La buona notizia è che le donne cercano più aiuto: nel 2023 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza, sono cresciute del 59%, toccando quota 51.713. Le cattive notizie restano tante: l’anno appena concluso ha visto consumarsi 120 omicidi di donne (erano stati 126 nel 2022). E le analisi realizzate nel tempo – ha riferito in audizione davanti alla commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio Saverio Gazzelloni, direttore della Direzione centrale Istat delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione – “indicano che in misura stabile oltre la metà degli omicidi sono attribuiti al partner o all’ex partner della donna uccisa e circa il 20% ad altri parenti; quattro omicidi su cinque avvengono quindi nell’ambito familiare ristretto o allargato”.
Non lavora oltre la metà di chi chiede aiuto
Analizzando le informazioni relative alle 16.823 vittime (14.455 donne) che hanno chiamato il 1522 direttamente in quanto vittime di violenza o stalking emerge che quasi la metà (il 45,7%) ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e il 20,5% tra i 25 e i 34 anni. Prevalgono le donne con un diploma (41,8%) ma è comunque alta la percentuale di laureate: 32,3 per cento. Lavora meno della metà (il 49,4%): il 3,1% è impiegata in nero, il 19,9% è disoccupata, il resto inattiva. Chi si rivolge al numero di pubblica utilità fino a 24 anni è solitamente una studentessa. E proprio le studentesse segnalano di aver subito più spesso singoli episodi di violenza rispetto alle altre donne
L’82,1% delle vittime donne che chiamano il 1522 non ha denunciato la violenza subita, mentre il 2,2% ha ritirato la denuncia. Ma il servizio “svolge un’importante funzione di snodo a livello territoriale per l’attivazione di servizi a supporto delle vittime che vi si rivolgono”: il 75,3% delle donne che dicono di aver subito violenza è stato indirizzato a una struttura territoriale di supporto, in genere a un centro antiviolenza.
Gli accessi in ospedale: quasi 15mila donne al pronto soccorso
La mattanza delle donne è domestica, punta dell’iceberg di una violenza maschile che permea le relazioni intime: nel 2022 le donne finite al pronto soccorso sono state 14.448, in aumento del 13% rispetto al 2021. Si tratta di 4,9 accessi per 10mila donne, con un picco tra le giovani tra i 18 e i 34 anni. Le donne provenienti dall’Africa occidentale e dall’America centro-meridionale mostrano tassi di prevalenza più alti rispetto alle italiane e al resto delle europee.
I codici gialli erano il 12,8% nel 2017 e sono diventati il 27,7% nel 2022. Un risultato coerente – sottolinea l’Istat – con quanto previsto dalle Linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza sociosanitaria alle donne che subiscono violenza, secondo cui nei casi di violenza sulle donne va riconosciuta almeno una codifica di urgenza relativa, dunque il codice giallo o equivalente. Anche i dati sulle dimissioni segnalano un miglioramento nella capacità di individuare i casi da parte di medici e operatori sanitari: nel 2022 sono stati 1.196 i ricoveri ordinari con indicazione di violenza. Anche qui per le straniere i tassi sono più alti.
In calo nel 2023 le denunce per i reati spia
Secondo i dati del Viminale relativi ai primi tre trimestri dello scorso anno, le denunce per atti persecutori, maltrattamenti contro familiari e conviventi e violenze sessuali (i cosiddetti “reati spia”) sono calati dopo un aumento negli anni precedenti. Gli atti persecutori nei primi nove mesi del 2023 risultano circa 12.500 (-13%), i maltrattamenti circa 16.600 e le violenze sessuali 4.341, entrambi in diminuzione del 12 per cento.
Parliamo comunque di una platea complessiva di vittime pari a quasi 40mila donne: nel 2022 erano state in 12.928 a subire atti persecutori, in 19.963 a essere maltrattate, in 4.986 a essere violentate. L’età dove l’incidenza è maggiore va dai 35 ai 44 anni; solo per le violenze sessuali predominano le giovanissime tra i 14 e i 17 anni.
In 26mila hanno provato a uscire dalla violenza
Nel 2022, ha ricordato l’Istat citando la rilevazione sull’utenza dei centri antiviolenza, sono state 26.131 le donne che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza con l’aiuto di uno dei 385 Cav e 457 case rifugio presenti sul territorio. Per il 41,3% sono passati più di cinque anni dai primi episodi subiti, per il 33,5% da uno a cinque anni, per il 13,5% da sei mesi a un anno e solo per il 7,1% il tempo è inferiore a sei mesi. Segno che interrompere la spirale è un processo lungo e doloroso. Per il 17,7% delle donne la scelta di rivolgersi ai centri è stata dettata da un’emergenza, una situazione di rischio o pericolo.
Chi è in uscita dalla violenza ha per il 27,5% tra i 40 e i 49 anni e per il 24,6% tra i 30 e i 39 anni. La maggioranza, quasi il 65%, è rappresentata da italiane. Il 58,9% viveva con i figli quando ha iniziato il percorso o con il partner (44,6%). Ben il 61,3% ha un’istruzione medio-alta: il 43,9% il diploma, il 17,4% laurea o dottorato e più del 50% lavora. Molto diffusa la violenza psicologica, subita da nove su dieci. Il 66,7% ha subito una violenza fisica, il 50,7% una minaccia, l’11,7% ha subito uno stupro o tentato stupro.
