Il 24 febbraio 2022 ci siamo svegliati con le notizie dei primi bombardamenti russi sull’Ucraina. L’immagine di una sinistra colonna di fumo che si ergeva nella notte sulle abitazioni civili rimbalzava da un profilo social all’altro, mostrando anche agli increduli i colpi esplosi dall’artiglieria russa nei territori attorno alla capitale Kyiv. Sono passati 365 giorni, un anno, un anniversario che in qualche modo abbiamo sperato di non dover appuntare.
La guerra in Ucraina ha costretto milioni di famiglie ad abbandonare le proprie case: dall’inizio del conflitto, si stima che 17 milioni di persone necessitino di assistenza umanitaria e protezione in tutta l’Ucraina. In Europa sono stati registrati 8 milioni di rifugiati, la maggior parte nei Paesi vicini come Moldavia, Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia, a cui si aggiungono milioni di sfollati interni, la maggior parte donne, bambini e anziani. A un anno dall’inizio del conflitto, molte famiglie vivono in centri di accoglienza o rifugi temporanei perché́ le loro zone di origine sono sotto attacco militare.
I racconti degli sfollati
“Nel centro per 15 ore al giorno non c’è la corrente, è buio e fa freddo. Per noi bambini è diventato quasi impossibile seguire la scuola online”, racconta David, 11 anni, che con il suo fratellino Eduard e la loro famiglia vivono in un centro d’accoglienza in una zona industriale di Lviv da mesi. Con l’arrivo dell’inverno la vita è diventata durissima. La sua testimonianza è stata raccolta dagli operatori di WeWorld assieme a molte altre. Come quella di Sveta, nello stesso centro, che racconta: “Sono arrivata qui ad aprile con mia madre e questa ragazza: si chiama Angelina, ha 12 anni ed è orfana. Le condizioni in cui ci siamo trasferiti erano terribili, c’era molto rumore di allarmi e bombardamenti, ora la situazione è migliorata. Stiamo valutando di tornare a casa, ma il fatto di avere Angelina in affido non ci permette di rientrare, è ancora troppo pericoloso”. E quella di Tania, rifugiata ucraina a Chisinau, in Moldavia: “La mia città era bellissima, ma adesso è distrutta dai bombardamenti. Ancora non ho trovato il coraggio di chiedere se la mia casa è ancora lì o è stata distrutta dalle bombe”.
Oksana, una cittadina ucraina fuggita in Moldavia, divenuta oggi nel Paese responsabile della comunicazione per WeWorld, racconta: “Quando ci incontriamo tra persone ucraine, non ci salutiamo ma chiediamo direttamente come stai. Le persone arrivate in Moldavia negli ultimi mesi hanno bisogno di aiuto, non hanno più forze. Se non avessi incontrato lo staff di WeWorld non avrei lavorato qui e questo lavoro mi ha dato la forza mentale per andare avanti. Capire che non siamo soli nel nostro dolore, che altre persone lo capiscono e ci sostengono è un aiuto enorme e ci dà speranza per il domani, anche se non sappiamo cosa ci riserverà il futuro”.
C’è poi la storia di un’altra Oksana, tre figlie, due nipoti, un genero che sta combattendo al fronte. Quando Irpin fu occupata, la famiglia non lasciò la propria casa. Solo dopo che una granata ha colpito la casa, la famiglia è stata portata a Kyiv, dove è rimasta per circa un mese. Il 26 aprile 2022, Oksana è tornata a Irpin per controllare la sua casa e il 28 aprile 2022 ha riportato là tutta la sua famiglia. Una parte della casa è stata completamente distrutta: la stanza dei nipoti. Non c’era il tetto e le finestre erano rotte. La donna ha inserito il vetro da agosto a dicembre 2022. Nonostante le difficoltà e la mancanza di condizioni, i bambini studiano online, costruiscono con i Lego, disegnano, fanno hand-made e leggono. Oksana è una di quelle donne che non chiede aiuto e in qualche modo se la cava da sola. Ma quanto sarà lungo il percorso per ritornare a una situazione pre-conflitto? Come ne usciranno cambiati questi bambini? I danni materiali ma soprattutto immateriali sono stati enormi.
Aiuto materiale e supporto psicologico
A oggi, sono state aiutate da WeWorld 60mila persone, di cui 30mila bambine e bambini. È una delle poche organizzazioni italiane, in questo momento, a lavorare nelle zone più problematiche del Paese, Lviv, Kyiv, Odessa e Kharkiv, oltre che nelle aree rurali nella regione di Kharkiv, le più critiche da un punto di vista umanitario. Nei centri di accoglienza e villaggi rurali si distribuiscono pacchi alimentari, medicine, beni non alimentari, kit invernali per affrontare il rigido inverno del Paese, con temperature che nelle regioni orientali possono arrivare a 20 gradi sotto zero. Nei centri di intervento di WeWorld in Ucraina, sei in tutto il Paese, ci sono bambine, bambini e adolescenti insieme alle loro famiglie, luoghi sicuri dove possono ritrovare momenti di gioco e normalità, ma anche attività didattiche, educative e di supporto psicosociale. Sono più di 17.500 le sessioni attivate nella regione, di cui oltre 14.000 solo per donne, bambine e bambini.
In Italia, WeWorld sostiene le donne ucraine rifugiate in Italia e i loro bambini e bambine, grazie agli Spazi Donna WeWorld sul territorio. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno di gennaio 2023, di tutte le persone rifugiate ucraine sono quasi 175mila le persone entrate in Italia. Più di 140mila sono donne e minori e arrivano principalmente nelle città di Milano, Bologna, Roma e Napoli. Chi si è rivolto a WeWorld rientra nella fascia di età tra i 25 e i 40 anni: si tratta di persone scappate sole o con i loro figli, che hanno un alto livello di scolarizzazione e profili professionali medio-alti.
Nataliia Kavetska è arrivata in Italia con un figlio ed è stata accolta negli Spazi Donna WeWorld. Qui ha scelto di aiutare altre donne ucraine in difficoltà lavorando come mediatrice linguistico-culturale nello Spazio Donna Corvetto di Milano. È in luoghi come questo che molte donne hanno la possibilità di frequentare corsi di italiano, ricevere supporto psicologico e seguire corsi di orientamento al lavoro per ritrovare la propria autonomia sociale ed economica. Infatti, oltre il 75% indica nel cercare un lavoro il proprio bisogno prioritario, più che trovare un alloggio.
Mentre le mamme sono impegnate, i più piccoli vengono accolti nell’area Child Care pensata per permettere ai bambini di giocare in una dimensione protetta. La stessa Nataliia racconta: “Sono arrivata dall’Ucraina con mio figlio di 8 anni. I primi giorni di scuola italiana sono stati difficili per lui. Ha conosciuto così tante nuove persone e bambine e bambini, nuove regole, un nuovo ambiente, una nuova lingua. Ha pianto. Spesso mi ha detto di non capire quello che gli dicono e per questo voleva rimanere a casa. Gli ho spiegato che è importante andare avanti e studiare perché dobbiamo integrarci. I miei genitori hanno deciso di rimanere in Ucraina, li chiamo ogni mattina per sapere come stanno. Spesso sentono gli allarmi e devono rifugiarsi in cantina. Io provo ad impegnarmi per non pensare alla guerra. Sfrutterò questo momento come occasione per integrarmi e rifarmi una nuova vita”.
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