La violenza nascosta che colpisce le donne con disabilità

C’è una violenza di cui non si parla, che resta celata. Perché è quella in cui si sommano stereotipi e si intrecciano disparità e che, per essere correttamente letta, deve incrociare competenze e capacità di comprensione. La violenza che colpisce le donne con disabilità è una violenza subdola e frequente: secondo i pochi dati disponibili (e questo è un primo problema), le donne con disabilità sono più spesso vittime di violenza sessuale, hanno più difficoltà ad essere credute, hanno meno risorse e strumenti a disposizione per salvarsi. A colpirle sono discriminazioni multiple, che sommate sembrano formare una matassa inestricabile ma che, invece, va districata e compresa, perché questa piaga possa essere estirpata.

Il 36% delle donne con disabilità ha subìto violenza

Le donne con disabilità (con limitazioni gravi) che hanno subìto violenze fisiche o sessuali sono il 36%, una percentuale già molto alta e più alta del 30% delle donne senza limitazioni. Il 10% è stata vittima di stupro contro il 4,7% delle donne senza limitazioni. La violenza psicologica dal partner attuale riguarda il 31,4% delle donne con disabilità (contro il 25%) mentre quelle che hanno subìto lo stalking prima o dopo la separazione sono il 21,6% (contro il 14,3% delle donne senza limitazioni).

I dati sono quelli dell’Istat del 2014, mancano numeri più completi e aggiornati. Lo diciamo sempre: un fenomeno per essere affrontato deve essere misurato e i dati sulle donne con disabilità che subiscono violenza sono pochi e vanno migliorati. Un passo avanti ci sarà con la nuova legge sui dati che riguardano la violenza sulle donne che, a cadenza triennale, daranno anche uno spaccato più preciso della situazione in caso di disabilità.

Quando le vittime sono minori

Più di recente, l’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti intimidatori) ha realizzato un’analisi su alcuni reati tipici della violenza di genere commessi nei confronti di donne con disabilità nei periodi 1ottobre 2020 – 30 settembre 2021 e 1ottobre 2021 – 30 settembre 2022, estrapolati dalla banca dati delle forze di polizia. Nei due periodi considerati sono stati riscontrati 125 e 105 episodi di maltrattamenti contro familiari o conviventi commessi nei confronti di donne con disabilità.

Frequente è il caso di minori con disabilità vittime di violenza assistita tra le mura domestiche. Per quanto riguarda la violenza sessuale sono stati registrati 26 e 24 casi. Tali reati colpiscono maggiormente le donne con disabilità di tipo cognitivo, solitamente con difficoltà a riconoscere l’abuso e a denunciarlo. Nei casi di violenza sessuale su donne con disabilità fisica, invece, la vittima viene presa di mira a causa delle sue difficoltà motorie che non le consentono di fuggire o opporre resistenza.

Molto spesso gli abusi sessuali avvengono all’interno della famiglia o nelle strutture deputate alla cura e all’assistenza. Generalmente l’autore del reato è una persona vicina, che gode della fiducia della vittima, come un familiare, un amico, un operatore sanitario, un insegnante, un volontario o il caregiver.

L’approfittamento dello stato di disabilità – si legge nel rapporto – può ricorrere anche in alcune condotte illecite realizzate nel web: molte giovani con disabilità vengono contattate sui social network, circuite e indotte a produrre materiale sessualmente esplicito. Sovente, tali vicende si concludono con richieste estorsive, anche di natura sessuale, ai danni della malcapitata, sotto la minaccia di divulgare il materiale pornografico che la ritrae”.

Quanto è difficile credere alla violenza sessuale?

I dati Istat fanno emergere come le donne con disabilità subiscano più del doppio la violenza sessuale rispetto alle donne senza disabilità. Ma nell’esperienza questo dato è ancora più alto, soprattutto per le donne con disabilità psichiatrica o cognitiva, che faticano a riconoscere come tale una violenza sessuale”. Rosalba Taddeini, psicologa e responsabile dell’Osservatorio di Differenza Donna sulla violenza contro le donne con disabilità, un tema di cui l’associazione si occupa da 15 anni. “Intanto le ragazze o le donne con disabilità vengono viste – anche dalle loro famiglie – non di interesse sessuale, quasi angelicate, comunque asessuate, ma di fatto non è così. Nei focus group che conduciamo tutte hanno il fidanzato o la fidanzata e parlano delle loro esperienze sessuali. Questo è un forte pregiudizio che le mette a rischio, perché possono ritrovarsi in situazioni che non conoscono”, dice Taddeini. Per esempio, non hanno “nessun tipo di educazione sessuale scolastica (il sostegno a scuola riguarda solo le materie principali), sono spesso isolate dal gruppo scolastico, non vengono invitate e feste e compleanni togliendo loro anche la possibilità del confronto tra pari e questa solitudine, questa difficoltà si sente proprio quando iniziano le relazioni”. Proprio per supplire a queste carenze Differenza Donna lavora con i focus group, per parlare alle ragazze di quegli aspetti che restano sempre nascosti nelle loro vite. E che possono metterle a rischio visto che sono proprio loro quelle a maggior rischio di violenza sessuale.

