Il capitano non tiene mai paura,
Dritto sul cassero,
Fuma la pipa, in questa alba fresca e scura
Che rassomiglia un po’ alla vita […].
I muscoli del capitano – Francesco De Gregori
Al chiodo, stavolta, c’ha appeso gli scarpini. Che fanno bella mostra ora vicino a quell’altro, di chiodo, dove appena ventiquattr’ore dopo c’ha attaccato un foglio, una pergamena incorniciata da un bordo di legno sottile e un vetro poco spesso, con scritte poche frasi, un numero (o meglio, un voto, che altrimenti magari qualcuno lo confonde col numero di maglia…) e una sigla: “Dott…”.
Appesi lascia anche noi, la scelta di Alessandro Spanò. Perché un conto è lavorare e studiare, sfogliare un libro durante i lunghi ritiri prepartita, provare a dare qualche esame per costruirsi non tanto una carriera, ma almeno una consapevolezza della vita reale che t’aspetta oltre e dopo quel miscuglio di fango, erba, godimento, polvere, gesso, sudore, urla che è una partita di calcio (e che speriamo torni presto ad essere…).
Altra cosa è avere 26 anni, e al braccio la fascia di capitano di una squadra (la Reggiana) che hai appena contribuito a portare in serie B (anche grazie a un gol decisivo contro il Novara) e decidere di dire “Basta!”, quella parolina che per capirci gente come Paolo Maldini ha pronunciato ben oltre i quarant’anni, e che Gigi Buffon ancora non vuol saperne di sentire riecheggiare nel suo cuore e nelle sue orecchie.
Ma più che un pallone di cuoio ( o affini, in realtà, oggi…), poterono i libri, e con essi, pagina dopo pagina, formula dopo formula, la sensazione, divenuta prima certezza e poi scelta, di essere a una svolta, a un bivio della propria vita. Sì perché ‘capitan’ Spanò, mentre accompagnava la sua Reggiana verso la promozione, ha lavorato duro per diventare anche il ‘Dott.’ di cui sopra, laureandosi (proprio il giorno successivo al salto di categoria calcistica) in Economia e Management aziendale, all’Unicusano. Di più ( e peggio, per la Reggiana…). Alessandro coi libri ci sa proprio fare, ed ecco allora una borsa di studio con la Hult International Business School e, da settembre, un progetto da seguire della durata di 20 mesi, strutturato su due Master, International Business e Disruptive Business, dividendosi tra Londra, Shanghai e San Francisco.
Finisce nel sette, all’incrocio dei pali, la parabola disegnata da Alessandro Spanò: un destro a giro imparabile, degno del miglior Del Piero. Addio al calcio, nel momento più bello, e via nella nuova avventura, nella nuova vita, e le foto in maglia granata, quelle della festa e quelle dei dolori (due brutti infortuni alle ginocchia, ma il ‘capitano’ mica lo butti giù con così poco!!), che entrano nell’album dei ricordi,e restano per sempre nel cuore, a riscaldare l’alba umida della baia di San Francisco, o a dissolvere le nebbie sul Tamigi o disperdere i profumi e gli afrori dei mercati di Shanghai.
A noi, che restiamo incantati a vedere il disegno tracciato da questa piccola grande stella… con un cielo, viene ora in mente un’immagine, e un volto fresco di uno studente campione che 60 anni fa seppe incantare Roma, l’Italia e il mondo, accovacciato in un sotterraneo dello stadio Olimpico, sfogliando un manuale, preparando il suo prossimo esame universitario e in attesa dell’esame più grande che stava attendendo con naturale e quasi ingenua leggerezza. Il nome di quel ragazzo piemontese, appassionato studente di chimica, che di lì a pochi minuti sarebbe diventato oro olimpico sui 200 metri e uguagliando (come già aveva fatto in semifinale) il record del mondo.
Chissà se, sentendo la storia del ‘Dott. Spanò’, al buon Livio (Berruti) non venga la voglia di alzare la cornetta del telefono, e raccontare al (ex) capitano, la storia di quel ragazzo che, coi piedi veloci e un libro sulle ginocchia, seppe costruirsi prima un mito, poi una professione e una carriera…