
Foto di Helena Lopes su Unsplash
Sembra un disco rotto che suona sempre la stessa musica quella intonata per le madri in Italia: fare figli per loro è ancora oggi una sfida quotidiana, una corsa a ostacoli che nulla sembra scalfire. Da anni le difficoltà sono note a tutti, squadernate da ricerche, relazioni istituzionali e no, oggetto di convegni e libri, materia di dibattito pubblico. Pesano le diseguaglianze uomo-donna sul lavoro, la carenza di servizi per la prima infanzia e la zavorra sproporzionata delle responsabilità di cura che ancora gravano in larga parte sulle spalle delle donne. Che infatti, nonostante il profluvio di bonus e incentivi, hanno progressivamente smesso di fare figli, facendo registrare un nuovo minimo storico per la natalità, inferiore anche al record negativo dell’1,19 registrato nel 1995: appena 1,18 figli per donna nel 2024.
La decima edizione del rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”, targato Save the Children, fotografa una realtà dura e complessa, che sembra congelare le donne in un eterno presente, costrette a fare le acrobate per provare a conciliare sogni e responsabilità, ma anche a tenere la frustrante contabilità di diritti negati e opportunità non colte perché mai offerte. La qualità della vita per molte resta solo un miraggio, un’aspirazione che non si realizza mai. E il fatto che una madre su cinque abbandoni il lavoro dopo la nascita di un figlio non è più una novità, è la normalità. Le più penalizzate? Sono sempre loro, le mamme single. In continua crescita, spesso isolate, con poche reti di supporto e opportunità lavorative. Tra i 25 e i 34 anni, lavora solo una mamma sola su due. E il rischio di povertà, per le famiglie monogenitoriali, è molto più alto rispetto alla media nazionale.
Madri lavoratrici tra squilibri e rinunce
Nel 2024, le nascite sono scese a 370mila, segnando un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Le donne italiane fanno figli sempre più tardi (l’età media al parto è 32,6 anni) e sono costrette a scegliere tra carriera e maternità. Mentre il 91,5% degli uomini con figli è occupato, per le madri la percentuale scende al 62,3 per cento. Dopo il primo figlio, il 20% delle donne lascia il lavoro. Tra le madri di figli con disabilità, la percentuale sale al 35 per cento. Il fenomeno delle “dimissioni volontarie” racconta bene cosa avviene dopo la nascita di un figlio: il 72,8% delle 61.391 rinunce al posto di lavoro da parte di neogenitori con figli tra 0 e 3 anni proviene da donne. In quasi tutti i casi, si tratta di scelte obbligate, non volute: orari impossibili, mancanza di asili, nessun sostegno alla conciliazione.
Mamme sole, fatica doppia
Le madri single rappresentano oggi il 77,6% delle famiglie monogenitoriali, cresciute del 44% tra il 2011 e il 2021. Per loro, trovare e mantenere un lavoro è un’arrampicatam anche se nel complesso tra il 2023 e il 2024 si registra un miglioramento del tasso di occupazione complessivo delle 25-54enni sole che passa dal 66,6% al 68,5 per cento. Il rischio povertà colpisce comunque le madri single in modo sproporzionato (32,1% contro il 23,1% della media italiana) e le disuguaglianze territoriali non fanno che aggravare la situazione, aggiungendo fragilità a fragilità: nel Nord, oltre l’83% delle mamme sole tra i 25 e i 54 anni lavora. Nel Mezzogiorno, crollano a meno della metà (45,2%).
Reddito e casa, divari ampi rispetto ai padri single
Il rapporto sfata molti falsi miti chiarendo le differenze sostanziali tra donne e uomini quando si ritrovano soli a crescere un figlio, che naturalmente derivano dalle difficoltà di accesso al mercato del lavoro e dalle divaricazioni nei salari (un fenomeno non solo italiano). Le madri single con figli minori, infatti, hanno un reddito medio netto pari a 26.822 euro annui, contro i 35.383 dei papà nella stessa situazione. Nel 2024, tra queste mamme, circa una su tre vive in affitto (il 31,5% contro il 17,5% dei padri nella stessa situazione) e poco più della metà (53,2%) in abitazione di proprietà, circa 20 punti percentuali in meno rispetto ai padri soli con almeno un figlio minore (71,9%). «Sono molti gli squilibri strutturali che resistono al cambiamento mentre emergono nuove aree di diseguaglianza che si stratificano», commenta Antonella Inverno, responsabile Ricerca e analisi dati di Save the Children Italia. «Non solo le donne sono penalizzate nel mercato del lavoro e ancora scontiamo divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese. Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori, con divari di reddito e di condizioni abitative rispetto ai padri molto ampi, divari su cui è necessario intervenire con misure di sostegno dedicate per evitare che queste mamme e i loro bambini sprofondino in una situazione di povertà dalla quale è difficile riemergere».
Investire nei servizi per l’infanzia: una svolta possibile
In Italia, la genitorialità è responsabile del 60% della differenza nel tasso di occupazione tra uomini e donne, con le madri che spesso ricoprono ruoli di cura all’interno della famiglia a scapito della carriera. Logico, dunque, che una delle chiavi per ridurre la child penalty – la penalizzazione economica che colpisce le madri – sia potenziare l’accesso agli asili nido. Secondo una stima del think tank Tortuga, ridurre del 30% il costo dei servizi a carico delle famiglie abbasserebbe la child penalty dal 33% al 27%. In uno scenario più ambizioso, con una riduzione del 90%, il gap scenderebbe fino al 16,8%. Non si tratta solo di numeri: investire in cura significa liberare il potenziale delle donne, ridurre il part-time forzato, rendere il lavoro femminile pienamente accessibile. «Servono politiche strutturali, integrate e durature – afferma Giorgia D’Errico, Public Affairs di Save the Children – per sostenere le famiglie e riconoscere il valore sociale della cura, anche per i padri. Solo così genitorialità e lavoro non saranno più in conflitto, ma parte di un progetto di benessere condiviso».
L’Italia delle madri: la mappa delle diseguaglianze
Anche quest’anno l'”Indice delle Madri”, elaborato dall’Istat per Save the Children sulla base di sette dimensioni (demografia, lavoro, rappresentanza, salute, servizi, soddisfazione soggettiva e violenza) e 14 indicatori, mette la Provincia autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle mamme. A seguire ci sono Emilia-Romagna e Toscana, in coda ancora una volta la Basilicata, preceduta da Campania, Puglia e Calabria. Il rapporto riserva una “menzione particolare” all’Umbria, che ha scalato la classifica passando dal nono al quarto posto. In grave peggioramento, invece, la Valle d’Aosta, scesa dal quinto posto al sedicesimo.
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