Donne nella scienza: parola a 12 italiane che sanno il fatto loro

Non sarai mai brava quanto un uomo“: sentirselo dire, oppure pensarlo senza esserselo mai sentito dire così esplicitamente. A quante è capitato? Un giudizio interiorizzato, tanto più diffuso quanto più ci si addentra in ruoli che per cultura o tradizione sono ritenuti maschili. I ruoli di comando, certo. Ma nelle discipline scientifiche gli stereotipi di questo tipo sono diffusi a qualunque livello, tanto che più di 2 donne su 3 confermano di aver avuto a che fare con il pregiudizio di cui sopra.

Il dato è stato raccolto dalla ricerca condotta da Babbel, piattaforma digitale per
l’apprendimento delle lingue, assieme SheTech e Fosforo, associazioni impegnate a diffondere la cultura tecnologica e a rendere il mondo del lavoro più inclusivo negli ambiti STEM. Il report, costruito su un campione non casuale di lavoratrici operanti in ambito STEM per un totale di 625 osservazioni, ha contribuito a far emergere alcuni degli stereotipi più diffusi con cui si scontrano le professioniste del settore.

Quali sono i pregiudizi?

Le donne lavoratrici in ambito STEM sono tutte ‘nerd’” è un pregiudizio riscontrato dal 63,7% delle rispondenti; l’utilizzo indiscriminato dell’appellativo “Signora/Signorina”, a prescindere dal titolo di studio, è segnalato dal 71,5% delle intervistate; il luogo comune secondo cui le donne avrebbero bisogno di una migliore work-life balance rispetto agli uomini, è raccontato dal 73,9% delle rispondenti; considerare l’irrazionalità e l’emotività tipicamente femminili e in netto contrasto con la razionalità e il pensiero analitico necessari per lavorare nelle STEM, è il pregiudizio raccontato dal 63,4% delle intervistate. Tutto ciò fa sì che le donne non siano mai considerate sullo stesso piano in termini di bravura ed efficienza, rispetto agli uomini, tanto che è frequente la convinzione secondo cui “una donna nelle discipline STEM non sarà mai brava quanto un uomo”: segnala di averla incontrata il 69,4% delle intervistate.

Questi pregiudizi sono alla base di quegli ostacoli che si incontrano già a scuola, dove la predisposizione alle materie scientifiche da parte delle bambine tende a essere sottovalutata. Il risultato è che ancora oggi la percentuale di ragazze che si iscrivono a facoltà tecnico-scientifiche è notevolmente inferiore a quella dei ragazzi: secondo un rapporto Istat del 2021,16 donne su 100 scelgono una disciplina STEM, contro il 35% dei colleghi uomini.

Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza

Ecco perché abbiamo bisogno di istituire e celebrare una Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, che ogni 11 febbraio punta i riflettori su una questione che più che mai andrebbe normalizzata e liberata dalla sottile coltre di eccezionalità che la pervade. Le donne e le ragazze nella scienza, infatti, ci sono da sempre, non è un fatto strano, particolare, da proteggere come un panda in via di estinzione. Sarebbe sufficiente, qui come in ogni campo, smettere di pensare che le donne per biologia o altre fantasiose ragioni non provino interesse per le discipline scientifiche, o che non siano in grado di sviluppare competenze e capacità pari a quelle di un uomo, (ammesso che l’uomo debba essere un metro di giudizio o paragone). Perché più di tutto, ciò che ha ostacolato storicamente le donne, è il pregiudizio, che è un fatto culturale e non biologico.

Per abbattere le barriere culturali dobbiamo agire proprio con il linguaggio e le storie. Raccontare, fare i nomi, mostrare i volti, e soprattutto: lasciare la parola. Lasciare lo spazio alle donne e alle ragazze che nella scienza, nella tecnologia, nella ricerca, ci lavorano ogni giorno e ne fanno la loro quotidianità. Eccone alcune, per cominciare, con cui vogliamo celebrare questa giornata per ricordare che la presenza delle donne nelle discipline tecnico-scientifiche non è una battaglia da compiere, ma un cammino che percorriamo insieme da sempre, con i soliti ostacoli, barriere e soffitti di cristallo.

