Lavoro, la certificazione di parità non basta serve l’impegno del Ceo

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La presenza delle donne in posizioni di senior management nelle aziende del Down Jones è del 18%, ma tra le aziende che si certificano è anche doppia. Un processo virtuoso – quello della certificazione – che porta con sé chiarezza su priorità aziendali e innovazione di processi. Nel abbiamo parlato con Simona Scarpaleggia, Board Member di Edge Strategy.

Anche in Italia è in arrivo la certificazione sulla parità di genere. Siamo ad una svolta su questo tema?

Mi sembra molto positivo aver deciso di adottare una certificazione basata sui dati, qualitativi e quantitativi. E’ un passo avanti rispetto al riconoscimenti di buone prassi perché permette di scattare una fotografia puntuale e dettagliata di dove si posiziona concretamente un’azienda rispetto alla diversity equity & inclusion. Certo è su base volontaria, ma ha un sistema premiale per chi aderisce ed è importante che sia legato al PNRR e sia quindi riconosciuto come un elemento strategico per la ripresa e lo sviluppo economico dell’Italia.

Dopo una lunga carriera in Ikea sei diventata Simona Scarpaleggia Board Member di Edge Strategy: già anni fa hai intuito l’importanza di misurare le politiche di Diversity Equity and Inclusion (DEI)? 

Sono convinta – e la mia esperienza me lo ha confermato negli anni – che le politiche di DEI per essere incisive e sostenibili nel tempo devono essere misurate, per poi essere migliorate e aggiornate. EDGE è nata nel 2009 e ha iniziato ad emettere le prime certificazioni 8 anni fa, ora è presente in 50 Paesi a riprova del crescente interesse e bisogno di realizzare misure concrete sulla diversità e l’inclusione di genere. La particolarità del nostro processo di certificazione è che combina una rigorosa analisi dell’organizzazione rispetto all’equità di genere ed intersezionalità con la definizione di piano di azione che porta poi alla certificazione, fatta da un ente certificatore esterno.

L’equità di genere è misurata in maniera quali e quantitativa – anche con survey tra i collaboratori, per ascoltare il loro vissuto – e include l’analisi della rappresentanza di genere nei diversi livelli di responsabilità, una verifica dell’equità salariale, un esame delle politiche e prassi che possono garantire equità di carriera in termini di assunzione e promozione, formazione, lavoro flessibile e cultura organizzativa. Un processo impegnativo, che da i suoi frutti. Le aziende che decidono di intraprendere un percorso di certificazione migliorano significativamente – in media di 10 punti percentuali rispetto alla media delle aziende quotate – la presenza femminile a tutti i livelli aziendali. Per esempio la presenza delle donne in posizioni di senior management nelle aziende del Down Jones è del 18%, ma tra le aziende che hanno la certificazione EDGE è del 30%. Di fatti ora indici come DJ Sustainability Index, Bloomberg D&I Index e Equileap considerano EDGE tra i loro criteri di valutazione.

Nelle tua esperienza cos’è che può “fare la differenza” in un piano di DEI?

L’ endorsment da parte del ceo è fondamentale e deve essere chiaro a tutti i collaboratori che la diversità e l’inclusione di genere sono un elemento della strategie aziendale. Solo così la DE&I diventa un elemento trasversale in tutte le aree di business e non resta limitato e di appannaggio di gruppo di lavoro. Sfatiamo però il mito che le politiche di DE&I siano alla sola portata delle aziende più grandi: ci sono misure molto semplici ma efficaci che ogni azienda può adottare, come avere per prassi una short list di candidati equilibrata per genere per ogni ricerca attiva. E poi le politiche di welfare a supporto della famiglia – per le quali il PNRR prevede nuovi investimenti – possono fare la differenza: in Italia si da quasi per scontato che i carichi di cura per la famiglia siano appannaggio delle donne. Bisogno invece avere più strutture e servizi a supporto dei genitori, in modo da riequilibrare il loro impegno e anche la paternità “obbligatoria” è un forte segnale in questo senso.

Ci fai un esempio di endorsement efficace che hai vissuto in prima persona?

Quando Ikea più di 10 anni fa ha deciso di lavorare sull’uguaglianza di genere il CEO globale ha convocato i primi 200 top manager e ha capito subito l’urgenza del tema, perché in questo gruppo non c’erano quasi donne, dieci in tutto. Allora ha deciso di coinvolgere altre 50 donne di talento, e ha dato subito un segnale chiaro sul valore strategico di questo tema: ci ha dedicato 5 intere giornate – un investimento molto importante, se si pensa a quanto vale l’agenda di un top manager – per lavorare in gruppo sulla consapevolezza di questo tema. Così la parità di genere è entrata nell’agenda strategica. IKEA é infatti certificata EDGE sin dal 2013.

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  • Nicolo' Luca Ingianni |

    Iniziativa molto interessante

  • Aurora Notarianni |

    Articolo molto interessante. Vorrei essere informata grazie

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