La violenza online e l’educazione alle relazioni

Per esempio, l’attenzione deve essere alta anche rispetto ai rischi che le ragazze e le donne con disabilità corrono online. “Molto spesso ci capita di sentire donne con disabilità soprattutto cognitiva che si fidanzano online, ma nel momento in cui si trovano a incontrare il fidanzato si ritrovano persone che non sono le stesse della fotografia e le stesse con cui loro pensavano di aver chattato. Non è raro che, in quelle situazioni, si ritrovino ad essere vittime di abusi o violenze. E molto spesso inviano foto intime online a questi fidanzati e con molta più facilità rispetto alle ragazze o donne senza disabilità vengono ricattate e circuite“, spiega Taddeini.

La psicologa cita il caso di una ragazza che aveva inviato foto intime e si è trovata poi ricattata dal “fidanzato” che minacciava di inviarle ai genitori e agli amici. “In quel caso la violenza si è bloccata perché il padre della ragazza si è rivolto a un centro antiviolenza: aveva notato che sua figlia era diventata molto strana, aggressiva, teneva il telefono sempre con sé e usciva alle ore più disparate e ha capito che c’era qualcosa che non andava. Lei pensava di essere in una relazione d’amore e pensava che il ricatto facesse parte delle regole della relazione stessa, anche se ne soffriva“.

In un altro caso, una ragazza ha raccontato che il fidanzato voleva che “avesse sempre la videocamera del telefono accesa e in funzione, qualsiasi attività facesse” e, in un altro ancora, una ragazza sosteneneva “che il fidanzato le voleva bene perché aveva dimostrato di essere molto geloso, prendendola per il collo o rompendole il dito nella portiera dell’auto“. In questo senso gli interventi, come quello dei focus group di Differenza Donna, sono mirati a ridurre le carenze nella conoscenza di sé, dei propri diritti nelle relazioni, del proprio corpo e della propria sessualità, del funzionamento di una relazione sana.

C’è poi il contesto che deve cambiare, in una società in cui l’inclusione reale è ancora una chimera. “Mi ha colpito molto – dice ancora Taddeini – il racconto di una ragazza con disabilità che era entrata in un negozio di una importante marca di reggiseni e aveva chiesto un completino intimo. La commessa le aveva subito chiesto se la ragazza a cui lo voleva regalare avesse le sue stesse misure. Non le era neanche venuto in mente che lo volesse comprare per sé. La sua riflessione, in quel caso, fu che sentiva di non avere diritto neanche di affacciarsi alla propria sessualità“.

Mancano servizi e misure ad hoc, le donne con disabilità sono lasciate sole

Le discriminazioni multiple che soffrono le donne con disabilità trovano difficile terreno di ascolto. “Alle donne non si crede, quando denunciano violenza, alle donne con disabilità – soprattutto cognitiva – si crede ancora meno“, dice Simona Lancioni responsabile di Informare un’H – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, che porta avanti da anni campagne informative e di sensibilizzazione sui temi legati alla disabilità e all’inclusione.

La donna con disabilità, per essere creduta, “deve dimostrare di essere capace di intendere e di volere. E molto spesso sono gli stessi familiari a non prestare fiducia alle sue parole“. Per Lancioni l’attenzione alle donne con disabilità è carente (o del tutto assente) a moltissimi livelli, a partire da quello della prevenzione. “Se pensiamo alle stesse campagne sulla violenza sulle donne, sono rarissime quelle che citano la situazione delle donne con disabilità e, in ogni caso, quelle accessibili sono pochissime (come questa realizzata da Alley Oop nel 2020, per esempio, o questa dell’associazione D.i.Re. ndr) e questo significa non fare prevenzione“.

Alcuni strumenti, poi, ci sono ma non vengono adeguatamente comunicate: il servizio antiviolenza 1522, per esempio, oltre a essere una linea telefonica può essere contattato anche via chat e via app, informazione fondamentale per esempio per una donna sorda, “ma la pubblicità è ancora limitata alla sola linea telefonica, senza porsi il problema dell’accessibilità“.

