I giovani chiedono di avere una voce. E molto di più. Chiedono di poter agire. È il messaggio che arriva forte da 20e30, organizzazione e centro studi per le future generazioni nata con l’obiettivo di portare all’attenzione dei decisori pubblici il punto di vista dei giovani sulle politiche che li riguardano in prima persona e colmare il gap di rappresentanza giovanile all’interno delle istituzioni.
Il Paese che rifiuta il futuro
In entrambi i casi, il punto di partenza e di arrivo non è solo quello dei giovani, ma il Paese intero. Un Paese in cui un under 35 su quattro non studia e non lavora: i NEET sono infatti oltre 3 milioni di persone tra i 18 e i 35 anni, portando così l’Italia all’ultimo posto in Europa (al primo, la Svezia). «Ma non c’è futuro per un Paese che non pensa a chi questo futuro dovrà viverlo» – si legge nel rapporto.
Così, per misurare le difficoltà reali che i giovani si trovano ad affrontare, 20e30 ricorre all’Indice di Divario Generazionale (GDI – Generational Divide Index). Uno strumento in grado di calcolare l’intensità degli ostacoli che si frappongono alla progressione dei giovani per raggiungere una vita autonoma nella società civile.
Se nel 2006, ovvero prima della crisi economica, si immaginava un ostacolo alto 1 metro, nel 2020, in piena pandemia, il muro si è alzato, arrivando a 1 metro e 42 centimetri. «Un Paese che non cerca di abbattere questo muro – denuncia 20e30 nel rapporto – è un Paese che “degiovanisce” e perde di competitività».
Il loro primo rapporto, presentato alla Camera dei Deputati venerdì 7 luglio e firmato da Giulia Sonzogno, PhD Gran Sasso Science Institute, Mattia Angeleri, avvocato, Daniele Petecca e Luca Magazzino, ASP Roma Luiss, Ilaria Scarpetta, WWF Italia, Tonia Benincasa, GeCo Generazione Competente, Clara Morelli, Alessandro Fusari e Giulio Frey, Think-tank Tortuga, Fabiola Palumbo, Youth Worker ed Edoardo Vezzoli, Istituto Bruno Leoni, è una finestra spalancata sulle occasioni perse e le opportunità ricercate.
L’associazione va quindi nel dettaglio e analizza quattro aree: istruzione e capitale umano; lavoro e politiche sociali; ambiente, energia e transizione digitale; diritti civili e sociali e welfare e fisco. Il risultato è il ritratto di un sistema-Paese che presta poca attenzione alle future generazioni, non riuscendo a operare in maniera organica e a incidere sulle cause profonde di problemi.
Istruzione: recuperare terreno
Guardando all’istruzione, in Italia si registra un tasso di laureati fra i 25 e i 34 anni bassissimo: la nostra è la penultima nazione tra i paesi dell’Unione Europea per quota di ‘giovani laureati’. La media italiana è del 28,3%, rispetto alla media UE del 41,2%. Del resto, anche formarsi è un’opportunità per pochi, perché le risorse economiche sono un fattore determinante per potersi pagare gli studi.
20e30 propone, quindi, di seguire da un lato quegli esempi europei dove il costo dell’Università è completamente gratuito o estremamente irrisorio, non gravando sugli studenti e sulle loro famiglie, e dall’altro di migliorare l’accesso al cosiddetto prestito d’onore.
Il tutto, potenziando l’orientamento per provare a ridurre il più possibile il gap tra istruzione e lavoro e per accompagnare, al contempo, anche da un punto di vista psicosociale e psicopedagogico le persone a maggiore rischio di esclusione e marginalità.
Lavoro, tra salario minimo e innovazione
Sul fronte del lavoro la situazione è, se possibile, ancora peggiore: salari bassi (l’Italia è l’unico Paese dell’area OCSE in cui, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito, -2,9%, mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%), peggioramento della qualità dell’occupazione e fuga di cervelli interessano soprattutto le fasce più giovani della popolazione. Inoltre, l’Italia è il terzo paese dell’Unione Europea con la percentuale più alta di disoccupati tra i 15 e i 29 anni: nel 2021, circa il 23% rispetto alla media UE del 13%, Eurostat.
