Prof, ma con tutti i disoccupati che abbiamo c’era proprio bisogno del bonus casalinghe?
Sì, c’era bisogno perché il tasso di inattività nel nostro Paese è troppo elevato, in particolare per la componente femminile.
Ns. el. su dati Eurostat
Il confronto tra Paesi europei mostra che in Italia la quota di donne che sono inattive pur essendo in età lavorativa è in assoluto la più elevata (43,5%), più del doppio rispetto alla Svezia (18,8%).
Le casalinghe fanno parte della popolazione inattiva, come tutte le persone che non sono occupate perché non hanno un lavoro retribuito, ma non sono neppure disoccupate perché non hanno cercato attivamente un lavoro nelle quattro settimane precedenti la rilevazione, o non sono disponibili ad accettarlo entro le due settimane successive. E in Italia le casalinghe sono tutt’altro che poche: superano i quattro milioni (4.170 mila), pari al 50% della popolazione inattiva, e un quarto di loro ha meno di 35 anni.
Prof, ma in fin dei conti quella delle casalinghe è una loro scelta!
Certo, è una loro scelta, è una delle tante decisioni che le donne prendono nel corso della loro vita e che si riflettono nella differenza dei loro redditi rispetto a quelli maschili. Queste decisioni dipendono da un lato da preferenze genuine e/o stereotipate, e dall’altro dalla diversa struttura degli incentivi che delimita il loro campo di scelta. Le cause di questa differenza di reddito sono dunque molte, e pongono problemi di non facile né immediata soluzione, ma qualcosa bisognerà pur fare se si vuole evitare che le donne siano sistematicamente a rischio di povertà soprattutto in età avanzata, quando è ormai troppo tardi perché loro possano porvi rimedio.
L’obiettivo del bonus è appunto quello di modificare la struttura degli incentivi che determinano la decisione di partecipazione al mercato del lavoro. I dati di flusso ci dicono che quella di casalinga non è una condizione permanente; si può entrare e uscire da questa posizione in corso d’anno, e sono più di mezzo milione (544 mila) le donne in età 15-64 anni che lasciano l’inattività per entrare nell’occupazione, ben più di quelle che arrivano all’occupazione provenendo dalla condizione di disoccupata (309 mila).
Ma i dati evidenziano anche il fatto che la transizione da casalinga a occupata trova un ostacolo specifico nel fenomeno dello scoraggiamento, cioè nella rinuncia alla ricerca di un posto di lavoro perché l’attività di ricerca ha un costo maggiore del beneficio, data la scarsa probabilità di concludersi con successo in tempi brevi. In tal caso, uno specifico provvedimento di politica economica può essere utile per agevolare un cambiamento vantaggioso per le donne e soprattutto per la società.
Prof, ma se le casalinghe non hanno un lavoro retribuito e neanche lo cercano è perché devono badare ai bambini perché non ci sono abbastanza asili …
Vero, è così per molte di loro, ma non per tutte; anche in questo caso ce lo dicono i dati.
Le cause dell’inattività sono numerose, e, tra queste, i motivi familiari sono predominanti, ma anche lo scoraggiamento ha un ruolo tutt’altro che trascurabile. Infatti sono ben 813.000 le donne che nel 2019 non hanno cercato lavoro perché ritenevano quasi nulla la probabilità di trovarlo (Tabella 2).
Ok prof, d’accordo sugli incentivi, ma ancora formazione? Noi donne siamo già più scolarizzate degli uomini …
Vero, ma questo vantaggio iniziale non dura per sempre …
I dati PIAAC evidenziano che le donne ottengono risultati migliori rispetto a quelli del genere maschile quando sono giovani, ma quando sono adulte ottengono un punteggio inferiore rispetto agli uomini della stessa classe d’età. La stessa indagine fornisce anche una valutazione delle capacità di elaborazione delle informazioni in ambito lavorativo: anche in questo caso, la differenza di genere ha segno negativo in età 16-29 anni, a significare un maggiore utilizzo delle proprie capacità da parte della componente femminile, ma la situazione si rovescia in età 30-49 anni, e il segno diventa positivo, ad indicare un maggior utilizzo delle proprie capacità da parte della componente maschile.
Per queste ragioni l’Unione europea sostiene opportunamente tutte le politiche che facilitano la transizione dall’inattività all’occupazione, ivi comprese quelle di formazione e aggiornamento delle competenze delle persone adulte che sono rimaste fuori dal mercato del lavoro per un lungo periodo di tempo, come ad esempio le casalinghe.