Gaza, donne e bambini pagano le maggiori conseguenze

A oltre 100 giorni dall’inizio del conflitto, le donne di Gaza sono “spaventate, esauste e in attesa del peggio” e, insieme ai bambini, sono le principali vittime della guerra tra Israele e Hamas.

Dall’inizio degli attacchi, riferisce il report Gender alert: The gendered impact of the crisis in Gaza di Un Women, almeno 24.620 palestinesi sono stati uccisi a Gaza e più di 1.9 milioni di persone sono state sfollate. Tra loro, quasi 1 milione sono donne e ragazze, 3mila donne sarebbero  rimaste vedove e almeno 10mila bambini potrebbero aver perso il padre, a causa degli attacchi aerei israeliani. Mentre ogni ora muoiono due madri.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere “la perdita di vite umane e i bisogni umanitari hanno raggiunto livelli senza precedenti“. I fronti aperti sono tanti. Le emergenze riguardano gli ospedali, la carenza d’acqua e di igiene, il cibo. Sullo sfondo l’acuirsi del rischio di violenza di genere.

Vittime triplicate

Secondo le autorità di Hamas, il territorio ha perso l’1% della sua popolazione. Per le Nazioni Unite, il numero di morti è triplicato rispetto al totale dei 15 anni precedenti messi insieme. A cambiare è anche la demografia delle vittime. Tra il 2008 e il 7 ottobre 2023 l’Onu ha registrato la morte di 6.542 palestinesi e 308 israeliani, caduti per via del conflitto israelo-palestinese. Meno del 14% erano donne e ragazze. Oggi, su oltre 24mila palestinesi uccisi, il 70%, circa 16mila vittime, sono donne e bambini. 

Una sproporzione che, racconta ad Alley Oop Riham Jafari, coordinatrice acdvocacy e comunicazione di ActionAid Palestina, è creata “dai bombardamenti indiscriminati israeliani su case, ospedali, scuole, rifugi delle Nazioni Unite sovraffollati di donne e bambini, su interi quartieri civili ed edifici civili“. E aggiunge: “I bambini e le donne non dovrebbero essere presi di mira ed è urgentemente necessario un cessate il fuoco immediato e sostenibile per fermare questi attacchi.

La vita delle donne di Gaza è costellata di sofferenze, racconta Jafari: “Soffrono per i continui bombardamenti e l’escalation che mette in pericolo le loro vite e quelle dei loro cari. Soffrono perché non sono in grado di aiutare i bambini feriti e non possono fare nulla con un sistema sanitario al collasso. Circa in 3mila, dopo la morte dei mariti, sono diventate capi famiglia”. Donne vedove, quindi, con la totale responsabilità sulle loro spalle di trovare e dare protezione, nutrire e provvedere alla famiglia e che spesso, prima della crisi, non aveva un reddito.

Senza acqua e senza ospedali

A Gaza manca tutto, dal cibo agli ospedali, passando per l’acqua. Infrastrutture critiche come reti idriche e strutture igienico-sanitarie sono state rase al suolo.

A ottobre 2023 le donne incinte presenti a Gaza erano circa 50mila. Secondo una stima dell’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, 180 donne partoriscono ogni giorno a Gaza e lo fanno senza un’assistenza medica o di parto sicura. Come conferma la collaboratrice di ActionAid: “sono costrette a partorire da sole senza assistenza medica o con qualcuno dei loro parenti accanto. Se riescono a raggiungere l’ospedale, non ricevono cure mediche adeguate o saranno sottoposte a un taglio cesareo senza anestesia. La maggior parte partorisce nei rifugi delle Nazioni Unite in mancanza di privacy” .

La crisi idrica è così grave che, “chi vive negli appartamenti, dove le famiglie allargate si rifugiano insieme, può tirare lo sciacquone solo quando necessario perché ogni goccia d’acqua deve essere trasportata su per le scale e razionata. La maggior parte degli abitanti di Gaza, tuttavia, vive in scuole sovraffollate gestite dalle Nazioni Unite, dove 400 o più persone condividono un unico bagno. Altri vivono in tende e per strada mentre gli ordini di evacuazione israeliani spingono le persone sempre più a sud. Le donne si svegliano presto e fanno la fila negli ospedali per farsi la doccia prima che finisca l’acqua durante la giornata. Altre fanno la fila solo per usare il bagno“.

Secondo l’Unocha, solo una delle tre condutture idriche da Israele a Gaza è attualmente funzionante. Per l’Ufficio per gli affari umanitari, le persone hanno accesso in media solo a 1,5-2 litri d’acqua al giorno, un valore inferiore ai 3 litri necessari per la sopravvivenza di base e ben al di sotto dei 15 litri minimi necessari a persona ogni giorno per soddisfare tutte le esigenze idriche e igienico-sanitarie.

Le implicazioni della carenza d’acqua

La mancanza d’acqua rende quasi impossibile una corretta igiene. In un contesto di condizioni umanitarie catastrofiche, le donne e le ragazze di Gaza sono costrette a ricorrere a metodi poco sicuri per gestire le loro mestruazioni.