Le italiane nella scienza

Serena Arnaboldi, chimica, ricercatrice Università Statale di Milano, Starting Grant ERC 2022
Sin dall’infanzia posso affermare che ho sempre nutrito una predilezione per le materie scientifiche. Ritengo di essere una persona determinata, cosa che nel corso della mia vita ha avuto molta parte nei traguardi raggiunti nell’ambito professionale. Molto spesso accade che, fintantoché gli esperimenti che conduco in laboratorio non danno i risultati sperati, rimango concentrata scordandomi del tempo che passa. Ho avuto la fortuna di poter scegliere e seguire liberamente le mie passioni e inclinazioni, anche se questo ha significato attraversare e superare diverse ostilità, anche dovute al mio genere, con le quali ancora oggi mi scontro costantemente. Ciò che prediligo, in particolare, del mio lavoro è che approdare alla ricerca, è un po’ come salpare su di una nave e spiegare liberamente le vele al vento: si conosce bene il luogo di partenza, raramente quello di destinazione. A proposito di viaggi, grazie a un proficuo periodo di ricerca condotto all’estero, mi sono appassionata a nuove tecniche di indagine sviluppando un’idea che mi ha portato a vincere un progetto europeo. Durante questo mio percorso di crescita personale e professionale ho avuto l’onore e la fortuna di poter contare sul supporto di donne che per me sono state modelli, simboli d’emancipazione, coraggio e intraprendenza, grazie alle quali ho compreso che il nostro ruolo è in evoluzione e facciamo tutte parte del cambiamento.”

Chiara Brughera, managing director di SheTech
Esiste una forma di sessismo sottile, il micromachismo, ovvero manifestazioni subdole e quasi impercettibili di maschilismo e misoginia. Un esempio molto lampante, emerso anche nella nostra ricerca, è utilizzare l’appellativo “Signora/Signorina” nei confronti di una donna a prescindere dal titolo di studio e dai risultati raggiunti mentre il titolo di Dottore/Ingegnere spetta di default al collega uomo. Questi micromachismi caratterizzano il mondo STEM e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico all’interno delle discipline STEM, favorendo così un avanzamento di questi ambiti. Penso che per ridurre le differenze di genere dovremmo iniziare a concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici, che possono essere riassunti in 2 parole estremamente importanti: supporto e condivisione.”

Lorella Carimali, docente di matematica e fisica, tra i dieci migliori insegnanti Italian Teacher Prize (2017), tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize (2018)
Da bambina avevo un sogno molto generico: migliorare il mondo. Sono cresciuta in una casa di ringhiera e avevo ogni giorno a che fare con bambini e bambine che provenivano da famiglie di diverso tipo, alcune con difficoltà economiche anche importanti. Il mio desiderio era vederli stare bene, vedere per tutti le stesse possibilità, in questo senso sognavo un mondo migliore. Negli anni poi ho sviluppato una passione per la matematica, e scegliendo l’Università ho incontrato l’informatica e la prospettiva di una stabilità economica. Però poi ho deciso di fare l’insegnante. La scelta più impopolare tra i 36 del mio corso di laurea, che vedevano aprirsi le porte di un futuro florido grazie alla programmazione informatica. Persino i miei genitori non capivano perché stessi andando verso una professione così scarsamente remunerativa, rispetto alle possibilità che avevo. Dico sempre che ho scelto la ricchezza dei rapporti umani. La scienza poi mi ha insegnato che le conquiste sono sempre collettive e che dobbiamo sempre cercare, essere coraggiosi e coraggiose, la matematica in particolare è un’importante strumento di libertà che ci può mostrare come diventare cittadini liberi e responsabili. Questo voglio insegnare quando sono in classe. Perciò dico che la matematica è la mia passione, e la scuola è il mio amore.”