Nonostante tutto, il 46,7% degli occupati e delle occupate se potesse lascerebbe l’attuale lavoro, con un picco di 50,4% tra i giovani. «Vivere in Italia – denuncia il rapporto – non è più sostenibile da un punto di vista economico, soprattutto per gli under 30. Il nostro paese è l’unico in Europa in cui i lavoratori giovani sono pagati meno della media nazionale».
Le retribuzioni degli under 35 sono mediamente basse nonostante l’alto livello di istruzione: il 43% percepisce una retribuzione netta mensile inferiore a 1.000 euro, il 33% guadagna un salario tra i 1.000 e i 1.500 euro e solamente il 24% supera i 1.500 euro netti, pur rimanendo sotto la soglia dei 2.000 euro.
Il confronto con gli altri paesi con un costo di vita simile a quello italiano è impietoso: se in Italia tra i 18 e i 24 anni si guadagna in media 15.858 euro, in Germania guadagnano circa 23.858 euro, 19.482 in Francia, 23.778 nei Paesi Bassi e 25.617 in Belgio e solo la Spagna ha un reddito medio inferiore al nostro (14.085 euro).
20e30 chiede quindi un passo avanti in termini di quantità e qualità del lavoro, con l’introduzione del salario minimo, la lotta alla contrattazione pirata, un miglioramento in termini di welfare aziendale e la diffusione della settimana lavorativa a quattro giorni.
Inclusione abitativa, abbattere gli ostacoli
Tra precariato e salari bassi, per altro, ogni tipo di progetto per il futuro sembra irrealizzabile. A partire dall’acquisto (o dall’affitto) di un’abitazione, primo passo verso l’autonomia. In un’indagine del 2020 tra i paesi OCSE, il 53% dei giovani tra i 18 e i 29 anni dichiarava di essere preoccupato di non riuscire a mantenere o trovare una casa nei successivi due anni. La percentuale sale al 61% quando si estende l’orizzonte ai successivi dieci.
Da un lato, gli affitti tra il 2015 e il 2023, sono aumentati del 28,3% e al contempo è diminuita l’opportunità di acquistare una casa. Il report OCSE “No Home for The Young? Stylised Facts and Policy Challenges” (2020) evidenzia come la percentuale di giovani che hanno un’abitazione di proprietà in Italia sia del 40% inferiore rispetto agli over 65 e del 30% per la fascia 35 – 64. Urgono quindi politiche abitative e di welfare che supportino i giovani a una diffusa autonomia.
Eco-ansia, il male dei giovani
L’analisi prosegue con un focus sull’eco-ansia, fenomeno in larga parte diffuso tra gli under 35. La nascita di una sensibilità ecologista nelle nuove generazioni richiede soluzioni efficaci con, si legge nel report, riforme strutturali, condivise a livello internazionale, e investimenti diretti sulle fonti di energia rinnovabili.
Non solo: i giovani vogliono un mondo più green ma che alla sostenibilità ambientale sappia unire una nuova visione della società, più inclusiva e paritaria. Tutto questo, scrivono nel report, avrebbe impatti positivi in termini di benessere e salute mentale delle persone oggi più discriminate (in primis LGBTQ+), ma avrebbe anche un forte impatto sull’economia.
«Volgere lo sguardo ai giovani significa investire anche sull’aumento della competitività del Paese. La nostra analisi mostra che l’Italia è pronta, ma serve fare di più e serve un impegno bipartisan, o non ci sarà futuro. L’impegno non può passare solo attraverso l’ascolto delle istanze ma deve prevedere un’adeguata presenza dei giovani all’interno delle istituzioni da cui oggi sono sotto rappresentati» – afferma Lorenzo Pavanello, Presidente di 20e30.
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