Pari opportunità tra nuovi obblighi e volontarietà nelle aziende

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Premiliatà incentivante da una parte, stretta sugli obblighi normativi dall’altra. La modifica del Codice di pari opportunità introduce diverse novità per le aziende. Quali e con quale portata? Il bilancio è rimandato.

Il 2021 si è chiuso con la modifica in diversi punti del Codice delle pari opportunità (attraverso la legge del 5 novembre 2021, n° 162) ma cosa cambierà concretamente per le aziende in termini di parità di genere?

Le modifiche sono di due tipi: alcune riguardano obblighi di legge, altre sono opportunità offerte alle aziende su base volontaria, con un sistema premiante. La così detta certificazione di genere, entrata in vigore dal 1° gennaio, appartiene a questa seconda categoria: “Si è scelto un approccio su base volontaria – spiega la Consigliera nazionale di Parità Francesca Bagni Cipriani – e non sanzionatoria per favorire un cambio culturale all’interno delle aziende anche più piccole, che sono il tessuto imprenditoriale del nostro Paese. La certificazione di genere così impostata, con un sistema premiante, permetterà di mappare le buone prassi delle pmi e di capire quali sono i comportamenti organizzativi che più supportano la crescita professionale femminile”.

Niente obbligo di certificarsi come un’azienda attenta alla diversità e all’inclusione di genere quindi. Ma per chi lo vorrà fare è previsto un esonero sui contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50mila euro annui. Meno chiaro ancora il “come” farlo: in attesa di un decreto attuativo, è già al lavoro l’ Ente Italiano di Normazione (UNI) che ha elaborato una Prassi di Riferimento (PdR), ovvero di un documento pre-normativo che definisce lo standard. Su questo documento l’Uni ha aperto una consultazione pubblica: fino al 22 gennaio sarà possibile scaricarlo liberamente ed inviare eventualmente commenti.

Sarà poi compito del ministero del Lavoro decidere se e come farlo applicare e la certificazione sarà in ogni caso una valutazione di conformità da parte di un ente di certificazione terzo e accreditato. “Noi registriamo da parte delle aziende un grande interesse sulla certificazione di genere – spiega Silvia Menaguale, senior manager di EY – Nelle dichiarazioni non finanziarie c’è già una disclosure articolata su tanti aspetti relativi alla D&I: sarebbe bello che la certificazione consentisse di integrare tutte le varie informazioni già disponibili e diventasse una sintesi aggiornata e completa di come un’impresa affronta un tema così cruciale per la crescita del Paese”.

Speriamo che la certificazione sia uno strumento che accompagni le imprese, che non dia tanto un “voto” ma sia un supporto nell’avviare un percorso virtuoso – ci chiarisce Beatrice Böhm, marketing & communication manager della società di head hunting Reverse, che ha recentemente ricevuto dalla Regione Lombardia il premio di Parità Virtuosa – Con i nostri clienti impostiamo un lavoro, nella ricerca e selezione di figure professionali, che è di scambio e arricchimento reciproco, sottolineando ogni volta il valore della diversità di genere nelle candidature”.

Ci sono però anche delle novità di tipo prescrittivo e sanzionatorio. La prima riguarda la nozione di discriminazione, diretta e indiretta, che viene ampliata: è discriminazione ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che in ragione del sesso, dell’età, di esigenze di cura personale o familiare, mette o può mettere il lavoratore in condizione di svantaggio, di limitazione delle opportunità di partecipare alla vita o alle scelte aziendali, di limitazione nell’accesso ai meccanismi di progressione nella carriera.

L’altra è l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti – e non più 100, come prima – di redigere un rapporto biennale nel quale ci siano informazioni più dettagliate sulla forza lavoro per genere, come i nuovi assunti e le dimissioni, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascuno di loro, le differenze di genere nelle retribuzioni iniziali, oltre alle altre informazioni previste dall’ambito contrattuale e retributivo. Queste dichiarazioni saranno trasmesse per via telematica, consentendo in un prossimo futuro una maggior omogeneità e accessibilità dei dati. Certo in caso di rapporto falso o incompleto a sanzione è davvero ridotta: una sanzione amministrativa da mille a cinquemila euro.

Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno? I prossimi mesi, tra i decreti attuativi e la dichiarazione biennale con i nuovi parametri nel 2022 ci daranno qualche informazione in più per tracciare un bilancio.

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