Maschiaccio, la graphic novel di Liz Price

maschiaccioMaschiaccio. Chi non ha avuto una bambina maschiaccio nella propria vita. Una compagna di classe, un’amichetta, una cugina, una vicina di casa. Una di quelle che la gonna mai, i codini neanche a parlarne e le bambole per niente. Una di quelleche si arrampicano sugli alberi, tornano a casa con le ginocchia sbucciate e fanno la lotta nel prato con i coetanei se la prendono in giro. Una di quelle che raccoglie bruchi e li conserva in un barattolo per farne un allevamento. Di quelle che tira su i ragni per una zampa. Di quelle che preferiscono correre dietro un pallone o lancirasi in bici da una discesa senza gambe e senza mani. Di quelle che non sta né di qua né di là nei gruppi di gioco nei giardini delle elementari.

Una di quelle che da adolescenti beve la birra dalla bottiglia a cavalcioni di un muretto e preferisce vedere le partite di basket piuttosto che i telefilm d’amore. Di quelle che impara a cambiare le ruote dell’auto prima ancora di prendere la patente e che sa fischiare con le dita in bocca. Di quelle che un giorno sboccia e la incontro per strada con un maglione che le incornicia le curve, uno sguardo più consapevole e un sorriso da donna. E allora tutto cambia: lo sguardo degli uomini, le risposte delle persone e il suo mondo.

E’ una di questi maschiacci che racconta Liz Price nella sua graphic novel appena tradotta in italiano a cura di Vanda Publishing, solo nella versione in ebook (Maschiaccio). Si tratta di una storia autobiografica, quella di una bambina che cerca il suo posto nel mondo, che non è fra le principesse e nemmeno sul campo da baseball con i maschi. Eppure l’autrice trova la sua strada, alla fine.

Un racconto che ci fa far pace con l’ide ache una bambina possa decidere di vestirsi da spiderman a carnevale e non da Elsa di Frozen. Lasciamola fare. Lasciamola essere, solo così riuscirà a compiersi come persona. E magari aiuterà questa società a rompere gli stereotipi. Sarebbe opportuno permettere la stessa libertà anche ai bambini. Perché giocare con le bambole non ha nulla a che fare con la scelte “sessuali” che si fanno da grandi.