Strasburgo condanna ancora l’Italia, non ha protetto le vittime di violenza

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L’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, all’unanimità, per non aver protetto una donna e i suoi figli in un caso di violenza domestica. Già sotto vigilanza rafforzata per il precedente caso Talpis del 2017, il nostro Paese ha ricevuto una nuova condanna da parte del giudice di Strasburgo per il caso Landi.

Facciamo un passo indietro, all’epoca dei fatti. Il 14 settembre 2018 a Scarperia, vicino Firenze, Niccolò Patriarchi, dopo aver aggredito e accoltellato la convivente Annalisa Landi, uccise a coltellate il figlio di un anno. Il figlicidio arriva dopo anni di maltrattamenti verso la convivente, e successive denunce. La donna conviveva con Patriarchi dal 2010 e all’epoca non era a conoscenza dei disturbi mentali del compagno. Dopo il delitto, Patriarchi è stato condannato dalla giustizia italiana a 20 anni di carcere.  Annalisa Landi, assistita dall’avvocato Massimiliano Annetta, ha quindi fatto ricorso alla Corte europea per i diritti dell’Uomo contro l’Italia accusando le nostre istituzioni di non aver protetto le vittime dalla violenza dell’uomo. In particolare, il ricorso ha lamentato l’omissione da parte delle autorità nazionali dell’obbligo positivo derivante dall’articolo 2 della Convenzione europea per i diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita.  Landi cioè ha accusato lo Stato di non aver adottato le misure di protezione e assistenza dovute in seguito alle violenze inflitte da Patriarchi e di non aver svolto, dopo le denunce, un’indagine efficace. “L’Italia – afferma l’avvocato Annetta – era già stata condannata per violazione dell’articolo 2, questa seconda condanna è ancora più eclatante, le motivazioni sono più nette, più forti rispetto alla sentenza Talpis. Inoltre in questa vicenda c’è un dato interessante dal punto di vista giuridico: la Corte afferma che in casi come questi sia esperibile subito il ricorso a fronte di un’evidente incapacità dello Stato di far fronte all’obbligo di protezione. Da questo punto di vista la sentenza è dirompente e apre alla possibilità di ricorso diretto alla Corte”.

Il giudizio della Corte: “Giustizia italiana inerte di fronte al rischio”
La Corte di Strasburgo ha ritenuto, si legge nella sentenza, che nel 2015 “i carabinieri avevano reagito senza indugio alla denuncia della ricorrente” ma “i pm, più volte informati dai carabinieri, sono rimasti inerti”.  Il giudice rileva inoltre che “nel settembre 2017, dopo un nuova aggressione e l’invio da parte dei carabinieri di un verbale aggiornato in cui il comportamento pericoloso di Patriarchi, che soffriva di gravi problemi di salute mentale, è stato evidenziato, nessuna indagine è stata svolta dal pubblico ministero e non è stata intrapresa alcuna azione”.  Nel 2018, “dopo l’aggressione subita dalla ricorrente e il ricovero di Patriarchi in un centro di salute mentale, i carabinieri hanno inviato una nuova comunicazione ai pubblici ministeri  in cui si sottolineava la pericolosità di Patriarchi, i suoi problemi di salute mentale e la sua fedina penale, hanno ricordato i vari interventi effettuati al domicilio del ricorrente e hanno chiesto l’adozione di una misura carceraria a tutela della donna e dei figli”. La Corte osserva che” se un’indagine è stata aperta dal pubblico ministero per il reato di maltrattamento ed è stata richiesta la perizia sullo stato psicologico di Patriarchi,  la ricorrente non è mai stato ascoltata e non è stata intrapresa alcuna azione protettiva”.

In conclusione Strasburgo ha condannato l’Italia all’unanimità, ritenendo, tra l’altro, che “le autorità abbiano mancato al loro dovere di effettuare una valutazione immediata e proattiva del rischio di reiterazione della violenza commessa contro la signora Landi e  i bambini e di prendere misure operative e preventive volte a mitigare tale rischio, tutelare la ricorrente e i figli e censurare la condotta di Patriarchi. I pubblici ministeri, in particolare, sono rimasti passivi di fronte al grave rischio di maltrattamenti inflitti alla ricorrente e, con la loro inerzia, hanno consentito a Patriarchi di continuare a minacciare, molestare e aggredire la donna”. L’Italia viene dunque condannata a dare alla donna 32mila euro  per il danno morale subito. Tuttavia, la Corte ha, invece, respinto la parte del ricorso che riteneva come le carenze contestate potessero essere considerate un atteggiamento discriminatorio basato sul sesso da parte delle autorità italiane.

