere in Italia e in Europa dal 2002 al 2022. Valori percentuali.
Nel grafico sono evidenti due problemi: il primo emerge dal confronto con gli altri Paesi europei ed è costituito dalla scarsa presenza di laureati tra gli occupati italiani con meno di quarant’anni; questa scarsità vale per entrambi i generi, ma è particolarmente marcata per la componente maschile. Il secondo problema è dato dal distacco tra laureati e laureate; anche in questo caso la prevalenza femminile è comune a tutti i Paesi europei (tranne la Germania, dove le laureate sono il 49%), ma nel nostro Paese la differenza di genere è molto più marcata.
Perché tra i giovani occupati italiani la quota dei maschi con laurea è solo la metà di quella femminile? Il problema si pone perché questo profondo divario di genere non è episodico, ma cresce sistematicamente nel tempo, e si ripercuote sull’occupazione complessiva (15-74 anni); dal 2006 infatti le laureate hanno superato in valore assoluto i laureati, raggiungendo attualmente il 32% del totale delle occupate; una quota quasi doppia rispetto alla componente maschile, dove i laureati sono attualmente solo 19 per ogni 100 occupati.
Figura 3 – Quota di laureati sul totale degli occupati in età 15-74 per genere in Italia dal 1992 al 2022. Valori percentuali.
Gli incentivi del mercato del lavoro
Quale struttura degli incentivi porta uomini e donne a compiere scelte così diverse sulla durata del loro percorso formativo? Perché dopo il diploma più donne che uomini decidono di proseguire gli studi?
Al momento del conseguimento del titolo, la composizione per genere dei neodiplomati è ben equilibrata (47% maschi e 53% femmine), ma mentre l’80% delle diplomate intende iscriversi all’università, solo il 64% dei diplomati manifesta la stessa intenzione (Almadiploma 2023).
Il mercato del lavoro dei diplomati potrebbe avere un ruolo nel determinare queste scelte se fosse più attraente per la componente maschile rispetto a quella femminile. E in verità il tasso di occupazione dei diplomati è notevolmente maggiore di quello delle diplomate per la classe d’età 15-24 anni: rispettivamente 37% contro 26% (Eurostat 2022), ma la bassa retribuzione dei neodiplomati[2] diluisce non poco l’effetto incentivante, mentre sia il tasso di occupazione sia la retribuzione dei laureati sono più premianti per gli uomini che per le donne.
Per i laureati di primo livello, infatti, la retribuzione media mensile netta è a favore della componente maschile (1.233 euro contro 1.095), e il tasso di occupazione non presenta marcate differenze di genere (41% contro 40% a favore della componente femminile); tra i laureati di secondo livello la retribuzione è pari a 1.485 euro per gli uomini e 1.283 per le donne, e il tasso di occupazione si attesta a 82% per la componente maschile e al 75% per la componente femminile (Almalaurea 2023).
Al primo sguardo, dunque, il mercato del lavoro sembra premiare più i laureati delle laureate, e in ogni caso le differenze nella struttura degli incentivi non sembrano tali da giustificare la differenza di genere nella decisione di laurearsi, a livello aggregato.
Ma allora perché i neodiplomati valutano le opportunità offerte da un titolo di studio superiore in modo così diverso dalle neodiplomate?
I dati sugli occupati a livello dirigenziale, disaggregati per genere e titolo di studio, suggeriscono che anche le caratteristiche e le modalità di accesso alle posizioni apicali del nostro sistema produttivo potrebbero avere un ruolo nella spiegazione della bassa scolarità maschile. Se, ad esempio, l’appartenenza di genere fosse prevalente sul titolo di studio nel determinare l’abbinamento delle persone alle posizioni apicali i maschi non avrebbero bisogno della laurea per fare carriera, mentre la laurea delle femmine non potrebbe garantire loro il superamento del pregiudizio di genere. Al limite, se solo i maschi diventassero dirigenti, e solo le femmine fossero laureate, nessun dirigente avrebbe la laurea e nessun laureato sarebbe dirigente, nel nostro Paese.
Genere e titolo di studio nei ruoli dirigenziali
I dati Eurostat indicano che in Italia la presenza maschile tra gli occupati in ruoli dirigenziali[3] è più del doppio rispetto a quella femminile (rispettivamente 72% uomini contro 28% donne); per contro, la quota delle laureate raggiunge quasi il doppio di quella dei laureati nell’occupazione complessiva: rispettivamente 32 laureate per 100 occupate contro 19 laureati per 100 occupati. Ne consegue che la maggioranza dei dirigenti nel nostro Paese è senza laurea (74,1%), mentre nell’Unione Europea i dirigenti senza laurea sono in netta minoranza (39,9%) (Figura 4).
Figura 4 – Quota di dirigenti con laurea sul totale dei dirigenti per genere in Italia e in Europa. Valori percentuali.
In tale contesto, se nel nostro Paese aumentasse il numero delle laureate abbinate alle posizioni apicali si otterrebbe un duplice vantaggio per il sistema economico: da un lato si ridurrebbe il divario di genere nei percorsi di carriera, come richiesto dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 dell’ONU per uno sviluppo sostenibile, e dall’altro si sosterrebbe la percezione sociale che il mercato del lavoro gradisce i titoli di studio elevati per i ruoli manageriali, incentivando in tal modo anche i diplomati maschi a proseguire gli studi fino alla laurea, come avviene negli altri Paesi europei.
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[1] Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica
[2] La retribuzione mediana lorda oraria per gli occupati dipendenti con diploma, inquadrati come apprendisti, è pari a 9,3 euro per i maschi e 8,9 euro per le femmine (Istat 2020).
[3] Eurostat – Gruppo 1- ISCO-08; occupati di 15 anni e più.