Giovani italiani più istruiti, ma resta uno svantaggio rispetto al resto d’Europa (Istat)

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I giovani italiani sono più istruiti del resto della popolazione italiana ma resta uno svantaggio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa sotto diversi punti di vista. Lo sottolinea l’Istat nell’audizione alla commissione Bilancio della Camera sull’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Nel 2019, in Italia, la quota di giovani laureati è del 27,6% a fronte del target del 40% mentre l’Unione Europea nel suo complesso e grandi paesi come la Francia e la Spagna hanno già superato il target previsto.

L’Italia – sottolinea l’Istat – “resta al penultimo posto nell’Ue, sopra la Romania“. Anche le prospettive occupazionali dei giovani laureati sono, in Italia, relativamente più deboli rispetto ai valori medi europei: la quota degli occupati tra i 30-34enni laureati arriva al 78,9% contro un valore medio nella Ue dell’87,7%.

Più drammatica è la situazione degli under 30 italiani: solo 4 giovani su 10 lavorano. Osservando i tassi di occupazione dei giovani nel momento della transizione dalla scuola al lavoro le differenze con l’Europa sono ancora più marcate evidenziando sia le criticità del mercato del lavoro giovanile, frutto anche dell’assenza di un sistema di raccordo tra l’istruzione e il mondo del lavoro, percorsi formativi molto lunghi e disallineati alle richieste di competenze specifiche delle aziende. Nonostante il tasso di occupazione dei giovani diplomati e laureati alla fine del percorso di istruzione e formazione sia in aumento dal 2015, i valori restano drammaticamente inferiori a quelli medi Ue28 (23,5 punti il divario per i diplomati e di 20,4 punti quello per i laureati).

Solo il 24,6% dei laureati 25-34enni ha conseguito il titolo nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche (STEM: Science, Technology, Eengineering and Mathematics), con un divario di genere molto forte: 37,3% degli uomini contro il 16,2% delle donne. Le quote si invertono per le lauree umanistiche: 30,1% tra le laureate e 15,6% tra i laureati.

“L’attenzione alla scelta dell’indirizzo di studio universitario – segnala l’Istat – si riflette in importanti differenze tra i tassi di occupazione dei laureati per area disciplinare. Nel 2019, il tasso di occupazione della popolazione laureata (25- 64 anni) raggiunge il livello più alto per l’area medico-sanitaria e farmaceutica (86,8%), seguono le lauree nell’ambito STEM (83,6%), quelle dell’area socioeconomica e giuridica (81,2%) ed infine i titoli dell’area umanistica e servizi (76,7%)”.

L’Italia ha invece una percentuale superiore rispetto alla media europea di “early leavers“, ovvero di persone che abbandonano precocemente gli studi. La quota di giovani (15-29 anni) in Italia non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neanche impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training) è pari al 22,2% e corrisponde a più di 2 milioni di giovani. La quota di NEET è la più elevata tra i Paesi dell’Unione, di circa 10 punti superiore al valore medio Ue28 (12,5%) e decisamente distante dai valori degli altri grandi Paesi europei.

Le cause principali di questi fenomeni sono da riscontrare prevalentemente nel mancato dialogo tra imprese, sistema educativo e famiglie. Le imprese non cercano più titoli ma competenze digitali e certificazioni sugli strumenti tecnologici più utilizzati nel lavoro mentre le famiglie tendono ancora a privilegiare dei percorsi formativi lunghi che magari hanno un livello basso di employability. Il sistema educativo si basa ancora su programmi vecchi e su un impianto molto teorico che spesso spaventa i ragazzi e li allontana sia dalla scuola che dal lavoro. La didattica a distanza e le risorse messe a disposizione per affrontare la crisi post Covid-19 potrebbero essere una grande occasione per ripensare i modelli educativi e lavorativi una volta per tutte partendo proprio dalle esigenze dei ragazzi italiani.