C’è un file rouge che lega l’origine del Primo Maggio all’attuale trasformazione digitale del lavoro. La nascita delle grandi fabbriche della rivoluzione industriale impose il rispetto dei diritti di una nuova tipologia di lavoratori garantendo salari, protezione, garanzie occupazionali ma anche partecipazione nei processi organizzativi. L’attuale trasformazione digitale che è stata accelerata esponenzialmente dalla pandemia porta in luce temi analoghi perché mai come in questo ultimo anno abbiamo assistito ad un cambio radicale del lavoro sia in termini di contenuti che di modalità.
Esattamente un anno fa, il Sole 24 Ore titolava che le Tech Company in Usa avevano raddoppiato i loro utili mentre in Italia si perdevano 600 mila posti di lavoro e circa 50.000 sono state le imprese ad uscire dal mercato. Come sappiamo sono state le donne e i giovani a subire di più la crisi occupazionale che è pesata su una situazione già complicata: il tasso di disoccupazione giovanile a gennaio 2021 ha raggiunto il livello più alto degli ultimi anni, 33,8%, mentre oggi scende al 26,8% secondo gli ultimi dati Istat, che si riferiscono all’ultimo trimestre del 2021.
Donne & lavoro
Le donne che hanno perso il lavoro nel 2020 sono state il doppio rispetto ai colleghi uomini. Questo da un lato perché occupavano più spesso posizioni lavorative meno tutelate, ma dall’altro perché erano impiegate nei settori che sono stati più colpiti della crisi. Oggi la situazione lavorativa delle donne è migliorata, seppur di poco, con un aumento delle donne occupate e una diminuzione delle donne inattive o disoccupate. L’ultima rilevazione Istat riporta che il numero di occupati a gennaio 2022 è superiore a quello di gennaio 2021 del 3,3% (+729mila unità).
L’aumento del tasso di occupazione si osserva per uomini e donne, per qualsiasi classe d’età e posizione professionale. Nel corso degli ultimi mesi l’andamento delle posizioni di lavoro si è rafforzato: da giugno 2021 il numero di contratti attivati è tornato sui livelli prevalenti prima dello scoppio della pandemia e, negli ultimi mesi dell’anno, ha quasi raggiunto il sentiero di crescita che si sarebbe registrato se l’evoluzione della domanda di lavoro si fosse mantenuta, anche durante l’emergenza sanitaria, sugli stessi ritmi del periodo 2018-19.
Se questi ultimi indicatori stanno segnando un trend di miglioramento, seppur lieve, ci sono altri elementi che fanno preoccupare, come la crescita delle diseguaglianze soprattutto per le nuove generazioni e la disparità della qualità del lavoro che vede una differenza sempre più netta tra pochi lavoratori che possono beneficiare della flessibilità dei lavori digitali e la maggioranza di loro che invece è schiacciata dai ritmi rigidi che sottostanno ai business digitali.
Le grandi dimissioni
La riflessione sulla qualità del lavoro, o detta in termini più aziendali sul “purpose“, è una riflessione che è stata fatta individualmente da milioni di lavoratori in tutto il mondo e che ha portato al fenomeno che è stato nominato “Great Resignation“. In linea teorica questo fenomeno andrebbe letto positivamente perché è indice di una buona mobilità del lavoro perché lascia ai lavoratori la possibilità di scegliere lavori più appaganti ma in un contesto di complessità come quello attuale desta non poca preoccupazione qualora l’abbandono del posto del lavoro sia in qualche modo indotto da contesti lavorativi “tossici”.
Da una recente ricerca di McKinsey emerge che la maggior parte dei lavoratori stia lasciando il lavoro per ritrovare i propri spazi di vita e ribilanciare vita privata e lavoro. Se pensiamo che in questi ultimi anni si è parlato di “work-life integration” e di come i confini tra vita e lavoro non ci fossero, questo nuovo indirizzo è un fenomeno da tenere in forte considerazione anche per le imprese che si trovano a dover inserire nuove risorse e necessariamente devono pensare a quali benefit offrire per essere attrattive.
Il mismatch
Un altro elemento di riflessione è che nonostante la disoccupazione, le aziende italiane faticano a trovare lavoratori. A fronte di 2,3 milioni di disoccupati e 13,5 milioni di inattivi, per le imprese non è facile trovare il personale che cercano. Quello del mismatch tra domanda e offerta di lavoro non è un fenomeno nuovo per l’Italia. Da anni il disallineamento è dettato dalla distanza tra le competenze dei lavoratori e quelle che cercano le imprese, che generalmente sono sempre più specifiche e digitali.
Covid e business digitali hanno anche favorito lo smart working: possiamo dire che il 2020 e 2021 sono stati gli anni del lavoro flessibile, cosa succede oggi e cosa resterà di questo modo di lavorare? A maggio dello scorso anno, le Big Tech americane, come Twitter, Amazon, Microsoft, Google, Airbnb, avevano dichiarato che si sarebbe tornati in ufficio. Oggi la situazione è cambiata perché alcune di loro stanno facendo marcia indietro dando la possibilità di lavorare interamente da remoto come Airbnb o PwC. In Italia c’è stato il via libera all’emendamento che proroga fino al 31 agosto l’accesso allo smart working semplificato per il settore privato, così come per i genitori di figli con fragilità e, fino al 30 giugno, il regime di tutela per i lavoratori e le lavoratrici fragili.
Cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi mesi? Il mercato del lavoro sarà sempre più fluido ma il rischio che i business digitali possano portare diseguaglianze resta elevato. Per cui è sempre importante valorizzare la festa del lavoro per osservare questi nuovi fenomeni, mettersi in ascolto e valorizzare la partecipazione di chi un lavoro ce l’ha ma anche di chi lo sta cercando oppure vuole cambiarlo.
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