Lavoro, 42.000 dimissioni di neogenitori nel 2020, il 77% è donna

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Le neo-mamme continuano a lasciare il mondo del lavoro per i carichi familiari. I dati dell’ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che nel 2020 ci sono state 42.000 dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni. Un numero ancora alto ma in flessione del 18% rispetto al 2019.  Nel 77,4% dei casi si tratta di dimissioni di donne.

Ma chi decide di dimettersi? Oltre il 92% delle dimissioni e risoluzioni consensuali riguarda lavoratori inquadrati come operai o impiegati, con un’età tra i 29 e i 44 anni e nell’88% dei casi la decisione di lasciare il lavoro è presa nei primi 10 anni di servizio. Nell’anno della pandemia sono diminuite soprattutto le dimissioni dei padri (-31,1%) rispetto a quelle delle madri (-13,6%).

Chi è uscito dal mondo del lavoro?

Le cessazioni da rapporto di lavoro complessive nel 2020 sono state oltre 9 milioni con un calo del 17,7% sul 2019. La motivazione prevalente è la scadenza del contratto, che coinvolge più di 6 milioni di rapporti (-17,6% sul 2019). Le cessazioni richieste dal lavoratore e dalla lavoratrice, comprese le dimissioni (categoria all’interno della quale si inseriscono le dimissioni convalidate, ovvero quelle che riguardano genitori di figli con meno di tre anni) sono state 1,5 milioni (-15,1%).

La condizione di genitorialità – si legge nel Rapporto Inl – ha strutturalmente un impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro di uomini e donne. Sussiste infatti una relazione tra la diminuzione degli indicatori relativi alla partecipazione e all’occupazione in coincidenza della maternità e in relazione al numero dei figli: in presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce. Il passaggio avviene col primo figlio e si incrementa con il secondo, senza particolari differenziazioni a livello territoriale. Sono dinamiche che si accentuano nella fascia di età tra i 25 e i 34. La dinamica è inversa anche per l’inattività: in presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini.

Se poi si confrontano i dati dell’occupazione femminile e maschile in relazione al numero di figli piccoli si nota come tra i 20 e i 50 anni, lavorino il 60% di donne in assenza di figli tra zero e un anno nel nucleo familiare e il 50% con un figlio minore di un anno mentre nella stessa fascia l’occupazione maschile è all’86% senza figli tra zero e un anno e al 90% in presenza di neonati.

Tornando alle dimissioni del 2020, su 42.377 convalide arrivate da neogenitori la tipologia di recesso più frequente è costituita dalle dimissioni volontarie (oltre il 94%) mentre le dimissioni per giusta causa e le risoluzioni consensuali sono pari rispettivamente a circa il 4% e al 2% del totale. Sul complesso dei richiedenti, il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due. L’età del figlio che più incide in questo fenomeno è quella fino ad un anno, quindi prevale l’esigenza di primo accudimento. L’86% delle convalide, poi, è di italiani, mentre il 92% delle dimissioni arriva da impiegati e operai. Circa la metà dei neogenitori che lasciano il lavoro hanno iniziato a lavorare da meno di tre anni.

L’ambito produttivo in cui le convalide sono maggiormente concentrate permane il terziario, settore con significativa presenza femminile a cui si riferiscono oltre il 72% dei provvedimenti adottati; rilevante anche il dato dell’industria, pari a circa il 15% del totale e dell’edilizia, pari a poco più del 3% del totale.

Sul totale delle convalide, la motivazione più frequente continua ad essere la difficoltà di conciliazione dell’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38% del totale delle causali) sia per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo (20% del totale delle motivazioni indicate). “Esiste una profonda differenza di genere – scrive l’Inl – nel dato relativo alle motivazioni in quanto la difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%. La prevalente motivazione delle convalide riferite a uomini è invece il passaggio ad altra azienda“.

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  • Daniela |

    Meno male che non sono dimenticate…Pangea si merita subito una mia donazione. Speriamo riesca a farsi sentire anche nelle sedi istituzionali

  • Daniela |

    Io penso che un po’ influisca anche il fatto di aver la disoccupazione per due anni se dai dimissioni volontarie entro l ‘anno del bimbo… è una possibilità che non hai in altri periodi della vita… oltre a tutto quello già scritto ovviamente.

  • gloria |

    il lavoro dovrebbe essere un diritto.Una società complessa e liquida come la nostra dovrebbe essere integrata da agenzie e centri pubblici e privati a bassissimo costo che aiutano la famiglia nello svolgimento delle proprie funzioni. Con l’avvento ella pandemia , naturalmente, la parte più fragile e debole del lavoro ha dovuto rinunciare all’attività nonostante gli incentivi dati a babysitter e altro. Uno Stato nella sua accezione più ampia e significativa dovrebbe avere come aspetto precipuo la famiglia e la sua salute psiofisica, economica , sociale e ambientale oltre che i single che pure faticano a sopravivere. Senza ciò non si va da nessuna parte.Nel meridionela famigliadi origine fa perlopiù da cuscinetto e da supporto ai doveri dello stato ma nelle famigklie nucleari quali sono le dinamiche, quali i disagi, le conflittualità e le soluzioni prese per il benessere dei figli”’E quali ripercussioni sui figli, sulla coppia quelle di una madre frustrata che non ha scelto ma ha dovuto scegliere di abbandonare il lavoro che oltre ad apportre disagi psicologici apportono disagi economici perchè chi ha figli non campano di aria e i soldi non bastano mai.

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