Avevamo eccepito la violazione non solo dell’articolo 2 della Convenzione sul diritto alla vita – dice l’avvocato Annetta – ma anche la violazione del divieto di discriminazione (art.14). La Corte, in questo caso, dice che in realtà le norme ci sono, ma è mancata l’applicazione delle stesse. Il problema non è stato rappresentato dalla legge”.

 Di.Re-Donne in rete contro la violenza: “ ancora una volta Stato inadeguato”
Ancora una volta – commenta una nota di D.iRe-Donne in rete contro la violenza che raggruppa oltre 80 centri antiviolenza- la Corte rileva l’inadeguatezza dello Stato italiano nel tutelare le donne che denunciano la violenza domestica e i loro figli. Ancora una volta la Corte sottolinea queste carenze di fronte a un bambino ammazzato per mano del padre più volte denunciato e sottolinea l’insufficiente attivazione del sistema giudiziario. Ancora una volta la Corte evidenzia l’inadeguatezza della valutazione del rischio nel sistema giudiziario, come osservato già dal Grevio (organismo che vigila sull’applicazione della Convenzione di Istanbul) e come ripetono da anni i centri antiviolenza”. Spiega, in particolare Titti Carrano, avvocata della rete D.i.Re che ha assistito il caso Talpis:  “Con questa sentenza, la Corte Edu ribadisce come, in materia di violenza domestica, il compito di uno Stato non si esaurisce nella mera adozione di disposizioni di legge, ma si estenda ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva. L’inerzia delle Autorità nell’applicare la legge vanifica gli strumenti di tutela previsti: Lo Stato ha l’obbligo di attuare misure capaci di salvaguardare in modo efficace i beni supremi della vita e dell’integrità delle persone quando vi è un rischio immediato e reale che quei diritti possano essere aggrediti”. Per Antonella Veltri, presidente di D.iRe, “è ormai imprescindibile partire dalla prospettiva di genere sulla violenza come fattore fondamentale e ineludibile per dare risposte efficaci e tempestive alle donne che subiscono violenza e per non mettere a rischio le loro vite, quelle delle loro figlie e dei loro figli. Le donne e i loro figli e figlie continuano a morire perché manca una piena consapevolezza e lettura del fenomeno”.

Italia sotto vigilanza rafforzata per il caso Talpis
La vicenda Landi richiama al caso Talpis del 2017 quando l’Italia è già stata condannata per l’inadeguatezza delle autorità nell’impedire al marito di tentare di uccidere la moglie e uccidere il figlio, intervenuto a difendere la donna. Dopo la sentenza, il nostro Paese è stato posto sotto sorveglianza rafforzata, con l’avvio della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei ministri del Consiglio D’Europa che, nel bilancio d’azione di ottobre 2020, pur lodando gli sforzi compiuti dalle autorità per prevenire e combattere la violenza, non si è detto soddisfatto. L’organo esecutivo sottolineava l’importanza cruciale di una risposta “adeguata, efficace e rapida” da parte delle forze dell’ordine e della magistratura agli atti di violenza domestica per garantire la protezione delle vittime e, nel contempo, garantire loro accesso effettivo a un sostegno e un’assistenza adeguati.  L’Italia avrebbe dovuto dare una nuova risposta, nell’ambito della procedura di sorveglianza avviata dal Consiglio d’Europa, entro il 31 marzo del 2021. Risposta che, al momento, non è arrivata.

Nei casi di condanna a Strasburgo profili di vittimizzazione secondaria
Nel caso Talpis, come nel Caso Landi, ci sono tanti aspetti che si possono ascrivere al fenomeno della vittimizzazione secondaria, se si considerano, ad esempio, le carenze riscontrate tra le autorità italiane nel proteggere la donna durante l’iter che parte con la denuncia. La vittimizzazione secondaria, infatti, si realizza quando la donna, già vittima di violenza per mano dell’uomo maltrattante, diventa nuovamente vittima poiché lo Stato, le istituzioni, la magistratura, non la proteggono in modo adeguato. Nelle vicende Landi e Talpis a pagare con la loro vita sono stati i figli.  L’azione di Strasburgo, conclude l’avvocata Carrano, “è molto importante, anche perché  la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non fa riferimento esplicito alla violenza contro le donne, ma è proprio la giurisprudenza della Corte che sta mostrando una tendenza apprezzabile sul tema. Riconosce, infatti, la portata del contesto della violenza domestica, il contenuto discriminatorio dell’inazione delle autorità, il tutto integrato con una prospettiva di genere”. L’Italia, infine,  è entrata sotto vigilanza rafforzata anche nel caso della condanna del giudice europeo per il presunto stupro della Fortezza da Basso, un altro caso emblematico di vittimizzazione secondaria.

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