Che cosa manca a questo Natale? Perché qualcosa manca: lo si avverte nelle strade e nel livello di energia delle persone. Lo si avverte, però, come si può avvertire qualcosa che non c’è.
“Mancano le luci per le strade”
mi ha detto l’altro giorno il titolare di una lavanderia. Ed è vero: ci sono meno luci, ma non è solo questo. Le persone per strada, di corsa tra negozi e pacchetti, sembrano tutte un po’ in ritardo e sottotono. Sembra quasi che ce le abbiano mandate, a fare acquisti.
Manca, ecco: manca l’attesa. Anche per chi non crede o non festeggia, questa stagione ha sempre segnato qualcosa di diverso, che arrivava insieme alle Feste per iniziare subito dopo, ed era l’attesa del nuovo. L’attesa, la speranza di qualcosa di nuovo e di bello che sarebbe arrivato perché lo meritavamo. E sarebbe arrivato perché lo aspettavamo.
Poi, un Natale dopo l’altro, la pandemia ha creato un periodo di sospensione dall’attesa. Prima, infatti, che qualcosa di nuovo e di bello potesse arrivare, qualcosa di imprevisto e di brutto doveva per tutti finire. Aspettavamo dunque il segnale di fine pandemia, e forse il Natale sarebbe stato il momento per celebrare e guardare di nuovo al futuro con attesa e aspettativa. Ma il segnale non è arrivato, anzi. Nel corso degli anni, le incertezze si sono moltiplicate e l’imprevisto è tornato a colpire, di nuovo su scala globale: la guerra nel cuore dell’Europa. Le cose che prima succedevano sempre agli altri stanno succedendo o minacciando di succedere, una dopo l’altra, anche a noi.
La sensazione che serpeggia, e che il Natale mette in luce – come fanno tutte le date simboliche del calendario, che hanno proprio la funzione di dare un significato al tempo che passa – è che aspettare sia diventato sciocco e inutile: il bello non verrà più. Non sapevamo, prima, di essere in un’era spensierata, all’oscuro della possibilità di una pandemia: non sapevamo che essere coraggiosi era facile, allora che già tutto sembrava veloce e complesso, ma molto meno incerto. L’aria di questo Natale è l’aria di una depressione che fatichiamo a definire, perché in fondo stiamo ancora più o meno tutti bene, usiamo il bancomat per comprare i regali, abbiamo in programma pranzi e cene. Come i criceti che girano nella ruota, stiamo facendo anche questo giro di giostra: ma questa volta, ecco, senza attesa.
Le cose, però. non succedono perché le aspettiamo: succedono perché le immaginiamo. L’assenza di attesa di oggi è il segnale di un malessere profondo, che ha colpito il nostro senso della possibilità: la nostra percezione di poter essere agenti, autori delle nostre vite. Ci sembrava che le cose belle dovessero arrivare da qualche mano invisibile, ma era la nostra capacità di desiderarle a renderle possibili: a farci disegnare e seguire i percorsi che ci avrebbero portati proprio da loro. Fuori dalla ruota del criceto, o nella ruota di un criceto che però sente di aver scelto la sua ruota, proprio quella.
Se l’interruzione nel flusso invisibile del tempo causata dalla pandemia ha alterato un disegno di lungo termine che dava significato a tutto, tutto quello che siamo e che facciamo, non c’è mano invisibile che metterà a posto questa storia. Ha ragione, quindi, chi oggi piange senza sapere perché. Ma ha ragione anche chi si sente improvvisamente libero di scrivere una storia totalmente nuova. Anche se vuol dire scriverla su una mappa che ancora non c’è: dover rompere le righe per trovare il foglio.
Come se, nelle strade, una musica misteriosa iniziasse a suonare. E quelli che la sentono, folli e incoscienti, si mettessero a ballare.
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