Coinvolgere di più gli uomini, affinché prendano loro la parola e condannino gli stupri, le violenze, ma anche le più comuni battute sessiste. Puntare di più sulla educazione nelle scuole e sulla formazione della magistratura, ancora troppo spesso figlia di una cultura patriarcale.
Elvira Rotigliano, presidente del Centro anti violenza Le Onde aderente alla rete di D.i.Re- Donne in rete contro la violenza, avvocata penalista, lavora da oltre 30 anni con le donne vittime di violenza. Davanti al femminicidio-suicidio di Mazara, ai fatti di Caivano, davanti allo sconcertante stupro di Palermo, davanti a figli di famiglie ‘come tante’, non pregiudicati, non ai margini della società, che ritengono ‘normale’ condividere il video di uno stupro di gruppo con relativi commenti, davanti a figli che, come dice Chiara Di Cristofaro su Alley Oop potevano essere i nostri figli, ora serve – dice Rotigliano – uno “scossone”. Che non si torni più indietro e finalmente la società, la politica, la scuola si facciano carico di un problema che affligge anche le generazioni più giovani: la violenza, la prepotenza, il senso di possesso di alcuni uomini sulle donne.
A Palermo la società civile comincia a svegliarsi e molte scuole, racconta Rotigliano, hanno chiesto il coinvolgimento del centro Le Onde nei corsi di formazione.
Nei tribunali italiani la violenza ancora non viene riconosciuta
“La magistratura dovrebbe essere più pronta a rispondere rispetto al fenomeno della violenza di genere. Il problema – spiega la presidente del centro antiviolenza Le Onde – è che talvolta la formazione professionale è carente. La commissione del Senato guidata da Valeria Valente aveva condotto varie indagini e quella sulla vittimizzazione secondaria delle donne riguardava anche la formazione professionale dei magistrati. Formazione che nelle procure della Repubblica è a macchia di leopardo, con le procure piccole dove i magistrati si occupano indifferentemente di bancarotta fraudolenta o stupro, senza una formazione specifica. La mancanza di formazione professionale si riverbera sulla fase dibattimentale e sulla magistratura giudicante. Lo vediamo nelle sentenza note, che diventano casi, a partire da quella di qualche anno fa ‘moraleggiante’ sui jeans che indossava la donna, indumento che avrebbe reso impossibile lo stupro, fino alle sentenze dei giorni nostri che hanno fatto clamore”.
Non ultima quella che fa passare la provenienza culturale dell’accusato come una ‘giustificazione’ delle violenze domestiche. “I tribunali italiani emettono sentenze moraleggianti che non hanno a che vedere con le fattispecie penali. Si attengono a valutazioni stereotipate dell’ uomo e della donna”
Per cambiare la cultura, dice Rotigliano, oltre ad agire sulla formazione dei magistrati per evitare sentenze moraleggianti e vittimizzanti, occorre agire sulla scuola, per formare in maniera diversa, più inclusiva e paritaria, almeno i ragazzi di domani. “Il ministro Valditara è intervenuto in tal senso, spingendo sull’educazione nelle scuole. A Palermo abbiamo ricevuto diverse richieste di formazione dopo lo stupro”.
Ma la verità è che anche molti insegnanti non hanno contezza di quello che è la consapevolezza del valore del genere. “Sono cresciuti loro stessi in una cultura che considerava maschi e femmine diversi; le femmine da indirizzare verso scuole umanistiche, i maschi verso le scienze. Manca, quindi, oggi, l’educazione alla sessualità, al rispetto dell’altro. E si ripiomba talvolta nella cultura patriarcale dove l’uomo è capofamiglia”, spiega Rotigliano.
Il ruolo cruciale delle scuole
Gli stupri di Palermo, Caivano, Monreale, il femminicidio di Mazara: sono tutti casi venuti alla ribalta delle cronache nel giro di poche settimane e hanno scosso le coscienze. “Penso che quanto di terribile è accaduto a Palermo stia creando molto turbamento. Ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Guardiamo all’opportunità. L’educazione sessuale manca. Ci sono singole iniziative, singole scuole virtuose. Ma a Palermo il focus è ancora solo su mafia e legalità, le scuole più strutturale si concedono il lusso di potersi occupare delle tematiche della violenza, ma le altre sono indietro. Le scuole andrebbero sollecitate maggiormente”.
Genitori che continuano a deresponsabilizzare
Poi ci sono i genitori. Genitori che sono più schiavi dei social e dei cellulari di quanto non siano i loro figli adolescenti. “La vicenda dei ragazzini che hanno ucciso la capretta, con la mamma che li scusa perché l’animale era già agonizzante, significa che si sta continuando a deresponsabilizzare, non si riesce a prendere posizione, evitando di prendersi carico del tipo di educazione data ai propri figli”.
Sui social non c’è lo stigma sociale per aver commesso il reato
E veniamo ai social che hanno cambiato il modo di vivere e anche il modo di compiere reati orribili come lo stupro: “In passato dei ragazzi che avessero compiuto un reato orribile come lo stupro avrebbero cercato di nascondere le prove, oggi invece rilanciano sui social le gesta per avere plauso, vengono legittimati dall’approvazione del branco; la vergogna, lo stigma sociale che non c’è”
La risposta che dobbiamo dare, come società, passa anche da un maggiore coinvolgimento degli uomini che stigmatizzino i violenti. “Basterebbe – dice Rotigliano – che in una conversazione gli uomini cominciassero a prendere parola quando qualcuno fa una battuta sessista o fa del body shaming. Se a stigmatizzare questi comportamenti sono gli uomini il messaggio arriva in maniera più completa ai giovani”, contribuendo a veicolare altri modelli maschili rispetto a quello patriarcale ancora spesso prevalente.
“Gli uomini comincino a dire che la palpatina sotto i 10 secondi è comunque inaccettabile, senza riderne o sorriderne. Comincino a pensare che se l’allenatore dà un bacio in bocca a una sportiva quello è un gesto violento. Gli uomini – conclude l’avvocata – ci aiutino a vincere questa battaglia”.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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