Mamme d’Italia: chi ve lo fa fare?

Chi sono le mamme in Italia oggi? Come stanno? Cosa chiedono, come vivono? Mentre ci si allarma per il calo delle nascite e si urla all’inverno demografico, è sicuramente il momento per uscire dalle retoriche delle risposte facili, siano esse reazionarie o di rottura, e per provare a tracciare i percorsi femminili di avvicinamento o allontanamento dalla maternità. Provare a capire davvero cosa comporta la scelta della maternità per una donna, e come questa scelta si inserisca nella sua vita come uno spartiacque definitivo, a setacciarne i sogni, le prospettive, i desideri, la condizione fisica, le scelte, la sua intera identità.

Con il libro “Mamme d’Italia”, edito da Il Sole 24 Ore e disponibile in edicola dal 4 maggio e in libreria dal 10 maggio), sono Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone a tracciare le tappe di questi percorsi, con dati, riflessioni, documenti, creando una costellazione di senso da cui emerge tutta la complessità di un tema che non può essere risolto né con un bonus né con una chiamata alle armi, che sia essa per la tradizione o per l’emancipazione. Un libro denso, rigoroso, ma anche profondamente umano nella sua ricerca non solo di risposte, ma anche di domande. Perché senza le domande giuste, non troveremo mai le risposte di cui abbiamo davvero bisogno.

Un viaggio in sette tappe

Entrambe giornaliste e impegnate sui temi della parità di genere, D’Ascenzo è Diversity&Inclusion Editor de Il Sole 24 Ore, nonché fondatrice e responsabile di Alley Oop, mentre Perrone è inviata parlamentare e si occupa di politica economica e affari interni. Entrambe sono madri e con questo libro, scrivono nell’introduzione, hanno cercato di «vedere e far vedere le donne oltre le mamme. La luce oltre la siepe. Lo stare al mondo oltre al mettere al mondo».

Il percorso che hanno tracciato si snoda in sette tappe: scelta, corpo, mente, coppia, amicizia, lavoro, diritti. Sette aree di significato che contribuiscono a disegnare la complessa identità di una donna che sceglie di essere madre. Ed è proprio la scelta il primo punto che viene sviscerato: «Se da una parte può esistere un percorso personale, emotivo e razionale allo stesso tempo, che può portare a decidere di avere un figlio, in realtà, in ogni caso, in qualunque situazione e per chiunque, si tratta di una scelta totalmente imponderabile. Si può scegliere di essere madre, con cognizione di causa, solo una volta che madre già si è» scrivono.

Questo riguarda l’individualità della donna, prima di tutto, perché sappiamo tutte che diventare madri cambierà totalmente le nostre vite, ma ci rendiamo davvero conto di quanto e come solo dopo che lo siamo diventate, quando cioè la scelta è irreversibile. E quanto alto sia il prezzo da pagare, non è un valore che va messo sulla bilancia paragonandolo all’amore per i figli, perché l’amore non è e non può essere una moneta di scambio.

Il prezzo della maternità

Il prezzo che una donna paga con la scelta della maternità, non ha dunque a che fare con l’amore, ma con il ruolo culturale di cui deve rivestire i panni una volta diventata madre. «Nel nostro Paese la maternità porta con sé il pericolo di due vergogne» scrivono poco più avanti, «schiacciando le donne in una morsa di incongruenze: da un lato la vergogna legata all’infertilità, che ancora grava su quante non riescono ad avere figli e magari non fanno di tutto per averli […] dall’altro, la vergogna di fare figli. Una vergogna, quest’ultima, che viene nutrita da una riprovazione strisciante e spesso neanche silenziosa sul lavoro, perché l’assenza per maternità viene ancora percepita come un problema da risolvere».

Ma la morsa dentro cui sono strette le donne è ancora più subdola, sia quando diventano madri che quando scelgono di non diventarlo. E questo avviene su più fronti: si abbandonano le donne a loro stesse una volta diventate madri, non si interviene strutturalmente a garantirne l’indipendenza e una vita soddisfacente, si celebra il mito della maternità come un vuoto involucro e dall’altra parte poi si emancipa la donna rifiutando il mito della maternità tout court, e celebrando un paradossale «mito del rifiuto della maternità». In questo orizzonte, la scelta individuale della donna sembra non offrirle scampo, in nessun caso.

