Scuola e formazione a singhiozzo: il rischio della dispersione del talento

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Photo by Etienne Girardet on Unsplash

La lontananza, anche temporanea, dalla scuola avrà un impatto negativo sulle performance future dei ragazzi? E la riduzione delle attività formative che peso avrà su quelle dei lavoratori? E quali saranno gli effetti del mancato riconoscimento e sviluppo del talento?

Come padre di 4 figli e professionista che lavora nell’ambito dello sviluppo delle persone, da quando è iniziata la pandemia mi interrogo spesso su questi temi.

Con la professoressa Luisa Rosti, docente di economia del personale e di genere all’Università di Pavia, qualche tempo fa ho discusso riguardo all’impatto che il talento individuale può avere sui guadagni individuali e aziendali e di conseguenza sul profitto generato. La professoressa ha evidenziato i vantaggi portati da un incremento delle doti individuali citando “L’economia delle superstar” ed in particolare il concetto per il quale, secondo l’economista statunitense Sherwin Rosen, “Il talento è la principale determinante della retribuzione delle superstar. Piccole differenze di talento producono grandi differenze retributive”.

Ma il talento necessita innanzitutto di essere individuato, riconosciuto e coltivato per poter portare i suoi frutti.

La metafora sportiva ci aiuta spesso a comprendere come le famiglie siano le prime a sostenere i loro piccoli campioni nell’intraprendere scelte che li entusiasmano. Le piccole società sportive fanno la seconda parte grazie alla preparazione dei loro allenatori. Qui inizia il primo problema: ci sono società sportive talmente piccole, che non hanno la forza di avere allenatori in grado di scorgere, educare, allenare ed indirizzare i piccoli atleti verso società più strutturate che faranno fiorire i talenti che si trovano davanti. Così nello sport molto potenziale viene perso “solo” perché non viene visto o segnalato da nessuno.

Per quanto riguarda il percorso di formazione e apprendimento, ancora una volta è in primo luogo la famiglia a potersi occupare dell’individuare e sostenere il talento dei propri figli. Non tutte le famiglie però hanno le stesse possibilità e questo compito viene sostenuto dalla scuola. La scuola riconosce, prepara, sostiene e indirizza i giovani verso il mondo del lavoro. Sono le aziende, il terzo player di questa crescita dei talenti, a poter attivare un circolo virtuoso che, coerentemente con il principio dell’Economia delle Superstar, può portare con piccoli incrementi grandi benefici a tutti gli attori in gioco.

In un Paese come l’Italia, dove la ripartenza della scuola non sembra una priorità e dove allo stesso tempo le aziende bloccano percorsi di valutazione e sviluppo, il rischio che possa esserci dispersione del talento diventa altissimo.

L’investimento sul talento è un diritto non solo per le persone che ne beneficiano, ma per l’intera comunità che può trarre da questo un grande valore aggiunto. Le performance dei talenti sono esempio positivo e stimolo per gli altri e vanno a sostenere la crescita di un intero ambiente.

Rio de Janeiro - Michael Phelps, dos Estados Unidos, ganha sua 20ª medalha de ouro olímpica, nos 200m nado borboleta, nos Jogos Rio 2016. (Fernando Frazão/Agência Brasil)

Rio de Janeiro – Michael Phelps

Il danno che si crea per il mancato riconoscimento del talento appare crescere esponenzialmente se gli attori in gioco non riescono a fare il loro lavoro in maniera combinata. Cosa sarebbe successo se Michael Phelps, uno dei campioni olimpionici di nuoto più decorati della storia, fosse nato in un Paese senza strutture sportive adeguate? Cosa sarebbe successo se nonostante i suoi genitori avessero visto in lui del talento, gli allenatori non avessero dato seguito a questa intuizione genitoriale? Gli interi Stati Uniti avrebbero sofferto della mancanza del beneficio virtuoso generato da un talento come il suo, che ha saputo creare affezione e indotto attorno ad un movimento sportivo che si nutre di successi e medaglie.

Da un punto di vista formativo, la scuola e l’università servono proprio a consentire la prosecuzione di quel lavoro che le famiglie avviano, stimolano e sostengono. Un lavoro che verrà poi portato avanti in azienda con il compito di farlo fruttare al massimo. Ma attenzione che con le scuole chiuse, con una didattica a distanza che va a singhiozzo continuando, ahimè, a non essere per tutti. Con i continui dubbi sulle modalità più adatte per lavorare con i ragazzi, con l’incertezza formativa anche in alcuni poli universitari e con un mondo aziendale che riduce l’investimento nella valorizzazione dei propri lavoratori, il rischio di non poter mai vedere un Phelps vincere le Olimpiadi  o un Carlo Rubbia vincere il Nobel diventa altissimo.