La 194 è di tutte e va difesa. Il pericolo delle provocazioni sbagliate

Wild and free like the wind

A 43 anni dalla sua promulgazione la legge 194 rimane al centro di un fuoco incrociato. La circostanza non è, in questo Paese, affatto una novità. Quello che il dibattito dell’ultima settimana ci consegna però è la conferma che si muoia anche di fuoco amico. La legge che riconosce alle donne il diritto a interrompere la gravidanza nel primo trimestre resta, per via di un contestatissimo esercizio di libertà, bersaglio prediletto.

È stata definita una “provocazione laica”, per ammissione della stessa Lella Golfo, quella che appare a sua firma sulle pagine dell’Avvenire del 26 maggio. La presidente della Fondazione Marisa Bellisario chiude a sorpresa una riflessione sul tema della natalità – dopo averlo declinato in chiave prettamente economica, per la durata dell’intero contributo – invocando la sospensione del diritto di aborto e l’introduzione del correlativo divieto per un quinquennio.

Seguiamo il ragionamento. Per combattere la mancanza di sicurezza e stabilità che starebbero alla base della scelta di non fare figli, Golfo – già deputata di Forza Italia nella sedicesima legislatura e prima firmataria con Alessia Mosca (Pd) della legge sulle quote di genere negli organi societari – propone di vietare l’interruzione della gravidanza e dare ai futuri padri e madri italici “non una mancia ma un lavoro e una casa”.

Proviamo a non scollegarci troppo dai dati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce nel tasso di abortività l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all’IVG. La premessa serve per leggere correttamente l’ultima Relazione del Ministero della Salute. Per dirla coi numeri, nell’anno 2018 il tasso di abortività è risultato pari a 6,0 IVG per 1000 donne in età 15-49 anni, con un decremento di 4 punti percentuale rispetto al 2017.

L’assoluta infondatezza della soluzione Golfo ce la danno proprio le indagini ufficiali: Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale”. Il report chiarisce inoltre come il 48,6% delle italiane che ha praticato l’IVG risulta occupata e che poco meno della metà (45,3%) non ha altri figli. È peregrino pensare che, al di là di qualsiasi riferimento alla crisi economica, alla base di quella scelta ci siano personalissime e intime valutazioni anche di altro tipo?

Una provocazione fuori luogo in Europa

Facciamo un passo indietro e torniamo alla “provocazione laica” di Golfo, che ha contorni importanti e implicazioni complesse. L’ex parlamentare cita la libertà ma non la difende, tutt’altro, la immola. E, com’era prevedibile, finisce per deflagrare generando un’onda d’urto che smuove le reazioni più disparate. Per dire di una, il quotidiano dei vescovi raccoglie l’assist e sposa la proposta, facendola propria. Poi c’è chi non ci sta, senza mezzi termini. E di provocazione in provocazione, parafrasando la risposta di UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), molti si chiedono a quando la sospensione degli attacchi alla 194.

Che l’uscita della presidente della Fondazione Bellisario vada nella direzione sbagliata non lo dicono solo le femministe, come non è difficile comprendere che l’ipotetica moratoria ci porterebbe fuori legge.

La Risoluzione del Parlamento europeo del 13 febbraio 2019 sull’attuale regresso dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere nell’UE cita il Consiglio d’Europa che nel 2017 parla esplicitamente di minacce per i diritti sessuali e riproduttivi delle donne. La comunità interazionale insomma è invitata a stare in guardia “alla luce dei tentativi di diversi membri di rendere più restrittiva la legislazione in materia di accesso all’aborto e alla contraccezione“. Analogamente, è dell’agosto 2018 una dichiarazione congiunta in cui il Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW) e il Comitato sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) delle Nazioni Unite sottolineano che “l’accesso all’aborto sicuro e legale, come pure ai servizi e alle informazioni ad esso inerenti, sono aspetti essenziali della salute riproduttiva delle donne, esortando nel contempo i paesi a fermare la regressione nell’ambito dei diritti sessuali e riproduttivi di donne e ragazze, poiché tale regressione rappresenta una minaccia per la loro salute e le loro stesse vite“.

Semmai non bastasse l’ancoraggio alle norme interne e alla copertura costituzionale, perciò, c’è anche il Parlamento europeo che ha riconosciuto che “negare l’accesso legale all’aborto rappresenta una violenza contro le donne“.

A convincerci che le premesse da cui parte il ragionamento di Lella Golfo siano errate è, da tanti punti di vista, la stessa questione Polonia. Menzionato nella lettera aperta, quell’esempio, è materia liquida e va peraltro guardato nel suo quadro d’insieme: Varsavia come l’Ungheria e la Slovacchia, come pure l’Arkansas, stato a stelle e strisce che ha da poco varato una legge che non fa sconti nemmeno su stupri, incesti e malformazioni del nascituro. Diversamente da quanto sembra suggerire l’interpretazione fornita da Golfo, c’è in tutti questi casi un fattore “altro” che non può omettersi: ad avere ragione dei diritti è ancora una volta la politica, quella che non smette di sacrificare le donne, nel nome di un’ideologia ultracattolica e di estrema destra. Lo dimostrano le reazioni di dissenso che si sono moltiplicate rapidamente in tutto il mondo. Piazze infuocate che sanno bene che in gioco c’è la libertà.

