Cambio vita, perché stai lasciando il tuo lavoro?

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Solo nei primi tre mesi dell’anno, oltre 300 mila persone hanno lasciato un posto di lavoro a tempo indeterminato. Circa il 35% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, quando già si era toccato il record con 1 milione e 133 mila dimissioni. È l’effetto della Great Resignation, che dall’America ha velocemente conquistato anche l’Italia.

Secondo l’ultimo Workmonitor di Randstad, il 29% dei dipendenti sta attivamente cercando un lavoro, il 24% ha intenzione di farlo e quasi 4 lavoratori su 10 sono pronti a lasciare se l’azienda non terrà conto delle loro richieste. Senza rimpianti. Parliamo di lavoratori mossi da un profondo disallineamento tra i loro valori e quelli dell’azienda, da una frustrazione di base per il mancato sviluppo professionale o dalla ricerca di una maggiore flessibilità e integrazione tra vita lavorativa e privata. Un fenomeno che riguarda soprattutto i più giovani: dallo stesso report emerge infatti che oltre un terzo dei dipendenti ha lasciato il lavoro perché non si adattava alla vita privata, con una percentuale che sale al 51% tra i 18-34 anni. Anche se ora non mancano gli studi che ci raccontano di persone pentite, in cerca di un lavoro fisso soprattutto negli Stati Uniti.

Eppure c’è chi va dritto per la strada del “cambio vita”. Ma come si comunica la scelta di lasciare e ricominciare? Le parole, mai come in questo caso, sono importanti. E l’onestà (quanto basta) sembra essere il passepartout per districare anche in nodi più complicati. Come ricorda la piattaforma Wikijob, che sul tema ha stilato un vero e proprio elenco con tanto di frasi tipo da usare al bisogno, uno dei suggerimenti più importanti è: evitare di denigrare o incolpare il precedente datore di lavoro. Sia in fase di dimissioni sia di ricollocamento, mostrare acredine per il passato, rischia di mettere in cattiva luce anzitutto il lavoratore o la lavoratrice.

Meglio focalizzarsi sugli aspetti positivi e sulle prospettive per il futuro. Questo vale anche se la ricerca della nuova posizione non è frutto di una scelta, ma di un licenziamento: è sempre meglio porre l’accento su ciò che si è imparato, più che sugli errori commessi e sulle motivazioni che hanno portato alla rottura. Stessa cosa se si è soliti cambiare spesso lavoro: è preferibile dichiarare onestamente i motivi per cui lo si fa, sottolineando, ancora una volta, cosa si è appreso lungo il percorso.

Se, invece, rientrate nel novero di coloro che cambiano lavoro per ricercare una maggiore flessibilità, attenzione: questa è una motivazione da maneggiare con cura. Il rischio di apparire superficiali e poco responsabili è dietro l’angolo. È essenziale infatti sottolineare quanto si sia capaci di gestire bene il tempo, di bilanciare i compiti e di rispettare le scadenze. È un consiglio che vale anche per chi avanza una richiesta di smart working. Giustificare tale esigenza con: “Vorrei più tempo da trascorrere con i miei bambini” non suona certo professionale agli occhi del datore di lavoro.

Chi, invece, sceglie di cambiare per una sana ambizione professionale o per la ricerca di un ambiente più in linea con i propri valori, non avrà nulla da temere. Basterà ammetterlo, argomentando tale decisione con esempi concreti, chiarendo, quindi, che si è pronti ad avere più responsabilità, a gestire team più ampi e a mettersi alla prova con obiettivi e compiti sfidanti. Nel caso del cambiamento valoriale, invece, bisognerà spiegare in fase di colloquio quali sono i valori che si ricercano nel nuovo contesto – ad esempio, una maggiore attenzione alla sostenibilità, alla diversità e alle pari opportunità -, onde evitare brutte sorprese in futuro.

In definitiva, lasciare e ricominciare non è mai semplice. Per riuscirci al meglio, nel lavoro come nella vita, la cosa più importante è: conoscersi, essere consapevoli di chi si è e di cosa si sta cercando. Il resto verrà da sè. Parole incluse.