Una favola per comprendere gli amori “sbagliati”

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Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso”, così scriveva Francesco Petrarca, ben rappresentando il prezioso aiuto nella scoperta di sé che un libro può regalare.

E’ questo il caso del libro “La principessa che voleva amare Narciso” (Sonzogno, 2021), una favola scritta da Maria Chiara Gritti, psicologa e psicoterapeuta di Bergamo, che ben racconta l’origine delle sofferenze legate alle relazioni d’amore “sbagliate”: quelle che fanno star male invece che bene, che risvegliano in chi le vive ferite profonde e conducono spesso sulla soglia di un dolore apparentemente insostenibile, che sopraggiunge quando ci si prova ad immaginare senza il partner o si viene lasciati. Sono relazioni che in genere noi psicologi consideriamo dominate dalla “dipendenza affettiva”.

La dottoressa Gritti ci racconta che molti anni fa, all’inizio della sua carriera, lavorava in un consultorio ed era colpita da una certa categoria di donne, che sembravano molto forti, organizzate e realizzate nella professione e nella vita sociale, ma accompagnate da una profonda fragilità relazionale. Donne che presentavano quindi un acuto contrasto tra un’apparenza inossidabile e una vulnerabilità intensissima che si affacciava nelle storie d’amore da cui erano travolte. Da allora ha cominciato a interessarsi, e poi a specializzarsi, nella cura delle dipendenze affettive, creando inizialmente dei gruppi di terapia dedicati a chi soffre eccessivamente nel campo delle relazioni, fino ad arrivare a fondare un centro apposito, a Bergamo.

9788845402227_0_536_0_75La favola della principessa che vuole amare Narciso racconta, con un linguaggio semplice ed efficace, come, anche nelle famiglie apparentemente “normali”, in cui non si identifichino traumi particolari, possano tramandarsi catene di infelicità e di incapacità a vivere delle relazioni di coppia sane, perché ogni genitore, involontariamente, trasmette ai figli ciò che ha imparato, anche a livello affettivo.
Ciò che il genitore non ha elaborato di se stesso, della sua storia personale, è molto probabile che lo trasmetta ai figli”, dice Maria Chiara Gritti, “ed è importante dare un nome a ciò che stiamo vivendo e sapere che esistono degli strumenti che aiutano a spezzare i copioni familiari, ossia quelle storie che si ripetono sempre uguali una generazione dopo l’altra, e che ci fanno spesso sentire condannati alla sofferenza”.
L’autrice scrive in forma di favola in parte perché rappresenta un’attitudine personale, ma anche perché “la favola attiva in chi legge un registro infantile e quindi arriva di più a livello emotivo”, permettendo al lettore di cogliere meglio le risonanze con le emozioni che vive.

E’ un libro rivolto ad adolescenti, adulti, ma soprattutto ai genitori, perché possano essere aiutati a identificare al meglio le dinamiche che hanno sperimentato da figli e che rischiano di trasferire a loro volta a coloro che hanno messo al mondo. Si tratta du dinamiche affettive che molto spesso passano per delle convinzioni profonde su se stessi che a volte non si sa nemmeno di avere ma che poi guidano i comportamenti adottati nelle relazioni. Alcuni esempi di queste convinzioni possiamo tradurle in frasi come: “Io non sono abbastanza”, “Io devo essere brava/o e buona/o per ottenere l’amore degli altri”, “Io sono inadeguata/o”, “Io devo salvarti”, e così via.

Tutte le forme di dipendenza nascono per lenire un vuoto che sentiamo dentro ma che abbiamo paura di contattare fino in fondo, così scegliamo una “sostanza” che ci occupi la mente e ci distragga da noi stessi. La sostanza può essere una droga vera e propria, ma anche una droga simbolica, come il gioco, il sesso, le relazioni, che pur non essendo elementi chimici in senso stretto inducono nelle persone le stesse reazioni emotive e comportamentali che si sperimentano con le sostanze stupefacenti. Anche nelle dipendenze affettive troviamo qualcosa di molto simile alle crisi d’astinenza, ci sono pensieri ossessivi e comportamenti compulsivi ricorrenti volti a cercare incessantemente ciò che fornisce un sollievo temporaneo ma che poi riporta nuovamente nel dolore e nel vuoto.

Il racconto del libro si basa su una storia vera, la storia di una coppia seguita dall’autrice in terapia e offre una visione chiara del problema legato alla dipendenza affettiva, ma anche di una possibile soluzione. Esistono oggi per fortuna degli strumenti con cui molte persone possono passare da un senso di continuo fallimento nelle storie d’amore alla capacità di stare con l’altro in un modo nuovo, gratificante e finalmente sereno e ritrovare quell’amore che fa star bene, non male.

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