Parità, l’Islanda modello mondiale dopo “lo sciopero delle donne”

reykjavik

In quanti parlamenti nazionali c’è parità di genere? Quante sono le donne governatore di una banca centrale nazionale? O ancora, in quante nazioni esiste equilibrio tra i membri nei consigli di amministrazione delle più grandi aziende quotate? E in quanti i manager guadagnano le stesse cifre a prescindere dal loro sesso?

Basta scorrere il Women’s World Atlas 2021 sviluppato dal Reykjavík Global Forum / Women Leader, compilato da McKinsey & Company per trovare le risposte. E inorridire davanti alla alla traduzione grafica dei dati mondiali raccolti in questo atlante. I numeri sono infatti tradotti in mappe del mondo dove i territori si colorano di blu solo quando una specifica affermazione si verifica. Spoiler: stravince la tonalità beige di fondo.

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Il Women’s Atlas non è che una parte del Forum organizzato dal 2018 nella capitale islandese con l’intento di promuovere lo scambio di buone pratiche e soluzioni innovative sviluppate nel mondo. Insomma, investigare le possibilità di far avanzare le società verso un futuro più equoDa qui arriva tra l’altro, per esempio, anche il Reykjavík Index for Leadership (qui l’ultima edizione) che misura la percezione della parità tra uomini e donne appunto in tema di leadership. Per quanto appaia remota l’Islanda è campione di parità.

Da anni testimone di un modello di successo, lanciato anche dallo storico “sciopero delle donne” del 24 ottobre 1975. Quel giorno il 90% delle islandesi ha incrociato le braccia per 24 ore smettendo di svolgere sia il proprio lavoro che le necessità di casa. La protesta contro la sproporzione dei salari, pesantemente favorevole per uomini, e l’altrettanto sbilanciata divisione dei carichi familiari, ha portato alla legge che anche oggi garantisce l’uguaglianza. Fattivamente al momento poco efficace, in realtà si è rivelata nel tempo la mossa giusta per un equilibrio di genere più solido.

Dall’Islanda al mondo

Quale migliore palcoscenico allora per discutere a tutto tondo e in modo pratico di esempi e modelli che funzionano e pianificare interventi per il futuro? La potenziale rilevanza del Reykjavik Forum sta anche, forse, proprio nell’ambizione di mettere a discutere attivisti, esperti e partner importanti, e offrire strumenti in continua evoluzione per costruire pezzo pezzo la parità. Dalle azioni più impattanti dei leader politici alle iniziative di gestione seguite dalle singole aziende. Se il Women’s World Atlas, per esempio, è utile come mezzo comunicativo, il Reykjavík Manual offre input concreti per introdurre cambiamenti efficaci. E i Reykjavík Pledges, diversissimi per diffusione, ampiezza e ambiti toccati, perché presentano modelli in via di sviluppo per introdurre o rinforzare la parità di genere a diversi livelli. Nelle aziende, come nelle organizzazioni grandi e piccole e in politica.

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Il Forum 2021 ha rilanciato allarmi conosciuti, in particolare nell’ottica di una leadership più inclusiva. “Mentre le disuguaglianze si stanno riducendo in politica, i Paesi hanno fatto passi indietro nel raggiungere una vera parità tra uomini e donne nei parlamenti” confermano da Reykjavík. “Se vediamo miglioramenti nella presenza di donne nei percorsi di istruzione superiore e vediamo significativi progressi nelle percentuali di donne con posizioni manageriali, l’avanzamento è (e resta) congelato riguardo al numero di donne nei cda delle grandi aziende quotate. Tuttavia, per continuare a costruire [la vera parità] tutti questi cambiamenti devono essere annunciati in modo positivo”.

Come a dire: raccontare i traguardi, entusiasmarsi per questi e insistere per espanderli. E farli diventare un punto di riferimento anche per le generazioni a venire. Un punto di vista ampliato recentemente anche da Helen Clark, 37esimo premier neozelandese dal 1999 al 2008, in un podcast del The Global Institute of Women del King’s College di Londra: “è incredibilmente importante che le ragazze vedano donne [elette]. La loro visibilità è importante per incoraggiare le più giovani a fare un passo avanti e prendersi quel tipo di ruoli”. 

C’è davvero tanto bisogno di modelli positivi perché la strada da affrontare è lunghissima. Basta leggere le risposte alle domande in apertura di questo pezzo1. Ma proprio il buon esempio può spingere a puntare lo sguardo là dove le cose vanno un pochino meglio e, davanti alla best practice, provare a procedere o ripartire. Si può iniziare a esercitarsi da subito guardando alla mappa tra quella del Women’s World Atlas che, al contrario delle altre, è colorata quasi tutta di blu. Secondo i dati UNESCO sulla percentuale iscritte nei percorsi di educazione di terzo livello, le donne rappresentano almeno il 30% in 155 Paesi del mondo.

1 La parità tra uomini e donne nei Parlamenti nazionali è raggiunta solo in Rwanda, a Cuba e negli Emirati Arabi. Sono 14 i Paesi che hanno una governatrice a capo della loro banca centrale – tra questi San Marino e Samoa. Le donne manager guadagnano quanto gli uomini in 16 Paesi, di cui l’unico occidentale ed europeo è l’Albania. Mentre la parità di genere nei consigli di amministrazione delle più grandi aziende quotate non esiste in nessuna nazione al mondo.

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