I centri antiviolenza tra accessibilità e bisogno di formazione

C’è poi il tema dei servizi di cui si compone la rete antiviolenza, “che a parte alcune esperienze virtuose” non sono pronti ad accogliere la discriminazione multipla subìta dalle donne con disabilità. “Per questo motivo – dice Lancioni – poter disporre di linee guida (come queste e queste) che illustrino come rendere inclusivi gli ambienti, la comunicazione, l’accoglienza delle vittime e tutte le pratiche di contrasto alla violenza poste in essere in tutti gli snodi della rete, può davvero segnare una preziosa occasione per dare concretezza ai princìpi di uguaglianza e non discriminazione“, afferma Lancioni.

Alla violenza di genere (fisica, sessuale, economica e psicologica) si sommano quelle legate alla disabilità: “Donne ricattate se non autosufficienti, ricattate sulla cura, nel somministrare o negare le terapie con una forma pervasiva di controllo. Chi si occupa di disabilità non sa niente di violenza e viceversa, occorrono entrambe le competenze, le linee guida si muovono in questa direzione perché serve un lavoro multidisciplinare“.

Intanto la rete dei centri-antiviolenza D.i.Re tra le varie iniziative sul tema ha realizzato un’indagine riferita al 2021 per misurare i gradi di accessibilità dei centri antiviolenza per le donne con diversi tipi di disabilità. Quasi tutti i centri della rete ( 84% ) sono accessibili a donne con disabilità motoria. Quasi il 40% dei centri ha accolto un numero di donne compreso tra 1 e 5 e l’autore della violenza è quasi sempre il partner o l’ex-partner (oltre l’85%).

Dalla ricerca emerge, inoltre, che la disabilità non è conseguenza della violenza in oltre la metà dei casi (56%) e la correlazione non è nota in alcuni casi (25%). Un centro su 5 (19,4%) dispone di strumenti e/o materiali idonei per accogliere donne con disabilità motoria quali: assenza di barriere architettoniche, servizi igienici accessibili, canali whatsapp dedicati mentre un centro su 4 (23%) utilizza la mediazione per donne non udenti e soltanto il 16% la mediazione per donne con disabilità visiva. L’associazione ha definito l’indagine “il punto di partenza di un percorso lungo e complesso all’interno dell’associazione D.i.Re finalizzato a migliorare la conoscenza del fenomeno della violenza contro le donne disabili e quindi a uno sviluppo di pratiche adeguate. L’attenzione verrà posta anche sulle disabilità intellettive e psichiatriche con un’ulteriore indagine esplorativa”.

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  • Anna Grazia Busato |

    Sono Anna Grazia della provincia di vicenza.sono cattolica,mia madre era napoletana, e soprattutto sono portatrice di handicap.finche vai a una visita,decidi di passare dei momenti di gioiose interfacce con lo psicologo perché a lavoro ti umiliano in ogni modo.e toccano i tasti che sanno che ti riguardano con crudeltà.ti abusano di potere,ti diffamano.solo perché questa fabbrica è ,a detta loro,una grande famiglia. . Che gioca al cabaret con la tua storia di vita.questo è….passare per la bocca di saccentioperai.e perfino capo dirigente sindacalista.l importante è abbassare la testa e dire sempre ….”si ho sbagliato”è colpa mia sono io la pazza.il posto sicuro per un portatore di handicap indebitato costretto a fare finta di niente su tutto.perche il dolore fisico che prova viene inondato da semplici lacrime di disperazione per lo schoc di vivere,tali oltraggi.fanno finta che tu non esisti perché il capo è fissato di te.storia inverosimile? eppure sono lucida le lacrime sono un passaggio dalla fede in Dio al comportamento degli esseri umani.sto vedendo una psicologa con la mutua si.perche mi parla e mi ascolta con rispetto e tatto.senza volermi cambiare.io sono troppo buona io non rispondo mai male.io sono apatica.io sono chiusa.io non ho rispetto del lavoro.io non ho rispetto delle colleghe.io dico bugie.insomma sono peggio di un mafioso sulla bocca di persone con un altissimo alterego.che non risparmiano di pareri gratuiti nessuno che viva in maniera diversa da loro.io sono in buona fede e conosco la carità.ma non mi paragono mai a nessuno.quindi per questa industria secolare che conta solo per la provincia di vicenza.dichiaro che questo stato di alterego nei miei confronti mi porterà sotto i ponti.distruggera il mio matrimonio.e darà più potere a chi mi vuole male.troppi.omertosi veneti 😛 lingua lunga e ruvida.quanti soprusi grossi ho subito non si è mai pronti a chi ti vuole mettere a tacere.e parlare al tuo posto.

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