Tiziana Catarci, Direttrice – Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale “A.Ruberti” Università La Sapienza – Roma
Viviamo una nuova età del mondo, l’età del digitale. Analogamente a quella che fu la rivoluzione industriale, ora sta sempre più esplodendo la rivoluzione digitale, che è ovviamente inarrestabile e creerà un mondo nuovo, esattamente come successe tra il 1750 e il 1840. Chi ha le competenze scientifiche e tecnologiche opportune può essere artefice di questo cambiamento, oltre a disporre di un ventaglio amplissimo di offerte lavorative tra cui scegliere, aspetto da non trascurare. Un significativo problema però è che il mondo nuovo lo stanno creando in stragrande maggioranza gli uomini (uomini bianchi in particolare), perdendo così il valore della diversità e la possibilità di costruire una società più equa, nonché amplificando un pensiero abbastanza omologato. Solo una sparuta minoranza di donne è protagonista del cambiamento. Se questa disparità continuerà, il mondo intero perderà una occasione unica e le donne rinunceranno anche a un formidabile strumento di empowerment. La scienza insegna a inseguire razionalmente i propri sogni, ma anche a non arrendersi, imparare dagli insuccessi, a non farsi condizionare dai pregiudizi o scoraggiare dalle strade strette e in salita, insegna a contaminare i saperi, coniugare creatività, curiosità e rigore scientifico, immaginare soluzioni nuove a problemi vecchi e nuovi, ma anche scoprire soluzioni a problemi fino a quel momento sconosciuti, applicare la logica e il pensiero computazionale – che non è meno creativo del pensiero artistico.”

Mariangela Cestelli Guidi, coordinatrice comitato Nazionale Trasferimento Tecnologico, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
“Faccio questo lavoro per una combinazione di fortuna e tenacia. Provengo da studi classici, studiare fisica è stato per me il giusto compromesso tra la curiosità di conoscere come funziona il mondo e la passione per la tecnologia. La scelta non è stata facile, il primo anno di università è stato in salita e non ho ceduto alla tentazione di cambiare facoltà solo per un misto di orgoglio e tenacia. Poi è diventato tutto più semplice. Le scelte successive sono state guidate dall’apertura verso il cambiamento, sia geografico che scientifico. Oggi mi occupo di trasferimento tecnologico, cioè studio come creare un impatto sulla società grazie alle tecnologie sviluppate nell’ambito della ricerca fondamentale. Di certo da bambina non immaginavo nulla di tutto ciò! Se le mie figlie non avessero le idee chiare o una passione ben definita nel momento della scelta universitaria le spingerei certamente a intraprendere studi scientifici. Le facoltà scientifiche possono dare a tutti maggiori opportunità in termini di occupazione. I numeri parlano: non si trova personale specializzato, mancano le competenze tecniche, a livello industriale le industrie high tech non sono certo in Italia, stiamo progressivamente perdendo competitività. Mi piacerebbe trasmettere a chi vuole intraprendere questo percorso che troverà quasi certamente un ambiente di lavoro stimolante, fatto di persone curiose che si divertono nella loro professione. Le collaborazioni scientifiche sono prima di tutto collaborazioni tra individui, oltre che tra istituzioni.”

Ilaria Cinelli, ingegnera biomedica, membro esperto della Aerospace Medical Association e comandante senior di missioni di simulazione marziane
“C’è una fitta rete di dinamiche interne in molte istituzioni che non rendono la vita facile a nessuno, tantomeno alle donne che spesso sono viste per quello che rappresentano e non per quello che valgono. I cambiamenti culturali avvengono in tempi più lunghi rispetto a quelli della comunicazione mediatica e non mi stupirei di sapere che alcune donne resistono a questo cambiamento solo per subire meno competizione. In compenso il mio lavoro mi ha insegnato che ce la possiamo fare anche se nessuno viene a offrirci un’opportunità, ho capito che potevo crearmela da sola. Adesso sto insegnando ai miei mentees come fare la stessa cosa, perché spero di lavorare un giorno con persone che pensano di valere molto più del loro titolo di lavoro. È così che ho superato i miei limiti, raggiungendo uno dei traguardi più importanti, a oggi, della mia carriera: quando ho partecipato alla missione per simulare la vita su Marte, ho provato una gioia immensa e un appagamento intellettuale enorme. Marte è l’obiettivo della mia vita. La presenza umana su Marte si può tradurre nella prossima evoluzione tecnologica sulla Terra dove l’umanità vivrà in piena consapevolezza della sua fragilità.”

