Il futuro? Non può essere sostenibile se non è anche “femminile, plurale”

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Senza le donne non c’è sostenibilità. E senza sostenibilità non c’è futuro. In tempi in cui la pandemia ci costringe a rivedere stili di vita e paradigmi economici e in cui l’Unione europea scommette sulla ricostruzione in nome della “Next Generation Eu”, l’Italia ha un surplus di interrogativi da porsi. Come si fa a imboccare la via della ripresa se metà della popolazione, quella femminile, ha ancora un tasso di occupazione inferiore al 50%? Come è possibile recuperare i ritardi se tra le donne le laureate in discipline Stem sono il 16,2% contro il 37,3% tra gli uomini? Come scommettere sulla transizione green e digitale senza un massiccio investimento per ridurre il gap di genere nei due settori cruciali per la ripartenza?

Non è un caso se nel 2020 il Festival della Cultura tecnica promosso dal 2014 dalla Città metropolitana di Bologna e co-finanziato dalla Regione Emilia Romagna con risorse del Fondo sociale europeo – circa 500 eventi che si sono susseguiti dal 17 ottobre al 19 dicembre – abbia scelto come filo conduttore i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite per il 2030. Mai come in questi mesi, infatti, sono diventati evidenti da un lato il ruolo giocato dalle competenze tecnico-scientifiche per un progresso etico e globale, dall’altro l’urgenza di intervenire sulle disuguaglianze, a partire da quelle tra uomini e donne, per eliminare i freni allo sviluppo.

Il tema è stato al centro dell’incontro “Agenda 2030: Femminile Plurale”, che si è svolto online il 12 novembre (qui la registrazione integrale). Mariaraffaella Ferri, consigliera delegata allo Sviluppo sociale, contrasto alle discriminazioni e alla violenza di genere della Città metropolitana di Bologna, ha esordito prendendo in prestito le parole della presidente della Women’s Learning Partnership, Mahnaz Afkhami: “Lo status delle donne nella società è diventato lo standard attraverso il quale si può misurare il progresso dell’umanità verso la civiltà e verso la pace”. 

Tante le iniziative dell’ente e della rete metropolitana rivolte alle scuole e alle famiglie per promuovere le pari opportunità e soprattutto per fornire un’educazione libera da stereotipi. Iniziative supportate e condivise dalla Regione Emilia Romagna guidata da Stefano Bonaccini, rappresentata al convegno da tre assessore: la vicepresidente Elly Schlein, l’assessora alla Montagna, aree interne, programmazione territoriale e pari opportunità Barbara Lori e l’assessora a Scuola, università, ricerca e digitale Paola Salomone. Tutte concordi nel riconoscere alla politica il dovere di farsi promotrice di un’azione coordinata per “liberare” le ragazze e i ragazzi dalla gabbia dei pregiudizi. Non più soltanto un’esigenza culturale: è diventata una necessità economica.

Anna Barbieri, della direzione generale Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione europea, lo ha lasciato intendere con chiarezza: “A livello europeo abbiamo la metà delle donne rispettto agli uomini laureate in materie tecnico-scientifiche. Pesa l’immagine di certi settori e scelte di studio, catalogati come prettamente maschili o femminili. Abbiamo bisogno di andare oltre gli stereotipi, altrimenti non potremo realizzare innovazione, crescita sostenibile e resilienza. Abbiamo bisogno del talento di tutti”.

“La trasversalità è la chiave” per realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ha sottolineato Schlein. Perché la sostenibilità va declinata nei suoi tre aspetti: ambientale, economico e sociale. “Dobbiamo considerare quanto sia importante il raggiungimento della parità di genere per la costruzione di una società più giusta e inclusiva e per una crescita altrettanto sostenibile, inclusiva e duratura”. Rispetto al resto d’Italia, l’Emilia Romagna ha una marcia in più: nel 2019 le donne residenti sono il 51,4% di cui il 12,7% straniere, nel 2018 il 29,5% possiede una laurea, un valore superiore agli uomini (19,7%). Eppure le imprese delle donne sono il 21,2% del totale e l’occupazione è più bassa di quella maschile. Farla aumentare è indispensabile per la crescita. Lo ripete Bankitalia, come ha ricordato Schlein: “Se raggiungessimo il 60% di occupazione femminile il Pil crescerebbe di 7 punti”.

Le parole non bastano, servono modelli in carne e ossa. All’evento hanno sfilato tre testimonianze preziose. Anna Fiscale, 32enne fondatrice e presidente di Quid, impresa sociale che si occupa di confezionare abiti a partire da scarti di tessuto impiegando il lavoro di donne con un passato difficile alle spalle, ha rievocato i suoi primi passi, la sofferenza personale che l’ha spinta a trasformare la fragilità da punto di debolezza in punto di forza. Fiscale è stata appena nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella proprio “per il suo appassionato contributo e lo spirito di iniziativa con cui ha lavorato sulle vulnerabilità e le differenze per trasformarle in valore aggiunto sociale ed economico”.

Francesca Soavi, professoressa di Chimica inorganica presso l’Alma Mater, ha raccontato la sua esperienza come co-fondatrice della StartUp Bettery, con cui ha creato una nuova batteria liquida ecosostenibile. Mariangela Ravaioli, scienziata biogeochimica marina e componente del comitato scientifico del Festival della Cultura tecnica, ha rievocato le sue esperienze da ricercatrice “pioniera” in Antartide. Un filo rosso le lega l’una all’altra: la curiosità, la perseveranza, l’immensa passione per il proprio lavoro. Un esempio per studentesse e studenti. Perché scelgano di investire su di sé, senza condizionamenti e senza steccati.