Ma quindi chi ce lo fa fare?

Nella quarta di copertina del libro, si legge che se avere un figlio è stato pensato in passato come un atto estremamente egoista, oggi è un atto di estrema generosità: «Un segno di fiducia nel mondo, nonostante tutto». In questa frase è condensata la tesi del libro, cui le autrici arrivano attraverso un’intricata rete di ragionamenti e riflessioni in cui non sono mai sole: la vasta bibliografia testimonia di tutte le compagne e i compagni di viaggio con cui si intrattiene il dialogo, un dialogo cominciato già molto tempo fa. Si passa da Simone de Beauvoir a Goliarda Sapienza, da Elsa Morante a Lea Melandri, da Carla Lonzi a Luce Irigaray a Sheila Heti, corredando il tutto con le analisi di dati, studi e paper nel delicato equilibrio tra oggettività ed esperienza, tra logica ed emotività.

Il risultato è un libro con diversi livelli di lettura, a seconda di quanto si sia disposti a scendere in profondità. Per scoprire, sorprendentemente, che il fondo è in realtà una nuova superficie da cui ricominciare a costruire: una volta demolita la narrazione romantica della maternità, una volta incontrata la bad mom senza sensi di colpa, bisogna svelare gli inganni di chi dice alle madri che non devono rinunciare a niente, perché possono avere tutto. La realtà è che sempre più spesso questa nuova mamma è «una dea Kali stremata, arrancante, funambola, nel tentativo di tenere in equilibrio precario una quotidianità fatta di cura familiare, lavoro fuori casa (quando c’è) impegni scolastici, attenzione alla salute dei genitori anziani». E se incontrando le figlie di queste madri leggiamo nei loro occhi lo sconforto e la domanda «ma chi te lo fa fare?», non possiamo dare loro torto.

Chi ve lo fa fare, mamme d’Italia? Per rispondere, e ritrovare il moto di positività e fiducia con cui si conclude il libro, bisogna prima di tutto smontare un equivoco di fondo: le culle vuote non sono un problema delle donne, scrivono le autrici, sono invece lo specchio di una società vecchia e disuguale, che «non permette la libera scelta di essere madre. Semplicemente, dietro gli annunci roboanti, ne incoraggia la rinuncia».

E in ogni caso, come ricorda il demografo Alessandro Rosina nella prefazione al libro: «I figli hanno una madre, ma anche un padre, quindi la questione del perché ci sono poche nascite va posta allo stesso modo a donne e uomini […] Le nuove generazioni non vogliono sentire il dover avere figli come un imperativo biologico o obbligo morale, ma come risposta al desiderio di vederli crescere in un contesto sicuro con prospettive di benessere e opportunità». In questa prospettiva chi mette al mondo figli oggi, in questo contesto di disuguaglianza e mancanza, sta compiendo un atto di fiducia nel futuro.

Soltanto, infine, dopo aver liberato le donne del peso sociale di questa scelta, si potrà permettere loro di scoprire e vedere cosa si nasconde davvero dietro a quell’amore materno che si vorrebbe usare come moneta di scambio. Quanta verità c’è nel luogo comune per cui quell’amore ripagherebbe di ogni rinuncia, di ogni sofferenza, di ogni sacrificio? Che cos’è davvero quell’amore? Domande aperte, una ricostruzione di senso in atto. A cui le autrici hanno già fornito alcune risposte:

«Imparare ad amare le madri è il segreto perché le figlie crescano davvero libere di scegliere. Perché la maternità non è un destino, lo abbiamo imparato. Ma è un delitto impedirne di viverne la potenza, per chi lo desidera: la sperimentazione continua dell’ambivalenza, amore assoluto e abisso assoluto. Una conoscenza rivoluzionaria, anche per gli uomini».

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Titolo: “Mamme d’Italia. Chi sono, come stanno, cosa vogliono”
Autori: Monica D’Ascenzo, Manuela Perrone
Editore: il Sole 24 Ore, 2024
Prezzo: 16,90 euro

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