di Andrea Laudadio
Circola l’idea – secondo me errata – che il patriarcato sia la contrapposizione tra uomini e donne o meglio, il potere e il controllo egemonico dei primi a discapito delle seconde.
Il patriarcato (o – di contro – il matriarcato) è la subordinazione delle generazioni successive alle regole, ai valori e ai modelli delle generazioni precedenti.
L’opposto di Patriarcato: emancipazione
L’opposto di patriarcato è emancipazione, dal latino: emancipatio istituto tramite il quale il figlio otteneva l’estinzione della patria potestà, composto di e (fuori) e mancipium (acquisto della proprietà) – a sua volta composto da manus mano e capere prendere.
Il figlio prende in mano la sua storia, scrivendo una narrazione alternativa a quella che avrebbe scritto per lui il padre (e il nonno e i suoi avi).
Assistiamo da anni ad una progressiva (seppure ancora incompiuta) emancipazione femminile, frutto di battaglie collettive come quello delle Suffragiste o quelle individuali come Franca Viola che nel 1965 venne rapita e abusata da Filippo Melodia. La norma dell’epoca, l’articolo 544 del Codice penale, prevedeva l’estinzione del reato qualora le persone coinvolte (vittima e autore) fossero convolati a nozze. Il cosiddetto “matrimonio riparatore”, la riconciliazione per evitare lo “scandalo”. A 18 anni non compiuti, Franca Viola spezza questa consuetudine patriarcale, non accettando la riconciliazione e facendo condannare Melodia a undici anni. Sostenendo che:
«Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce».
L’articolo 544 del Codice penale sarà abrogato solo 16 anni dopo e solo nel 1996 lo stupro da reato «contro la morale» sarà riconosciuto in Italia come un reato «contro la persona». L’8 marzo del 2014, Giorgio Napolitano, cinquant’anni dopo (sic!) i fatti, la proclama Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Ai progressi dell’emancipazione femminile non si sono registrati uguali progressi nell’emancipazione maschile. Perché?
Da una parte gli uomini hanno sempre confuso i progressi generali dei diritti universali e sociali con il percorso per la propria emancipazione, dall’altro la condizione di egemonia nei confronti della donna ha generato l’errata convinzione che non avesse bisogno di un’emancipazione; di conseguenza si è limitato ad assistere all’emancipazione femminile (più o meno preoccupato da questo fenomeno) e a sostenere uno sviluppo – più o meno generale – dei diritti, come blando cambiamento generazionale. Gli unici risultati ascrivibili al mondo maschile in termini di liberazione dal modello patriarcale sono stati registrati dalle comunità gay, ma non introiettate e acquisite dai maschi eterosessuali.
Anche l’uomo ha bisogno di una emancipazione dai modelli patriarcali, imposti dalle generazioni precedenti.
Svincolarsi – finalmente – dal modello del male breadwinner, che prevede che l’uomo debba nella vita provvedere integralmente o in modo preponderante al sostentamento della futura famiglia. Il modello produce come effetto negativo l’indissolubilità della declinazione “lavorativo” e “produttivo” del maschio (per giunta) life long. Dalla preadolescenza fino alla vecchiaia. Segnando in ciascuna di queste fasi un diverso ma costante livello di ansia rispetto alle aspettative sociali della sua “capacità di produzione” alle quali, in larga parte, i maschi sono costretti a rispondere con comportamenti dolorosi e invalidanti, che difficilmente, se fosse libero dal modello patriarcale sceglierebbe di agire (come rinunciare alla cura dei figli per poter esprimere socialmente il massimo attaccamento al lavoro).
Oppure, dover rinunciare socialmente e spesso anche individualmente al “diritto alla fragilità” e alla sua espressione (tranne in rari casi), in virtù di una pressante richiesta sociale di ostentare la propria virilità.
Per questi motivi, la contrapposizione terminologica femminismo – maschilismo (seppur largamente accettata) è solo apparentemente corretta (e frutto essa stessa del Patriarcato) e andrebbe corretta in femminismo vs. antifemminismo e maschilismo (inteso come movimento di emancipazione degli uomini, per la parità dei diritti tra i generi) vs. antimaschilismo.
Come scrive Taleb, dai tempi di Catone il Censore, si manifesta un certo tipo di maturità quando si biasima la nuova generazione per la “superficialità” e si esalta la generazione precedente per i suoi “valori”.
Catone si schierava apertamente contro le mode provenienti dalla Grecia che – secondo lui – rischiavano di compromettere la virilità dei giovani romani.
Il patriarcato è l’egemonia di un modello valoriale ancestrale sulle generazioni successive, con lo scopo di garantire una continuità intergenerazionale indipendente dai desideri e delle ambizioni delle generazioni successive.
Emancipazione femminile o parità?
