Nomine pubbliche e riequilibrio di genere, parlamentari compatte: “Sì a una legge”

Riequilibrio di genere nelle nomine pubbliche, si ricomincia. Con una convergenza altissima tra tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione. Punto di partenza, il disegno di legge a prima firma Valeria Valente (Pd) recante «norme per la promozione dell’equilibrio tra i sessi nelle autorità indipendenti, negli organi delle società a controllo pubblico e delle società quotate e nei comitati di consulenza del Governo» (S 88), ripresentato in scia a quello targato Roberta Pinotti che nella passata legislatura era stato approvato dalla commissione Affari costituzionali del Senato, ed elaborato da Noi Rete Donne, l’associazione presieduta da Daniela Carlà che da anni si batte perché i principi che hanno rivoluzionato la presenza femminile ai vertici delle società quotate con la legge Golfo-Mosca 120/2011 siano fatti valere anche nel pubblico.

Il faro è l’articolo 51 della Costituzione

A testimoniare il supporto trasversale alla ripresa dell’iter del provvedimento, incardinato sempre in commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, è stato l’evento ad hoc promosso il 12 febbraio da Noi Rete Donne in Senato, nella sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, che ha visto susseguirsi gli interventi di nove donne politiche di tutti gli schieramenti. «Oggi è un’occasione straordinaria», ha esordito Carlà, sottolineando come l’importante non è condividere i percorsi ma l’obiettivo: la piena attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». «È tutto già scritto», per la presidente di Noi Rete Donne: occorre adesso che questo articolo «ispiri effettivamente i comportamenti e orienti i decisori nel momento delle scelte». Si tratta anche di una questione di opportunità. «Abbiamo operato forzature e previsto azioni positive per le imprese – ha punto la dirigente -, perché dovremmo pensare che il pubblico esonera sé stesso dalla pratica e dal perseguimento di quegli obiettivi?».

La bussola del riequilibrio di genere

Chiaro il concetto: la bussola del riequilibrio di genere deve valere anche nelle designazioni e nelle nomine pubbliche, dove la presenza femminile stenta ad affermarsi. Sono noti, infatti, i minori impatti delle norme in vigore sulle società a controllo pubblico non quotate rispetto alle quotate, sia per la sovrapposizione di più interventi normativi (da ultima la legge 162/2021, che però attende ancora l’emanazione di un regolamento attuativo) e la scarsità di controlli, sia, soprattutto, per la quasi totale assenza di donne nel ruolo di amministratore unico. Il Ddl prevede che nella scelta dei componenti delle autorità indipendenti sia assicurato il rispetto del principio dell’equilibrio tra i sessi, in una misura che, nel caso più frequente di collegi composti da cinque membri, è di due quinti. Si punta anche a sistematizzare la complessa disciplina sulla parità negli organi delle società a controllo pubblico, inserendola in una norma di rango primario: per loro si dispone che sia assicurato il rispetto del principio dell’equilibrio tra i sessi almeno nella misura di due quinti, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d’anno. Lo stesso principio dell’equilibrio, sempre nella misura di due quinti, è introdotto per i componenti dei comitati di consulenza del governo, dei commissari straordinari e delle strutture della presidenza del Consiglio dei ministri. La durata della legge è fissata in dieci anni. E, in caso di inottemperanza alla diffida a ripristinare l’equilibrio di genere entro 60 giorni, si prevede la decadenza dalla carica dell’organo collegiale costituito contra legem, in sostituzione della sanzione pecuniaria. Una penalità estesa per la prima volta anche alle autorità indipendenti e ai comitati di consulenza del Governo.

Lo sguardo delle donne nella sfera pubblica

Indipendentemente dai dettagli su cui si aprirà il confronto in Parlamento, da destra a sinistra le parlamentari concordano: le competenze e i saperi delle donne non possono restare ai margini. «Lo sguardo delle donne dentro la dimensione della sfera pubblica è prezioso per loro e per la società», ha osservato la senatrice Valente. Ricordando però che il disegno di legge «è una strada, ma certo non la sola: serve sempre un cambiamento culturale che serva a riconoscere nelle donne non un valore aggiunto, ma il diritto di abitare la dimensione pubblica al pari degli uomini». «Assicuriamo al Ddl il nostro più totale sostegno», ha garantito la senatrice di Fratelli d’Italia (il partito della premier Giorgia Meloni), Susanna Donatella Campione, che ha voluto ricordare i progressi compiuti sulla parità e contro la violenza negli ultimi quindici anni anni, dalla Golfo-Mosca alla ratifica della Convenzione di Istanbul, dal Codice Rosso al Ddl Roccella, anche grazie al sostegno trasversale della politica. Per dire che «i tempi sono maturi» e che anche chi, come Fdi, non ama le quote rosa, deve riconoscere che nel caso dei Cda delle quotate hanno funzionato.