Allarme violenza economica: niente autonomia per il 60% delle donne
Colpisce che nel 2022 circa il 60% delle donne in uscita dalla violenza non sia autonoma economicamente, valore che sale al 90% per quelle in cerca di prima occupazione, a più dell’80% delle disoccupate, studentesse e casalinghe e al 45,4% di quante hanno un lavoro precario. Il 40,2% ha indicato tra quelle subite anche la violenza economica, dall’impossibilità di usare il proprio reddito e di conoscere l’ammontare del denaro disponibile in famiglia all’esclusione dalle decisioni su come gestire i soldi familiari.
Nel complesso, una situazione di sofferenza economica coinvolge il 74% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza. Disoccupate, casalinghe e lavoratrici in nero subiscono più frequentemente violenza dai partner.
Violenza assistita: proteggere i piccoli per proteggere gli adulti di domani
Sempre la rilevazione sull’utenza dei centri antiviolenza evidenzia come per le donne che in passato hanno assistito a episodi di violenza fisica e sessuale del padre sulla madre la percentuale di chi ha subito più di quattro violenze sale al 44,2% rispetto al 34,3% di chi non vi ha assistito. “Questa differenza – afferma l’Istat – testimonia quanto verosimilmente la trasmissione intergenerazionale della violenza sia motivo di esposizione al rischio di subire violenze reiterate”.
Nel 2022 il 58,9% delle donne che ha iniziato il percorso di uscita dalla violenza viveva con i figli. Nel 73,1% dei casi relativi a madri, i figli hanno assistito e nel 21,9% hanno subito violenza essi stessi. Il numero di figlie e figli ospitato nelle case rifugio era pari a 2.663, per un numero medio di notti per ciascun bambino pari a 142.
Donne più istruite degli uomini, ma solo la metà lavora
A guardare i dati si potrebbe dire che il lavoro non salva, ma protegge. E che purtroppo è ancora una chimera per quasi la metà delle italiane. Anche perché il vantaggio femminile nell’istruzione (il 65,7% nel 2022 aveva almeno un diploma contro il 60,3% degli uomini e le laureate erano il 23,5% contro il 17,1% degli uomini) “non si traduce in esiti occupazioni migliori”. Nell’audizione, un focus è stato dedicato proprio ai dati sull’occupazione femminile. Il tasso nel terzo trimestre 2023 ha sì raggiunto il 52,2% (+1,4 punti in un anno), ma è inferiore a quello di tutti gli altri Paesi dell’Ue a Ventisette e più basso di 13,7 punti rispetto a quello medio europeo. Un gap in crescita rispetto al terzo trimestre del 2019. E la distanza tra tasso di occupazione femminile e maschile resta ampia, di 18,6 punti.
Livello di istruzione e residenza al Nord sono fattori correlati positivamente al lavoro: le laureate raggiungono un tasso di occupazione di circa due volte e mezzo superiore a quello di chi ha un titolo basso (76,3% contro 31,5%) e di venti punti superiore a quello delle diplomate, ferme al 55,9 per cento. Anche al Sud la laurea fa la differenza: la quota di 15-64enni che lavorano, al 35,7%, schizza al 65,2% tra chi ha un titolo di istruzione terziaria. Ma è un valore comunque inferiore di 16,3 punti alle laureate del Nord.
La presenza di figli fa invece la differenza in termini negativi: nel terzo trimestre 2023 il tasso di occupazione delle 25-49enni è pari al 79,8% per le donne che vivono da sole, scende al 75,5% se vivono in coppia e crolla al 58,7% se hanno figli, riducendosi ancora al 54,1% se i bambini hanno fino a 5 anni. Pure in questo caso la laurea abbatte l’effetto: il tasso di occupazione resta superiore all’80% indipendentemente dal ruolo in famiglia.
Gender pay gap nel privato al 15,5%
Se oltre un quarto delle occupate (26,2%) risulta vulnerabile per la precarietà o il part-time involontario, contro il 15,2% degli uomini, il gender pay gap è calcolato nel 2021 al 6,1% considerando anche il settore pubblico. Ma, guardando soltanto al privato, il divario salariale sale al 15,5% e aumenta con l’età. Non sembrerebbe soltanto il frutto di discriminazione, spiega l’Istat, ma di un complesso ampio di fattori: le donne sono più spesso occupate in settori a basso salario, dedicano meno tempo ad attività retribuite perché impegnate troppe ore in lavoro informale di cura gratuito, interrompono più frequentemente la carriera per dedicarsi ai figli.
Citando uno studio Eurostat del 2021, l’Istituto nazionale di statistica mostra che il divario salariale italiano tra donne e uomini ha una componente “non spiegata” superiore a quella rilevata complessivamente: “Le donne sarebbero pagate meno per ragioni che non riguardano le caratteristiche individuali (età o istruzione), del lavoro (anzianità in azienda, tipo di contratto o orario di lavoro) o del datore di lavoro (territorio, settore di attività, dimensione dell’impresa/ente)”. Servirebbero dati e analisi più dettagliate, conclude l’Istat, come la rilevazione di informazioni aggiuntive sulle caratteristiche e le esigenze legate all’attività lavorativa. Servirebbero anche per fugare il dubbio che le ragioni del pagare meno le donne per lo stesso lavoro siano sempre legate a discriminazioni, anche quando a prima vista non sembrerebbe.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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