Tumori al seno, il covid-19 ha ridotto drasticamente gli esami di prevenzione

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Ormai lo sappiamo. L’impatto del Covid-19 ha avuto le sue pesanti conseguenze sulla salute dei cittadini di tutto il mondo. In che modo? Ad esempio, interventi chirurgici non salvavita rimandati, soprattutto nel primo lockdown della scorsa primavera, ad esempio. E anche la filiera della prevenzione ne ha fatto le spese in tutti gli ambiti. Si è occupato proprio di questo aspetto un rapporto a cura di Fujifilm Europe GmbH, Medical System Division, basato su 9 interviste condotte tra settembre e ottobre scorsi, in Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Italia, Turchia, Portogallo, che ha evidenziato come l’impatto del Covid-19 abbia ridotto drasticamente l’accesso alle Breast Unit, ma allo stesso tempo abbia spinto all’adozione di misure immediate per la protezione totale delle pazienti e delle donne sottoposte a mammografia.

Durante la prima ondata tutti i paesi europei avevano sospeso gli screening relativi al tumore del seno, proprio in seguito alla chiusura delle breast unit degli ospedali: la conseguenza immediata è stata che, purtroppo, moltissime donne non si sono sottoposte alla mammografia, neanche quando c’erano sintomi. In alcune zone, inoltre, le pazienti che si sono sottoposte negli ultimi 10 mesi agli screening sono diminuite di 2/3 rispetto all’anno precedente

Gli ospedali si sono riorganizzati tempestivamente con nuove misure per tutelare pazienti e personale medico sanitario – e anche la ricerca in ambito oncologico è andata in smartworking (come raccontiamo qui ), in uno scenario di non facile gestione – ma la paura è rimasta anche dopo la fine del lockwdown e molte donne non hanno partecipato ai programmi di screening di prevenzione per paura di contrarre il Covid.

«In Italia i programmi di screening prevedono dei controlli biennali per le donne tra i 45 e i 74 anni a seconda delle Regioni – spiega Anna Russo, radiologa del dipartimento di diagnostica d’immagini presso l’Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, a Verona – a causa del Covid-19 abbiamo riscontrato un impatto molto negativo nelle attività delle Breast Unit soprattutto all’inizio della pandemia. Per esempio, nella regione del Veneto a partire da marzo 2020 i programmi di screening sono stati sospesi totalmente per ripartire soltanto nel mese di maggio. Allo stesso modo i centri che si occupano delle diagnosi dei tumori del seno hanno visto una drastica riduzione dell’attività pianificata su pazienti asintomatiche. I test, infatti, sono stati svolti in quei mesi esclusivamente su pazienti sintomatiche, con sospetti di cancro al seno, su donne con familiarità o esperienze pregresse di tumori del seno, oppure su donne già in cura”. 

Il tumore al seno è la neoplasia più frequente in assoluto per incidenza nella popolazione femminile, secondo il report “I numeri del cancro in Italia 2018” Aiom-Airtum. Si stima che nel 2018, in Italia, abbia colpito 52.800 donne e circa 500 uomini (per confronto, nel 2015 le stime indicavano, rispettivamente, 48 mila e 300). Nel nostro Paese, secondo i dati dell’Istituto IEO, nei primi 5 mesi del 2020 ci sono stati 400mila esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con una conseguente riduzione di circa duemila nuove diagnosi di tumore al seno a causa di Covid-19. Le attività di screening regolari sono riprese da giugno, cercando di recuperare i mesi persi, anche attraverso nuove azioni di sensibilizzazione.

La preoccupazione degli esperti italiani è condivisa anche a livello europeo. «La prevenzione del tumore al seno salva le vite e dobbiamo continuare a spingere questo messaggio alla popolazione, nonostante l’attuale situazione con l’emergenza Covid in corso» hanno commentato Katalin Woodland, sovrintendente radiografa, e Deborah Black, manager del programma di prevenzione dello screening al seno, intervistate per rappresentare il Regno Unito in questo report.

jda_november-2020_the-blue-box-hero-image_international-winnerProprio in questa direzione va anche il progetto vincitore dell’edizione internazionale del James Dyson Award 2020: si tratta di Blue Box, l’invenzione dell’ingegnera biomedica Judit Girò Benet dell’Università di Barcellona, che ha recentemente completato un master in Cyberphysical Systems presso la University of California Irvine. La sua innovativa invenzione punta alla diagnosi del tumore al seno in ambiente domestico, semplicemente utilizzando un campione di urina. Una vera e propria rivoluzione, se pensiamo ai lunghi tempi di attesa e ai costi degli esami diagnostici, talvolta dolorosi e invasivi, e motivo per molte donne di rinuncia.

Blue Box esegue un’analisi chimica del campione di urina e trasmette i risultati al Cloud: l’algoritmo basato sull’intelligenza artificiale reagisce a metaboliti specifici presenti nelle urine, fornendo all’utente una diagnosi. Il dispositivo è collegato a un’app che controlla tutte le comunicazioni nei confronti delle utenti, mettendole immediatamente in contatto con un operatore sanitario, nel caso in cui il campione risulti positivo.

«Blue Box ha il potenziale di rendere lo screening tumorale parte della routine quotidiana – ha commentato Judit Girò Benet – può aiutare a cambiare il modo in cui la società lotta contro il tumore al seno, facendo sì che le donne possano evitare una diagnosi in stadio avanzato. Il giorno in cui James Dyson mi ha comunicato di aver vinto il premio internazionale è stato un vero punto di svolta poiché il premio in denaro mi permetterà di brevettare ulteriormente e di velocizzare la ricerca e lo sviluppo».