ActionAid ha appreso che alcune donne sfollate che vivono a Rafah tagliano piccoli pezzi dalle tende su cui fanno affidamento per ripararsi dal freddo e dalla pioggia per usarli come sostituti degli assorbenti, rischiando però di contrarre infezioni. 

Rafah attualmente ospita più di 1 milione di sfollati – più di 4 volte la sua popolazione abituale – in condizioni di estremo sovraffollamento e non c’è privacy. Le code per i servizi igienici sono lunghissime e l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente, stima che nei rifugi ci sia solo un bagno ogni 486 persone.

Immaginate di dover gestire le vostre mestruazioni senza assorbenti, carta igienica o sapone, e senza la possibilità di lavarvi. Il tutto vivendo a stretto contatto con altre persone senza la privacy necessaria“, dice Jafari. “Questa è la realtà per centinaia di migliaia di donne e ragazze a Gaza in questo momento. Non si tratta solo di un affronto alla loro dignità, ma anche di un vero e proprio pericolo per la salute“.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, ci sono 700mila donne e ragazze a Gaza che hanno le mestruazioni ma che, a causa della guerra, non hanno un accesso adeguato a prodotti igienici di base come assorbenti, carta igienica, acqua corrente e servizi igienici. “I camion degli aiuti che entrano sono per lo più pieni di cibo e aiuti medici, non necessariamente di assorbenti per le donne. Questi sono scomparsi dalle farmacie e dai negozi. In molte si rivolgono ai centri sanitari per richiedere la pillola anticoncezionale che blocchi il ciclo“, racconta l’operatrice umanitaria.

Per combattere la povertà mestruale ActionAid, insieme ai suoi partner locali come l’Associazione Wefaq per le donne e l’assistenza all’infanzia, ha distribuito kit igienici e costruito 60 blocchi di servizi igienici e docce a Rafah, per fornire a donne e ragazze uno spazio protetto.

Crisi alimentare

Un mese fa, pensavo che la sofferenza non potesse diventare più profonda, ma la spirale discendente continua a peggiorare“. Sono queste le parole con cui Hiba Tibi, vice direttore regionale di CARE per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha descritto la situazione nei territori palestinesi. Rincara la dose Aaron Brent, direttore ad interim di CARE West Bank e Gaza: “A Gaza, le donne sono le ultime a mangiare e i bambini sono i primi a morire“. 

L’associazione, che opera a Gaza e in Cisgiordania dal 1948, dopo due mesi dall’inizio del conflitto armato ha fatto il punto sui bisogni alimentari della popolazione. Il rischio di carestia è elevato e i casi di disidratazione e malnutrizione sono in rapido aumento. “Le madri mangiano una volta al giorno, privandosi dei pasti per lasciare il cibo ai figli. La mancanza di cure mediche, di igiene e gli alti livelli di malnutrizione con la vita in rifugi sovraffollati è un mix letale. Temiamo che il numero di donne e bambini che moriranno di malattie altrimenti prevenibili e curabili aumenterà“, ha detto Hiba Tibi. Il rischio malnutrizione, stima Unicef, riguarderebbe circa 135mila bambini sotto i due anni.

Rischio violenza di genere

Dall’escalation del conflitto, 1,9 milioni di persone, quasi l’85% della popolazione, è stata sfollata. Quasi 1,2 milioni di palestinesi vivono in 156 rifugi dell’Unrwa, altri 191mila alloggiano in scuole o centri comunitari. Altri ancora hanno trovato rifugio presso la famiglia, spesso condividendo piccole stanze con 30 o più persone. Situazioni critiche dove è a rischio anche la sicurezza di donne e ragazze, rese più vulnerabili di fronte a violenza di genere, di sfruttamento e abuso sessuale, come denuncia l’Un Women.

Secondo l’agenzia, gli unici due centri di accoglienza per donne a Gaza, entrambi a Gaza City, sono chiusi, e i blackout delle telecomunicazioni e dell’elettricità stanno limitando gravemente la fornitura di servizi a distanza per la violenza di genere proprio mentre i rischi sono più alti.

Una sola richiesta

La crisi si sta rapidamente deteriorando in catastrofe umanitaria. Dalle Nazioni Unite a Care International, passando per ActionAid, tutti ribadiscono il loro appello per un cessate il fuoco immediato.

Abbiamo visto ancora una volta che le donne e i bambini sono le prime vittime dei conflitti. Il nostro dovere di cercare la pace è un dovere nei loro confronti” ha dichiarato Sima Bahous, direttrice esecutiva di Un Women, in una nota. E ancora: “Li stiamo deludendo. Quel fallimento, e il trauma generazionale inflitto al popolo palestinese in questi oltre 100 giorni perseguiteranno tutti noi per le generazioni a venire”.

Lo ripete anche Jafari di ActionAid: “ciò di cui la popolazione di Gaza ha bisogno è un cessate il fuoco permanente, ora, per porre fine all’insensata uccisione di civili, con donne e ragazze che rappresentano il 70% delle vittime, e per consentire agli aiuti disperatamente necessari di raggiungere coloro che ne hanno bisogno”. 

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