Occupazione, in Italia abbiamo le casalinghe più colte d’Europa

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Ignoranti, ma non troppo. Ci pensano le donne ad alzare la media. È quanto emerge dal report dell’Istat “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali”, diffuso ieri. 

Secondo i dati riportati, in Italia i livelli di istruzione della popolazione sono in aumento ma restano ancora inferiori alla media europea. La quota di 25-64enni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è del 61,7% nel 2018 (+0,8 punti percentuali sul 2017), contro il 78,1% della media dei nostri vicini europei. Su questa differenza incide la bassa quota di 25-64enni con un titolo di studio terziario. Si annota però un marcato vantaggio delle donne nei livelli di istruzione: possiedono almeno un diploma il 63,8% delle donne, contro il 59,7% degli uomini, mentre la differenza di genere nella media Ue è meno di un punto percentuale. Va notato poi che  livelli di istruzione femminili sono aumentati più velocemente nel tempo: in quattro anni si registrano +2,8 punti per le donne almeno diplomate (contro +2,1 punti per gli uomini) e +3,2 punti per le laureate (contro +1,6 punti).

Più istruzione corrisponde a più occupazione? Chi ha più di 30 anni direbbe di no, probabilmente scottato dalle esperienze nel precariato che dagli inizi del 2000 hanno tormentato un’intera generazione di laureati. Ma al momento, secondo il rapporto, il vantaggio occupazionale dei laureati è decisamente in crescita. In particolare lo studio evidenzia che il premio dell’istruzione – inteso come maggiore occupabilità al crescere dei livelli di istruzione – è pari a 18,4 punti nel passaggio dal titolo secondario inferiore al titolo secondario superiore e a 10,2 punti nel confronto tra quest’ultimo e il titolo terziario (19,6 e 9,4 punti, i rispettivi valori Ue).

C’è di più: se 33,6% è il tasso di occupazione dei 18-24enni che abbandonano precocemente gli studi, 78,4% è il tasso di occupazione dei 30-34enni laureati. Praticamente il doppio.

Bisogna raccontarlo a quei giovani che scelgono di abbandonare gli studi per entrare, nel peggiore dei casi, nell’esercito silente dei NEET. La quota di 18-24enni che possiedono al più un titolo secondario inferiore e sono fuori dal sistema di istruzione e formazione sale al 14,5% nel 2018 dopo la stazionarietà del 2017 e il sensibile calo registrato fino al 2016. L’uscita precoce dagli studi è decisamente più accentuata per i giovani stranieri: si parla del 37,6% contro il 12,3% degli italiani. Il profilo territoriale mette poi in luce divari molto ampi: l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale raggiunge il 18,8% nel Mezzogiorno, scende al 12,2% nel Nord e registra il minimo al Centro (10,7%).

Tasto dolente, manco a dirlo, la questione femminile. Ma perché, se abbiamo detto che le donne sono tendenzialmente più istruite degli uomini? Da una parte, infatti, la buona notizia è che le giovani donne sono meno coinvolte nel fenomeno dell’abbandono scolastico precoce rispetto ai coetanei (12,3% contro 16,5%) malgrado il peggioramento nell’ultimo anno (+1,1 punti), in particolare per le straniere.  Resta però il fatto che, rispetto agli uomini, anche se per le donne osserviamo più elevati livelli di istruzione e maggiori vantaggi occupazionali al crescere del livello di istruzione, i tassi di occupazione restano ampiamente inferiori: 75,0% contro l’83,7% dei laureati maschi. In pratica dobbiamo rivedere lo stereotipo della casalinga di Voghera, che probabilmente tra una spesa e un bucato si rilassa leggendo Kant. Facciamone pure una battuta, ma non facciamone una macchietta. Non dobbiamo smettere di interrogarci sul perché questo accada e cosa serve per far sì che non accada più.