Sempre il Parlamento europeo si schiera con decisione, anche dinanzi a quello che denuncia come “divieto di fatto del diritto all’aborto in Polonia“. E lo fa con una Risoluzione del novembre 2020 in cui testualmente “deplora il maggiore ricorso all’obiezione di coscienza” e invita la Commissione a confermare l’applicazione della direttiva 2004/113/CE in materia di  forniture di beni e servizi e diritti, salute sessuale e riproduttiva “e a riconoscere che i limiti e gli ostacoli all’accesso ai beni e ai servizi in materia di salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti costituiscono una discriminazione basata sul genere, in quanto colpiscono in modo sproporzionato un genere (le donne) o gruppi vulnerabili (ad esempio persone transgender e non binarie)“. Condanna l’Europarlamento “l’abuso del potere giudiziario e dei suoi poteri legislativi da parte del governo polacco per strumentalizzare e politicizzare la vita e la salute delle donne e delle persone LGBTI +, determinando la loro discriminazione al riguardo“. Un esempio insomma, quello della Polonia, che meno indicato non avrebbe potuto rivelarsi.

Questione di autodeterminazione

Ma per tornare al ragionamento, non si può tacere come sia, in definitiva, sul vecchio terreno dell’autodeterminazione che andiamo a parare, anche questa volta. Due o tre riflessioni ancora possono servire, per provare a chiudere il cerchio.

Qual è lo scenario? Quale sia lo sfondo su cui proiettare quella “provocazione laica” non è proprio chiarissimo. Da principio potevamo pensare che fosse la crisi, le difficoltà economiche e un’insufficiente tutela della maternità. Una rapida scorsa, però, agli interventi successivi basta a sconfessare quella conclusione. Lo fa la stessa presidente, sempre sulle pagine dell’Avvenire. In risposta al vespaio di polemiche, mette una toppa che pare peggio del buco: “Vorrei che le ultime generazioni facessero il “mea culpa”, ammettendo tutte le “tare” che le hanno portate a non fare figli o a cercarli troppo tardi: l’individualismo, il narcisismo, l’egoismo, l’attendismo, la paura di assumersi responsabilità”.

Mea culpa, tare, egoismo, ma precisamente di cosa stiamo ragionando? Proviamo allora a chiederci in nome di quale valore o principio – etico, morale, religioso o laico che sia – è invocata la sospensione di un diritto, pratica che – va detto – fa tornare alla mente echi lontane di legislazioni emergenziali. Anche nel metodo oltre che nel merito la proposta è inaccettabile. Si assiste increduli a un arretramento: battaglie antiche, conquiste mai del tutto raggiunte che si accartocciano in mille grinze.

Assunta da chi ha speso tutta la vita a promuovere la parità e l’affermazione delle donne nel mondo del lavoro, quella è peraltro una prospettiva quanto meno parziale. Dice di crisi economica, di asili che mancano, di contributi che scarseggiano, di un welfare che non esiste più se non in una versione ultra ultra light, ma lascia fuori un’ampia fetta di motivazioni che attengono a ben altro. Il piano che resta in ombra è proprio quello della possibilità di scegliere che la 194 riconosce – finalmente – a quante di noi non vogliono diventare madri, mentre non fare figli si conferma un tabù ancora oggi fortissimo, appena appena scalfito dall’impegno femminista.

La 194 e l’obiezione in Italia

Se riprendiamo la Relazione del Ministero della Salute abbiamo il quadro di un sistema che dal suo interno continua a minare la 194: “Nel 2018 le Regioni hanno riferito che ha presentato obiezione di coscienza il 69% dei ginecologi, il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale non medico”, valori peraltro in aumento rispetto a quelli dell’anno precedente. È incontestabile come siano numeri, questi, che rendono pressoché impossibile l’esercizio del diritto d’aborto.

Le conclusioni cui perviene il documento del Ministero raccontano perciò una storia del tutto differente: “in Italia l’IVG è in continua e progressiva diminuzione dal 1983 e il ricorso a tale intervento (tasso di abortività) del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei Paesi occidentali; un terzo delle IVG totali continua ad essere a carico delle donne straniere”.

Non c’è comunque da stare allegre, perché il mancato ricorso all’interruzione (legale) di gravidanza si deve a un reticolo fittissimo di ostacoli che limitano di fatto, ogni giorno e in tutte le regioni della penisola, la libertà delle donne e l’esercizio di un loro sacrosanto diritto. Perfino il trattamento farmacologico – la pillola abortiva – è motivo di grandi scontri ideologici. Per l’aborto clandestino, poi, bisognerebbe aggiungere un altro e più doloroso capitolo a questa riflessione.

Se si tratta, però, di tornare al ragionamento e di individuare l’ostacolo che si frappone alla ripresa della natalità in Italia, non è in definitiva nell’interruzione di gravidanza che possiamo trovarlo. Più che una provocazione laica, quella che ha fatto sobbalzare dalla sedia molte di noi, è forse, semplicemente, una provocazione sbagliata.