Sono oltre un quarto, in Europa, i giovani che studiano e lavorano. Lo indicano i dati Eurostat pubblicati a fine novembre che ha calcolato quanti ragazzi tra i 15 e i 29 anni oltre a essere iscritti a un percorso di formazione superiore, hanno anche un impiego. Per quanto la maggior parte di loro (il 71,4%) sia ancora fuori dal mercato del lavoro – anche data l’età -, sono inoltre quasi il 3% di quelli ancora impegnati sui libri, a cercare attivamente un’occupazione.
Sul totale, per dare una percentuale precisa, secondo il quadro relativo al 2023 nei Paesi UE sono il 25,7% del totale i ragazzi e le ragazze che fanno parte di questa fascia di età. Una media questa, derivante da estremi opposti, che traccia situazioni anche molto distanti tra loro.
Il primato dei Paesi Bassi
Scendendo nel dettaglio dei diversi Stati infatti, si va dal record più alto di studenti con un’occupazione registrato nei Paesi Bassi. Ai minimi della Romania.
Nella terra dei tulipani, dominatrice inoltre della lista contraria, cioè per numero minimo di minori di 25 anni senza un lavoro (8,6%*), sono il 74,5% i giovani occupati che stanno anche frequentando un corso di formazione o un programma universitario. A seguire in seconda e terza posizione, seppure con un certo distacco percentuale, Danimarca (52,6%) e Austria (46,2%). All’estremo opposto, dicevamo, la Romania. Ultimo tra gli stati membri, qui sono il 2,3% i giovani studenti-lavoratori. Nella lista dei 27, la nazione è preceduta da Slovacchia (5,8%) e Ungheria (6,1%).
Con una delle percentuali tra le più basse, anche l’Italia si trova nella coda a questo elenco. Nel bel Paese, infatti, meno di un giovane su 10, il 7,6% del totale per l’esattezza. Numeri che collocano Roma sotto la media europea e abissalmente lontana dalle prime posizioni e dal record massimi olandesi. I numeri dicono fino a un certo punto lo stato di salute del mondo del lavoro giovanile e chiariscono solo in parte quanto sia, o meno, agevole il passaggio dai libri a un qualche tipo di lavoro. Sono infatti molto diverse sia le condizioni interne a ogni Paese che le strutture scolastiche, i piani di istruzione e, tra le altre cose, anche le sinergie tra imprese e scuola.
Ma è interessante notare come le pratiche e la cultura porti ai numeri dei “primi in classifica”. È molto evidente, tra le altre cose, quella che potrebbe essere riconosciuta come alternanza scuola-lavoro alle superiori, rappresenti quasi una costante per gli studenti in Olanda o in Danimarca. Facilitando in qualche modo quindi il passaggio oltre gli anni passati sui libri.
Nei Paesi Bassi, per esempio, avere un lavoretto (“bijbaantje”) retribuito durante gli studi è una specie di prassi, ingranata nella cultura. Oltre a essere, tra l’altro, regolato in termini di numero di ore e di tipologia di attività che si possono svolgere in base all’età. Che si tratti di servire ai tavoli di un bar, supportare il personale nelle case di cura, o riempire gli scaffali di un supermercato, non si tratta di impieghi svolti, magari temporaneamente, solo da chi sta completando una formazione professionale. Ma in generale anche da coloro che frequentano studi liceali, per esempio, o corsi (para)universitari.
Tante differenze. E qualche costante
Nella grande varietà di casi e tra le tante differenze registrate nel quadro europeo recente, alcune caratteristiche tornano però un po’ ovunque. Secondo i numeri, per esempio, sono meno gli uomini delle donne a partecipare a un percorso di istruzione formale, in tutte le fasce di età considerate. Contemporaneamente (e conseguentemente) gli uomini mostrano invece più alte quote di partecipazione al marcato del lavoro.
Tra quanti studiano, sono più le studentesse ad avere un’occupazione rispetto agli studenti, specialmente nella fascia tra i 20 e i 24 anni. I dati dicono che in questa categoria le ragazze sorpassano i ragazzi di 5,8 punti percentuali. Allo stesso tempo però, il numero delle giovani resta superiore – quando si guarda però a chi non ha un lavoro e non studia.
La situazione resta invertita ancora a favore degli uomini, poi, venendo alla partecipazione all’occupazione (in particolare tra i 25 e i 29 anni). Sono il 72,1% i giovani che non studiano (più) ma hanno un lavoro. Il 61% le giovani donne. Che stiano studiando o meno, in generale comunque la quantità di ragazze fuori dal mondo del lavoro supera “significativamente” – scrive Eurostat – quella dei ragazzi.
Insomma, in Europa, se impegnate in un percorso di istruzione formale, le studentesse che hanno o meno anche un’occupazione sono di più degli studenti e (studenti-)lavoratori in qualsiasi settore e a qualsiasi età. Ma considerando la partecipazione al mondo del lavoro, quindi includendo sia chi non ha un lavoro ma lo sta cercando che chi invece è disoccupato e nemmeno sta cercando una posizione, il numero delle donne sale. In alcuni casi anche molto.
Not in education, employment or training
Nell’illustrare la situazione dei 15-30enni europei, non si può evitare di soffermarsi anche sui neet. A fine estate l’OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro) aveva confermato un calo della disoccupazione giovanile mondiale nel 2023, tale da far registrare il record inferiore in 15 anni. Ma allo stesso tempo, l’organizzazione segnalava anche la situazione critica di quanti non erano impegnati in un percorso di formazione, non avevano un lavoro né lo stavano cercando. Per quanto con grandi differenze sia tra le aree del mondo che tra Paesi a basso o alto reddito, il fenomeno resta diffuso ovunque. E caratterizzato spesso dal persistere di un’importante sproporzione di genere. Due su tre neet, infatti, sono donne.
Il quadro generale registrato in Europa, conferma questa realtà. E, anche sotto questa luce, con differenze interne enormi. Si va infatti dal numero minimo registrato, ancora una volta, nei Paesi Bassi, alla percentuale massima, di quattro volte più alta, della Romania.
Mettendo sotto la lente d’ingrandimento i neet, è interessante notare come alcuni risultati simili si riscontrino tra nazioni dalle caratteristiche economiche e culturali anche molto divergenti. Guardando al dettaglio sul numero di giovani che non studiano nè lavorano o cercano un impiego, per esempio, insieme ai Paesi Bassi, la Svezia, Malta, la Slovenia, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Danimarca, la Germania e il Portogallo sono già oggi sotto il target del 9% posto per il 2030.
All’opposto, restano indietro, restando ben sopra la media europea del 11,2%, nove stati. Tra questi, alcuni registrano tassi massimi superiori al 16%. Oltre alla Romania, le quote peggiori sono quelle di Italia e Grecia. Quest’ultima però registra un interessante primato. Nell’Unione infatti si distingue per aver ottenuto negli ultimi 10 anni il calo più consistente. Se dal 2013, infatti, mediamente nel continente la percentuale è scesa di quasi il 5%, i neet in Grecia sono invece diminuiti di 12,5 punti percentuali.
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* Dati Statista, relativi a luglio 2024.
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