Elisabetta Citterio, Biologa molecolare e fotografa, autrice della mostra itinerante STEMpassion 
“Dopo la laurea in biologia, entrare nella ricerca mi è sembrato il percorso più naturale per soddisfare la mia curiosità di conoscenza. Durante il mio percorso ho imparato a non dare nulla per scontato, perché la scienza è in continua evoluzione. Nella ricerca, ogni giorno si presentano nuove sfide che stimolano la curiosità, il pensiero creativo e la passione, suscitando il desiderio di allargare i confini della conoscenza per cambiare il mondo e costruire un futuro migliore. In questo consiste per me la bellezza di fare scienza. Ho imparato anche quanto è importante far sentire la propria voce, non smettere mai di imparare, essere consapevoli del proprio valore e del contributo che ognuno di noi può portare al progresso, muoversi verso la condivisione delle conoscenze e il fare rete. La scienza è uno sforzo collaborativo, e ormai abbiamo anche imparato l’importanza della A di Arts nell’acronimo STEAM. La contaminazione tra discipline scientifiche e umanistiche è fondamentale per riuscire a comprendere il mondo in cui viviamo e portare a nuove idee e innovazione.”

Camilla Coletti, ingegnera elettronica, ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia dove dirige dal 2016 il gruppo di ricerca 2D Materials Engineering, coordinatrice del Center for Nanotechnology Innovation
“A Settembre del 2022 sono stata invitata come oratrice principale a presentare il lavoro degli ultimi dieci anni in plenaria, nella conferenza più importante del mio settore, in una fascia oraria che era stata riservata nei giorni precedenti a due premi Nobel. Ero molto emozionata e scesa dal palco ho trovato ad accogliermi Klaus von Klitzing, Nobel per la Fisica del 1985, colui che è stato una fonte di ispirazione per me quando lavoravo nell’istituto che dirigeva a Stoccarda, dal 2008 al 2011. Abbiamo passato le ore successive a ricordare il passato, a discutere di cosa vuol dire essere uno scienziato oggi, a parlare delle nuove frontiere della ricerca. Se penso a come nei primi anni della mia carriera mi sono spesso sottovalutata, sentita uno scalino sotto. Credo che sia un problema comune a noi donne, unitamente alla cosiddetta sindrome dell’impostore, che ti porta a pensare di non meritare quanto ottenuto. Ecco in quel momento, mi sono guardata da fuori per un secondo, con gli occhi di me bambina, e mi sono sentita davvero felice.”

Donata Columbro, giornalista, data humanizer, divulgatrice
“La questione delle “donne nelle Stem” è la stessa questione delle donne ai vertici delle aziende. Non mi risulta ci siano giornate per “le donne direttrici di giornale” o “donne reporter di guerra”, ma le conclusioni sarebbero le stesse. Quali sono le cause strutturali che fanno uscire le donne dalla carriera universitaria o che vedono un divario percentuale di 10 punti nell’ottenere un posto di lavoro rispetto ai colleghi uomini? Parliamone. Quando da ragazzina leggevo i reportage di Ryszard Kapuściński o di Oriana Fallaci, mi dicevo che non sarei mai potuta diventare come loro, pensando sì alla bravura, ma anche al fatto che non capivo come avrei potuto conciliare l’avere una famiglia con il viaggiare moltissimo. Forse se avessi letto la maternità raccontata da Francesca Mannocchi in “Bianco è il colore del danno”, lei che reporter di guerra lo è diventata, sarebbe stato diverso sognare, chi lo sa. La questione “donne nelle Stem” esiste perché esiste la questione “donne che scelgono carriere che permettono loro di occuparsi della famiglia senza andare in burnout subito (ci vanno comunque, ma dopo)” e perché più un ambiente resta esclusivo di una nicchia, quella maschile in questo caso, più il luogo di lavoro rimane ostile a chi non ne fa parte. Chiedetelo a chi ha deciso di provarci comunque.”

