La Festa del Papà è una giornata improbabile. Storicamente nasce per mera specularità con la Festa della Mamma. A scavare si scopre una pia donna del Vermont che nel 1910, ispirata dalla lettura di un sermone, esclamò a un tratto: ci siamo dimenticati i papà! E diede vita alla prima Festa del Papà, festeggiata ormai quasi ovunque, in giornate a caso.
In Italia si decise di fissare la ricorrenza nel giorno in cui la Chiesa cattolica celebra San Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Un operoso falegname che si spaccava la schiena tutto il giorno per mantenere la famiglia, mentre Maria a casa faceva qualcosa di veramente speciale, dava alla luce il figlio di Dio e faceva la mamma. Gli elementi essenziali ci sono tutti: primato biologico della mamma, sovrapposizione fra paternità e breadwinning.
La Festa della mamma è invece sempre in giornata festiva – la seconda domenica di maggio, il mese mariano, e praticamente tutti i Paesi sono allineati con questa consuetudine.
La Festa del Papà si celebra con piccoli regali. Un tempo erano i magneti da cruscotto “papà non correre, pensa a noi”, oggi sono cravatte o cinture. Cose che richiamano sempre il fuori casa, dove il papà è collocato per tradizione. Alle madri, nel loro giorno, vengono consegnati ben più teneri tributi, un San Valentino dell’amor filiale.
Il discorso è più serio di quanto non appaia. La cultura da forma i padri molto più di quanto non faccia il sentimento, e la nostra cultura ha partorito i padri che siamo: distratti e fuori di casa, coltivatori di ambizioni lavorative e capo famiglia, frequentatori di campetti da calcio, di stadi e birrerie, spesso il giovedì.
Questa paternità lascia di stucco. Dovrebbe essere una delle prime istanze femminili e femministe, e invece è un discorso per pochi, spesso ozioso, privo di radicalismo. Un dibattito all’insegna del è un bravo papà, mi aiuta a cambiare il piccolo e sparecchia sempre. Eppure la paternità è parte integrante della questione femminile. Se gli uomini sono padri di tal fatta, le donne non possono che essere madri, magari future o potenziali, oppure mancate. Incardinare il valore della cura al solo femminile è un pessimo affare per tutti, fortifica le differenze di genere, deprime la libertà di scelta e limita il novero delle opportunità.
Sono convinto che le famiglie stiano cambiando e che il molto tempo passato in casa abbia avviato inedite forme di collaborazione e avvicinato gli uomini a quello che un tempo si definiva focolare. Eppure, in questo caso, la cultura è un agente di conservazione. Fuori di casa, davanti allo Stato, alle imprese e al senso comune, torniamo ad essere donne e uomini, madri e padri, stretti in ruoli ormai frusti.
Non ci serve la Festa del Papà. A noi uomini, padri e no, farebbe un gran bene una Festa della Diserzione dal Patriarcato.
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