Togli il buco dal CV: fai posto alla vita tra i titoli di lavoro

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Dallo scorso marzo, oltre 700 milioni di persone nel mondo hanno guadagnato un diritto: quello all’assenza produttiva. L’unico attore che aveva il potere di farlo succedere così in fretta in tutto il mondo, facendo un’operazione al tempo stesso politica e culturale, era Linkedin, e lo ha fatto: ha inaugurato infatti l’era dei “career break”, attivando nella propria profilazione la possibilità di riempire i vecchi vuoti con delle definizioni, dotando così la vita lavorativa di un nuovo vocabolario. Li ha chiamati, appunto, “career break”: pause di carriera, anche se la parola break viene dal verbo rompere, quindi semanticamente sono più delle rotture che degli intervalli. La lingua inglese consente poi miracolosamente di leggerli sia come rotture nella carriera che come rotture “finalizzate alla” carriera, ed è forse per questo che in italiano non sono stati tradotti, mantenendogli il privilegio dell’ambiguità.

Nel fare questa scelta, Linkedin ne ha fatte anche delle altre, tutte piuttosto significative per la cultura del lavoro. Innanzitutto, ha scelto quali categorie inserire sotto il cappello delle interruzioni lavorative, legittimando così una serie di accadimenti della vita e dovendo al tempo stesso dargli un nome che fosse inclusivo e semi-esaustivo di tutte le possibilità. La quantità di impegno profuso si evince dal numero delle categorie tra cui è oggi possibile scegliere: la tassonomia delle transizioni di vita inaugurata da Linkedin si compone di sole 13 opzioni laddove, se chiunque di noi si mettesse a elencare il numero di previsti ed imprevisti che ci possono allontanare dalla carriera (parola che deriva dal termine carro, indicando la strada per esso tracciata), non riuscirebbe a stare sotto le 50 definizioni.

Ed è davvero il segnale di un gran lavoro: le tredici categorie linkediane si dividono quasi equamente tra famiglia, lavoro e dimensione personale, in alcuni casi con una certa specificità e in altri con un’apertura che però non ne indebolisce la comprensione. Eccole tradotte in italiano, anche se oggi vengono presentate anche in Italia in inglese:

1. lutto
2. transizione lavorativa
3. caregiving
4. genitorialità full time
5. anno sabbatico
6. licenziamento/posizione eliminata
7. salute e benessere
8. perseguimento di un obiettivo personale
9. sviluppo professionale
10. rilocazione
11. pensione
12. viaggio
13. volontariato

La seconda scelta è stata quella di presentare queste opzioni in modo nuovo: dimostrando sulla base dei dati che periodi di assenza hanno riguardato in passato il 62% dei lavoratori e che un altro 35% sa già oggi che ne avrà in futuro, Linkedin evidenzia infatti che questo costituisce uno stigma nel momento del reingresso, anche solo perché un manager su cinque dichiara apertamente di rigettare a priori questo tipo di candidati. Il rifiuto va poi ben oltre questo 20% di manager: la strada del “ritorno” in carreggiata è tortuosa per molti altri motivi, manifesti o meno. Si tratta a tutti gli effetti di un enorme bacino di talenti che finisce in una zona grigia delle valutazioni a causa di uno stereotipo culturale che vede le persone frazionate a seconda dei loro diversi usi: con questa vista, se l’area adibita al lavoro impiegatizio viene “spenta” non c’è altro da vedere, valutare, misurare. Linkedin si raccomanda quindi di saper guardare le persone nella loro interezza e rivela che il 51% dei manager riconsidererebbe lo stesso candidato prima rigettato se sapesse “perché” ha quella pausa nel CV.

Vederci quindi, meglio e di più, per rompere lo stereotipo del “qui non c’è niente” attraverso una narrazione più ricca e più vera delle nostre vite. Sembra facile a dirsi. Il problema è che gli stereotipi regnano soprattutto nell’urgenza e nell’incertezza: sono sempre efficaci scorciatoie, producono errori già noti e sono protetti da tutti gli strumenti, procedure e convenzioni che hanno generato negli anni. L’indicazione di Linkedin è quindi quella di aguzzare la vista per saper riconoscere le competenze che queste pause hanno generato per il semplice fatto di essere intense esperienza di vita. “Le competenze non rispettano i confini” dice Linkedin: e le competenze che fluiscono sono spesso le più utili, quelle che la vita mette alla prova con l’imprevedibilità, la complessità, il bisogno di cura e gli eventi quotidiani che ci fanno crescere e ci mettono in discussione. La vita propone, nelle sue pause, proprio quegli elementi di sfida che le aziende ricercano con degli artifici, dovendo bilanciare processi e predicibilità con creatività, innovazione e pensiero laterale: la vita è dunque una maestra e le assenze, soprattutto quelle lunghe, potrebbero essere considerate dei veri e propri master. Come sanno bene le mamme

Arriva infine l’indicazione più pratica, data direttamente a chi i returners li intervista, ed è quella di “aiutare i candidati” a partire con il piede giusto. Rivoluzione, ovvero: non “fare finta che non sia successo niente”, nella migliore delle ipotesi ignorando l’assenza come si farebbe con un elefante in una stanza, ma “fare domande inclusive” che aprano l’immaginazione del candidato alla possibilità che quell’assenza abbia prodotto qualcosa di utile proprio per il ruolo per cui hanno applicato.

Alcuni esempi di domande. Che cosa ti ha insegnato questo periodo di lutto, che cosa hai capito di te? Che competenze hai acquisito con l’esperienza genitoriale? In che modo prenderti cura di tuo padre ha cambiato il tuo rapporto con la leadership, con l’incertezza, con le tue capacità? Quali dei tuoi talenti sono emersi per gestire il tuo periodo di malattia? Che energia hai scoperto di avere? Come tutto questo arricchisce la tua capacità professionale: come è cambiato il tuo rapporto con il tempo, come risolvi problemi complessi, come sai cercare l’aiuto degli altri e prenderti cura di loro? Ti mette ancora ansia la fine del trimestre, adesso che la vita ti ha ricordato quante altre cose sei?

Linkedin allarga le maglie per accogliere la crescente complessità delle nostre vite: un buon esempio per le nostre aziende e un nuovo specchio per noi, più grande e più adatto alla nostra realtà.

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