La disparità salariale tra uomini e donne continua a rappresentare una delle sfide più grandi nel mondo del lavoro. Sebbene siano stati fatti passi avanti in molte nazioni per ridurre il gap, come nel caso della normativa Ue 2023/970 sulla trasparenza retributiva, il cammino verso una parità salariale effettiva è ancora lungo. Il problema riguarda tutti i Paesi, dall’Europa, dove il divario retributivo medio di genere è pari a circa il 12%, fino agli Stati Uniti, in cui lo scorso anno le donne guadagnavano in media l’85% di quanto percepivano gli uomini.
Si tratta di una disuguaglianza complessa, che nasce da un intreccio di fattori strutturali e culturali: stereotipi radicati, carenze nei sistemi di welfare e, non da ultimo, le scelte personali e professionali delle donne stesse. Ma quanto pesa davvero ciascuno di questi elementi? Un recente rapporto del McKinsey Global Institute ha provato a rispondere a questa domanda analizzando 86.000 carriere reali: donne e uomini con profili simili che hanno seguito percorsi diversi.
Il report, dal titolo “Tough trade-offs: How time and career choices shape the gender pay gap”, stima che quasi l’80% della disparità salariale sia spiegabile dalle differenze nell’esperienza lavorativa accumulata. In media, una donna guadagna 27 centesimi in meno per ogni dollaro percepito da un uomo nella stessa professione, una differenza che, su una carriera di trent’anni, si traduce in una perdita media di circa 500mila dollari.
Meno ore meno opportunità
Uno dei fattori principali alla base di questo divario è il minor tempo che le donne trascorrono al lavoro rispetto agli uomini. Per ogni dieci anni di esperienza maturata da un uomo, una donna ne accumula solo 8,6. La maternità, il lavoro di cura domestica, la gestione della famiglia e la scarsa disponibilità di strumenti di conciliazione influiscono profondamente su questa differenza. Le donne ricorrono più spesso al part-time, si assentano per periodi più lunghi tra un impiego e l’altro e, anche quando lavorano a tempo pieno, svolgono mediamente meno ore.
Secondo McKinsey, le donne prendono il 42% di giorni in più di pausa lavorativa rispetto agli uomini. Le interruzioni di carriera sono spesso più lunghe, soprattutto nei periodi legati alla maternità, e questo comporta un rientro più difficile e, in molti casi, penalizzante in termini di retribuzione e di prospettive. Intorno ai 37 anni, età media della genitorialità, il gap nei break di carriera raggiunge il picco, con una differenza di otto punti percentuali a sfavore delle donne. Il cosiddetto “mom penalty” colpisce duramente: le donne che diventano madri spesso vedono rallentare o addirittura bloccarsi la propria progressione di carriera, un effetto che si trascina anche sul lungo periodo.
Carriere che si biforcano
Anche quando uomini e donne cambiano ruolo con la stessa frequenza — in media 2,6 volte nei primi dieci anni — e acquisiscono nuove competenze con pari intensità, i risultati di questi cambiamenti divergono nettamente. Gli uomini sono più propensi a spostarsi verso posizioni con salari più elevati, mentre le donne tendono a orientarsi verso ruoli più flessibili e meno competitivi, che spesso corrispondono anche a stipendi inferiori.
Il report mostra che il 45% degli uomini che iniziano la carriera in un’occupazione di fascia medio-bassa riesce ad accedere ai livelli salariali più alti entro dieci anni. Tra le donne, la percentuale scende al 30%. E questo divario emerge presto. Secondo McKinsey, è già durante la prima promozione o il primo cambio di ruolo che iniziano a farsi notare differenze significative. L’idea che le disuguaglianze si accumulino solo nel lungo periodo è falsa: spesso si manifestano già nelle fasi iniziali di carriera.
Il cuore del gap: percorsi e tempo
Il report fornisce anche una scomposizione precisa di quel 27% di gap salariale osservato dopo dieci anni di carriera. Più della metà del divario, il 53%, è attribuibile a percorsi professionali diversi. Un altro 26% deriva dal minor tempo lavorato. Circa l’11% è legato al mancato avanzamento all’interno della stessa professione, mentre il restante 10% dipende da fattori più difficili da quantificare, come il settore di appartenenza o la cultura aziendale.
Scelte che contano (più del previsto)
Un ulteriore fattore che incide riguarda la diversa distribuzione di uomini e donne nei settori in crescita. Le donne sono sovrarappresentate in professioni che offrono minori opportunità economiche e che rischiano di essere sostituite dalla tecnologia. Gli uomini, invece, sono più presenti nei settori in espansione, come la finanza e la tecnologia, che offrono stipendi migliori e maggiore sicurezza nel tempo.
Se questa tendenza persisterà, entro il 2030 oltre il 75% degli uomini sarà impiegato in settori in crescita, rispetto a meno del 65% delle donne.
I settori in crescita tendono ad essere più competitivi e richiedono un impegno costante nella formazione e nell’aggiornamento delle competenze. Le donne, spesso più penalizzate dai carichi familiari, hanno meno opportunità di accedere a corsi di specializzazione e avanzamento professionale, riducendo così la loro possibilità di guadagno nel lungo periodo.
Il ruolo decisivo delle aziende
C’è però una buona notizia: alcune aziende riescono a ridurre concretamente il divario. Il report identifica le “People + Performance Winners”: organizzazioni che uniscono performance economica e valorizzazione del talento femminile. Queste imprese investono nella mobilità interna, nella formazione continua e nella creazione di ambienti inclusivi, dove le donne possono ambire ai ruoli decisionali senza dover rinunciare ad altri aspetti della propria vita. I dipendenti di queste aziende, uomini e donne, godono di migliori opportunità di crescita e di retribuzioni più equilibrate.
Il ruolo delle imprese è cruciale anche nella creazione di politiche che favoriscano l’equità salariale e la promozione delle donne in ruoli decisionali. Misure come il lavoro flessibile, il supporto alla genitorialità e l’accesso a percorsi di leadership per le donne possono fare la differenza nel ridurre il divario.
Il futuro del lavoro e il ruolo delle donne
Le scelte individuali e le dinamiche di mercato continueranno a influenzare il divario salariale, ma le aziende possono svolgere un ruolo chiave nel garantire un accesso equo alle opportunità di carriera. La sfida, nei prossimi anni, sarà quella di incentivare le donne a entrare e rimanere nei settori più dinamici, fornendo loro gli strumenti per competere ad armi pari con gli uomini.
Un aspetto fondamentale sarà la promozione di percorsi Stem per le donne sin dall’istruzione primaria e secondaria, al fine di aumentare la loro presenza nei settori tecnologici. Inoltre, politiche di mentoring e supporto alle donne nei primi anni di carriera potrebbero contribuire a mantenere il talento femminile in ruoli chiave. Solo così sarà possibile trasformare il lavoro in un terreno di pari opportunità per tutti.
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