Edwige Pezzulli, Assegnista presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e divulgatrice scientifica
“Da bambina non avevo idea di cosa avrei fatto da grande. Durante le scuole superiori mi innamorai della filosofia, ma quando fu il momento di scegliere l’Università, pensai che diventare astrofisica sarebbe stato il modo migliore per comprendere la natura, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare allo studio degli oggetti più estremi del nostro Universo, i buchi neri. Nel frattempo, sentivo il desiderio di raccontare agli altri ciò che stavo imparando, e visto che ogni sapere dovrebbe essere una ricchezza di tutta l’umanità, ho iniziato ad appassionarmi sempre di più alla comunicazione della scienza. C’è una frase di Marie Curie che mi ha sempre accompagnata: “Nella vita non c’è nulla da temere, ma solo da capire. Ora è arrivato il momento di capire di più, per poter temere di meno”. Buona parte della tranquillità che sento, rispetto ai miei limiti, alle mie capacità e ai fatti della vita in generale, credo venga proprio dalla mia formazione scientifica. A prescindere dal lavoro che si sceglie, guardare il cielo permette di allungare lo sguardo all’infinito, ridimensionare sé stessi e le proprie convinzioni, entrando in possesso di una ricchezza che, una volta guadagnata, nessuno potrà più sottrarci.”

Velia Siciliano, biotecnologa, ricercatrice presso l’Istituto Italiano di Tecnologia IIT, Starting Grant ERC 2022
“La lezione più importante che ho imparato nel mio percorso nella scienza ha a che fare con la pazienza e la resilienza. La strada della scienza è talmente accidentata, che ci troviamo spesso a dubitare delle nostre capacità nel poter condurre un progetto, o anche nel formulare un’ipotesi scientifica robusta. La capacità di creare piani alternativi, essere caparbi nonostante risultati negativi, ha fatto la differenza, per me negli anni, e in questo forse essere donna aiuta molto, soprattutto perché siamo acutamente multitasking! Oggi rivedo gli stessi dubbi nei ragazzi e nelle ragazze del mio lab. Ne sorrido e li rassicuro. Credo che condividere la propria esperienza sia importantissimo, perché rende comprensibile a tutti che essere un buon ricercatore (o provare a esserlo) non è una questione di QI, piuttosto di curiosità, buona pianificazione e tanta tanta resilienza.”

Arianna Traviglia, archeologa, direttrice del Centre for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT
“Credo che le tecnologie possano aiutarci a salvare il patrimonio culturale e a capirlo più di quanto possa fare un approccio tradizionale. Prima facevo principalmente l’archeologa, ma quando si è materializzata la possibilità del mio attuale percorso ho avuto l’impulso di sceglierlo perché ho capito che mi avrebbe permesso di andare oltre il semplice studio del patrimonio culturale, bensì di proteggerlo. Da bambina sognavo di fare l’archeologa, ma mi affascinavano anche i robot. Non avrei mai immaginato di riuscire a coniugare queste due passioni. La lezione più importante che ho appreso è dunque quella dell’interdisciplinarietà. Ho visto che le cose migliori che riusciamo a pensare e realizzare sorgono sempre da incontri con competenze estremamente diverse dalle nostre. Persone con background diversi, insieme riescono a pensare, creare, realizzare progetti che difficilmente si vedono nel mondo della scienza, che normalmente è piuttosto settoriale.”

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