La battaglia per l’emancipazione femminile ha assunto negli anni la denominazione di “parità”. Questo ha relegato gli uomini in due posizioni: antagonisti o non-antagonisti. I primi a giocare un ruolo conservatore rispetto alle istanze presentate, cercando di ostentare e mantenere il modello patriarcale, mentre i secondi si dividono tra “sostenitori” e “neutrali”. In questo quadro è mancato quasi completamente, se si accettano alcune rarissime eccezioni (tra cui colloco l’italiano Stefano Ferri e Lorenzo Gasparrini), soprattutto nei paesi del nord Europa, un ruolo attivo degli uomini, impegnati anche loro a rivedere e combattere il Patriarcato, non solo in relazione alla donna, ma (e direi soprattutto, visto il divario di risultati e impegno) nei confronti degli uomini.
Obiezione
Si potrebbe obiettare che la condizione egemonica a cui la natura ha assegnato chi scrive mi dovrebbe impedire di fare simili considerazioni, ritengo però che tale critica sia irricevibile per due motivi: da una parte ha la stessa matrice Patriarcale che si vorrebbe combattere, dall’altra non tiene conto – politicamente – del contributo che una tale battaglia potrebbe apportare in termini di accelerazione e risultati alla lotta femminista. Come per Bauer uno Stato cristiano, in quanto tale, non può emancipare un ebreo (inteso come di religione ebraica) che, in ragione del proprio essere ebreo, non può essere emancipato, per molte persone temo sia difficile parlare di emancipazione maschile in un contesto di egemonia maschile (che in quanto maschio è egemonico per definizione). Sono convinto che – come sostenuto da Marx con Bauer – un superamento di questa visione possa avvenire solo con l’introduzione della dimensione “umana”, una nuova visione sociale, che consideri l’uomo e la donna reale come soggetto storico, che prenda in considerazione i suoi bisogni concreti.
Conseguenze politiche e rischi politici.
Da questa riflessione derivano tre scenari:
- Il primo dove le donne continuino la loro battaglia di emancipazione in antitesi ad una parte dei maschi e con il supporto (attivo o passivo) di una parte di questi.
- Il secondo in cui la battaglia di emancipazione sia condivisa in una logica di effettiva parità, non tanto normativa, quanto di schemi sociali e di archetipi culturali.
- Il terzo nel quale alla battaglia femminile si affianchi una battaglia maschile per la propria emancipazione, con evidenti punti di contatto e vantaggi reciproci ma senza una struttura unitaria che la renderebbe per alcuni e alcune non percorribili.
Intravedo dei rischi nel primo scenario che contrappone inutilmente le due battaglie di emancipazione, rendendo i maschi egemonici i nemici della liberazione femminile, ottenendo come effetto politico un arroccamento nelle posizioni attuali, che porterà ad una difficile combinazione condivisa dei nuovi modelli sociali.
Anche il secondo scenario prevede dei rischi, legati alla differenza enorme che esiste tra i due movimenti, uno ormai maturo (quello femminista) e uno solo agli albori (quello relativo agli uomini – non uso per timore e pudore l’espressione “maschilista”). Mentre il primo ha già elaborato dei nuovi archetipi, il secondo è ancora lontano dal farlo e da promuoverne la condivisione.
Il terzo scenario ha invece il grande limite di una partecipazione ancora drammaticamente limitata di uomini alla battaglia per sconfiggere l’egemonia Patriarcale.
Eppure, solo il terzo scenario può produrre un reale miglioramento delle condizioni di vita di miliardi di persone, contribuendo – ad esempio – a ridisegnare il concetto di coppia.
La coppia donna-uomo
La relazione diadica, di coppia, è la parte più chiusa al sociale che esista, difficilmente permeabile, tende a replicare gli schemi familiari appresi e a enfatizzare le debolezze di chi la compone.
Mi dispiace che alcuni uomini considerino la propria donna come propria. Che gli appartenga il corpo, la mente e la tasca di lei. Ma temo che questo sentimento, probabilmente, oggi sia l’unica cosa paritaria che abbiamo. E lo dimostrano i casi (seppur pari solo alla metà rispetto ai femminicidi) di “maschicidi”, avvenuti all’interno di coppie. L’idea errata che sia l’altro o l’altra ad appartenerci e non lo spazio comune tra noi e l’altro è alla base di comportamenti distorti, ma è il principale frutto di una visione Patriarcale della relazione di coppia che impedisce di vedere la coppia come composta da due individui autonomi che non derogano in autonomia nel momento nel quale intraprendono una relazione sentimentale.
“La” battaglia decisiva
Sono personalmente convinto che la battaglia per l’emancipazione maschile e femminile non sia una battaglia, ma “la” battaglia, non di un genere contro l’altro ma di due generi che vogliono liberarsi del peso Patriarcale di generazioni precedenti che non esprimono una supremazia valoriale ma una egemonia culturale-sociale e che è venuto il momento di cambiare in profondità, partendo dagli archetipi di ruolo di genere (soprattutto maschili).
Per questo dico e spero che l’arrotino – prima o poi – passi anche per me.
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