G20, rompiamo i recinti e usiamo le donne per cambiare rotta dopo la crisi

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A che cosa serve avere una sottosezione del G20 dedicata alle donne, come se le donne fossero “un tema”?

Mi sono posta questa domanda dopo aver partecipato alle consultazioni del W20, l’engagement group del G20 composto da 70 delegate di 20 Paesi, che persegue l’obiettivo di elaborare proposte di policy e raccomandazioni al G20 per la parità di genere. Dal 12 dicembre 2020, l’Italia ha la leadership del movimento a livello internazionale. Il comitato italiano che presiede le consultazioni è guidato da Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat, che di questi temi è una delle più grandi esperte in Italia, e vi partecipano figure altrettanto preparate del mondo delle imprese e delle istituzioni. Le consultazioni hanno coinvolto rappresentanti di 120 associazioni che in modi diversi perseguono lo scopo della parità di genere, e anche solo per questo è stato utile e istruttivo parteciparvi.

Tornando alla domanda iniziale, ogni volta che si creano i “recinti” dovremmo alzare il livello di attenzione e accertarci che siano mezzi provvisori, che nascono per far fronte a un’anomalia e risolverla nel breve termine. Purtroppo chi si occupa di pari opportunità sa che il tema delle donne è “recintato” ormai da decenni, senza grandi esiti. In pratica succede che, nel momento in cui si diventa un sotto-obiettivo, si perde l’opportunità di essere considerate parte della soluzione agli obiettivi primari, e quindi si diventa secondarie. Non serve infatti leggere i “communiquè” con le raccomandazioni dei comitati precedenti per sapere che il perimetro del problema della disuguaglianza di genere e dei suoi effetti disastrosi è noto a tutti da molto tempo, così come note da tempo sono le soluzioni. Ma essendo, appunto, problemi e soluzioni perimetrate a parte rispetto agli scopi principali del G20, hanno la qualifica inesorabile di non mainstream: non principali.

Accade anche nelle aziende: vi sono funzioni che dovrebbero essere trasversali e innervate in tutte le altre, pensiamo alla responsabilità sociale d’impresa, ma che per un certo periodo vengono incubate in team dedicati che sono al tempo stesso il segnale di un progetto nascente e il sintomo di un’assenza nel sistema principale. Ma a un certo punto queste funzioni devono diventare mainstream oppure scomparire, perché la marginalità condanna all’irrilevanza, soprattutto in periodi turbolenti e di continua emergenza.

Eccoci allora, competenti e volenterose a evidenziare nella consultazioni su quali oggetti lavoriamo con passione, quali disuguaglianze sono ormai inspiegabili eppure persistenti, quali speranze riponiamo nel terzo decennio del terzo millennio. Ma sappiamo dal World Economic Forum che la parità di genere si sta allontanando nel tempo, nonostante tutto quel che ormai è noto sui suoi danni a ogni livello: per la società, per l’economia, per l’umanità. Il comunicato “Closing the Gender Gap Accelerators” indica infatti che:

“Prima della crisi del Covid-19, il World Economic Forum aveva predetto che con i progressi attuali ci sarebbero voluti 257 anni per chiudere il gender gap economico nel mondo. Oggi si ha evidenza che le implicazioni socio-economiche del Covid-19 stanno avendo un impatto sproporzionato sulle donne“.

Ma allora, se restare recinto non è la soluzione e senza recinto si scompare e basta, come possiamo fare? Il recinto si può rompere presentandosi come parte della soluzione, invece che del problema. Se guardiamo a quelli che saranno gli obiettivi del prossimo G20 (People, Planet, Prosperity), auspicabilmente orientati a rifondare il senso di ciò che siamo e che possiamo fare diversamente, alla luce di quanto abbiamo fatto succedere, l’incapacità di pieno utilizzo delle risorse femminili del pianeta è il segnale di un intollerabile spreco.

Le donne sono un mezzo, non un fine: il più numeroso, ricco e dirompente mezzo a disposizione del progresso per cambiare direzione. Se abbiamo capito di aver sbagliato molte cose, e che tali errori ci hanno portato alla crisi in corso, sappiamo anche che occorrono mentalità e strumenti diversi per cambiare rotta. La scrittrice femminista Audre Lorde ha detto:

Gli strumenti del padrone non serviranno a smantellare la casa del padrone.

Ciò che ci ha portati qui non potrà portarci altrove: abbiamo un bisogno disperato di una massa critica di pensiero diverso, per mettere in discussione i modelli e le ideologie che ancora oggi ci definiscono e trovarne di nuovi e più adatti alla nostra sopravvivenza. Le donne sono un mezzo, non un fine. Devono emergere per risolvere insieme agli uomini, perché solo insieme e alla pari possiamo aggiustare la direzione di questa folle corsa. Non si tratta quindi di aiutare le donne, ma di aiutare il mondo attraverso le donne.