Superato lo scetticismo sulle quote

Anche l’ex ministra Mariastella Gelmini, ora senatrice di Noi Moderati-Centro Popolare, ha confessato di aver dovuto prendere atto che la legge Golfo-Mosca «è servita e si è affermata come uno strumento per affermare merito e competenza». Non il contrario, come temevano gli scettici. «Questo Ddl è un ulteriore passo avanti, e quella di oggi un’iniziativa costruttiva». Ce n’è bisogno. La deputata di Forza Italia, Cristina Rossello, ha elogiato il valore della trasversalità salutando in sala Graziano Delrio, ex capogruppo dem oggi senatore (l’unico parlamentare uomo in sala), che si è sempre speso per la rappresentanza paritaria negli enti territoriali. La deputata leghista Laura Ravetto ha rimarcato la contrarietà del Carroccio alle quote, ma l’utilità dei meccanismi di riequilibrio quando c’è cooptazione. Le nomine pubbliche lo sono. Bene, dunque, gli obiettivi del disegno di legge, però «attenzione: le regole vanno scritte in maniera inattaccabile. E si deve partire dal monitoraggio, da una mappatura: la trasparenza già innescherebbe maggior pudore».

Il peso dei vecchi retaggi e i nuovi pericoli

Difficile definire il merito quando le nomine non rispondono ad alcun criterio preciso. Dalla senatrice M5S Alessandra Maiorino è arrivato un dubbio sull’efficacia dell’espressione “La Repubblica promuove le pari opportunità” scelta dai costituenti. «Si promuovono le buone azioni, i diritti si garantiscono», ha spiegato. E quello del riequilibrio di genere nelle nomine pubbliche è il caso di diritti che vanno assicurati, pena l’esclusione delle donne. «Non stiamo parlando di quote, stiamo parlando di norme anti-discriminatorie», ha evidenziato l’ex ministra Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva. «Il divario nella presenza delle donne ai vertici delle società pubbliche non è legato a differenze di competenze o di intelligenza, ma a retaggi culturali vecchi di secoli». Boschi ha applaudito alla convergenza, ma ha detto chiaro e tondo che avere la prima donna presidente del Consiglio «non basta per archiviare il tema della parità di genere» e ha voluto mettere in guardia da ciò che sta accadendo nel mondo per colpa di «certa destra», citando Milei e Trump: «Non possiamo abbassare la guardia. E bisognerebbe dare più segnali, anche a norme invariate. Abbiamo proposto invano di intrrodurre il principio di parità per il Csm, approfittando della riforma sulla separazione delle carriere. Ora si devono eleggere quattro giudici della Corte costituzionale: vogliamo metterci alla prova?».

Il caso dell’Autorità garante dei diritti delle persone con disabilità: tutti uomini

«Parliamo del pieno compimento della democrazia», ha scandito un’altra ex ministra, la presidente di Azione Elena Bonetti. «Per realizzarlo bisogna rompere l’inerzia della storia, massimizzando la presenza delle donne. Soltanto per loro ci si interroga sulle competenze, evocando la meritocrazia. Ma i criteri in base ai quali viene definita possono non essere affatto meritocratici». Alla Camera Bonetti ha depositato un’altra proposta di legge (C 1087) che interviene in materia di riequilibrio di genere nei procedimenti di nomina. Gli esempi di scelte che vanno in direzione contraria sono tanti. Il più eclatante, richiamato da Carlà, è quello dell’Authority per i diritti delle persone con disabilità, operativa da inizio anno: tre componenti, tre uomini. «Un’assurdità, se si pensa che sono le donne, più degli uomini, a occuparsi della cura», ha detto Paola Binetti (ex senatrice, rimasta nell’Udc). La sola a evocare il tema centrale della formazione alla leadership femminile, come una «pedagogia», necessaria perché ciascuna possa imparare che «il suo sapere merita di trovare spazio e di essere ascoltato, proprio perché è diverso». Lo sanno le donne che combattono per abbattere soffitti di cristallo e muri di gomma. Come quelle intervenute dalla platea: Tiziana Cignarelli, segretaria generale Flepar, Tiziana Catarci, ordinaria alla facoltà di ingegneria, informatica e statistica della Sapienza Università di Roma e instancabile promotrice delle discipline Stem tra bambine e ragazze, Francesca Feo, ricercatrice all’Università di Bergen in Norvegia e, soprattutto, Gabriella Luccioli, la prima magistrata a essere nominata presidente di sezione presso la Corte di Cassazione. Era il 2008, appena 17 anni fa.

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