Il doppio delle donne nel tech vale fino a 600 miliardi di PIL Ue in più

Se l’Europa riuscisse a raddoppiare la quota di professioniste donne in ambito tech, portandola a circa il 45% entro il 2027, ovvero circa 3,9 milioni di donne in più, potrebbe beneficiare di un aumento del PIL fino a 600 miliardi di euro. Ad affermarlo è McKinsey&Company , che con il report “Women in tech: The best bet to solve Europe’s talent shortage” ha realizzato un’analisi sulla carenza di talenti nel settore tech in Europa, con un focus particolare sulla carenza di donne.

Molto è stato già scritto sulla dominazione maschile del mondo tecnologico. La maggior parte delle aziende tecnologiche sono gestite da uomini, le role model sono ancora poche e la narrazione è spesso legata all’eccezionalità del caso.(Nel 2018, il 25% di coloro che occupavano posizioni dirigenziali nel settore delle ITC dell’UE erano donne, solo il 17% degli amministratori delegati erano donne, dati EIGE.

Il report di McKinsey aggiunge nuovi dati al dibattito: solo il 38% dei laureati in materie STEM sono donne; il 22% delle persone con un ruolo tech sono donne; nelle posizioni più ricercate, ad esempio DevOps e Cloud, la quota di donne è pari all’8%. La domanda dunque è: perché in Europa si fatica a trovare talenti femminili per professioni legate alla tecnologia?

Un problema da affrontare

Il percorso di formazione in Europa, dalla scuola primaria fino all’ingresso nel mondo del lavoro, ha degli snodi fondamentali in cui i talenti femminili tendono a disperdersi. In particolare, un calo significativo della percentuale di donne nei corsi STEM si verifica in due momenti: durante la transizione dall’istruzione primaria e secondaria all’università, quando la percentuale scende di 18 punti percentuali, e durante la transizione dall’università alla forza lavoro, quando scende di altri 15 punti.

Per quanto riguarda poi il mondo del lavoro, il 37% delle persone che lavorano nella tecnologia europea e nelle aziende adiacenti alla tecnologia sono donne, con la quota più alta in società di social networking (50%) e attività di e-commerce (46%), mentre il tasso di donne che svolgono professioni legate alle tecnologie, come sviluppatori e ingegneri dei dati, è molto più basso (22%).

Sempre secondo i dati McKinsey, il problema è destinato a peggiorare: il tasso di ingresso delle donne nelle discipline STEM durante l’istruzione superiore è in calo. Inoltre, la quota di donne nella forza lavoro è più bassa nei ruoli tecnologici che stanno crescendo più rapidamente, come DevOps e cloud. Ai ritmi attuali, la quota di donne che svolgono professioni tech in Europa è destinata ad arrivare al 21% entro il 2027.

Quattro proposte per risolvere il gap

Il report individua 4 interventi chiave che potrebbero contribuire a risolvere questo gap, portando la quota di donne nel totale dei ruoli tech in Europa fino a circa il 45% entro il 2027. Anzitutto, occorre puntare il faro sulla possibilità delle donne del settore tecnologico di affermarsi sul lavoro. Secondo l’analisi condotta da McKinsey il numero di donne che ricoprono ruoli nel settore tech potrebbe aumentare di 480.000 persone, fino a raggiungere il milione, se le aziende, e gli uomini in posizioni di influenza, fornissero alle donne il supporto necessario per crescere e affermarsi. Le aziende dovrebbero iniziare con un piano completo che affronti attivamente i punti dolenti e le esigenze delle donne: circa il 70% delle donne nel settore tecnologico, infatti, sente di dover lavorare di più e di dover dimostrare il proprio valore a causa del proprio sesso.

Anche migliorare la flessibilità sul lavoro può avere un impatto posito: circa il 7% delle donne europee (contro lo 0,5% degli uomini) è fuori dal mondo del lavoro a causa delle responsabilità di caregiving, e questo come sappiamo è un problema trasversale a tutti i settori lavorativi. Quasi una donna su quattro cita la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata come una delle ragioni principali per cui ha abbandonato la carriera nel settore tecnologico, un settore che forse più di altri dovrebbe sentire la responsabilità di farsi trainante nell’elaborare strategie per offrire programmi di lavoro a distanza o ibridi, orari di lavoro flessibili e assistenza all’infanzia in loco.

In secondo luogo, non bisogna sottovalutare il dato secondo cui oltre la metà delle donne che lavorano nel settore tecnologico lo abbandonano a metà carriera, più del doppio degli uomini. Il risultato è che molte meno donne raggiungono ruoli di leadership. Migliorando la fidelizzazione delle donne, le aziende europee potrebbero aumentare la loro presenza nel settore tecnologico da 370.000 a 440.000 persone.

Oltre ad analizzare le motivazioni dietro a questo abbandono, occorre assicurarsi che le donne abbiano accesso a ruoli tecnologici rilevanti. Sono ancora di più le donne che lavorano nei ruoli tecnologici che subiscono un rapido declino, come amministratori di sistema e analisti programmatori, piuttosto che quelle assunte e formate per ricoprire quei ruoli che stanno acquisendo importanza nel mercato e nella società, come i responsabili di prodotto, gli ingegneri dell’apprendimento automatico e gli esperti di intelligenza artificiale.

Un potenziale da sbloccare

Secondo le direttrici di intervento indicate da McKinsey, il potenziale che può essere sbloccato con la ridistribuzione dei ruoli proviene da due gruppi. Considerando che le competenze tecnologiche più richieste sono i linguaggi SQL e Python (due particolari linguaggi di programmazione), il primo gruppo è costituito dalle donne europee che possiedono queste competenze ma lavorano in ruoli non tecnologici (270.000-850.000 donne), il 39% delle quali ha una formazione STEM e il 3% no. Il secondo gruppo è composto da donne europee con competenze tecnologiche attigue a quelle più richieste (ad esempio C++, Java e Linux) che permettono loro di avere già le basi per imparare Python.

L’ultima delle proposte avanzate da McKinsey, si propone di potenziare la partecipazione alle materie STEM all’università. Considerando gli attuali tassi di abbandono nei corsi di laurea, anche se i Paesi europei riuscissero ad aumentare dell’1% il numero di ragazze che si iscrivono ai corsi universitari STEM (circa 300.000 donne), questo porterebbe solo a circa 15.000 donne in più che intraprendono ruoli tecnologici fino al 2027. L’offerta di programmi di sostegno alle donne che già frequentano corsi universitari STEM può invece avere un impatto maggiore. Iniziative come offrire maggiori e migliori opportunità di tirocinio, fornire mentoring e coaching alle donne che si preparano a entrare nel mondo del lavoro, può aiutare ad aumentare i tassi di laurea delle donne nelle STEM e aumentare il loro numero complessivo nel settore tecnologico di circa 225.000-695.000 persone.

Rimodulare, trattenere, ridistribuire, potenziare: la proposta strategica di McKinsey si inserisce in un contesto di allarme che periodicamente ci ricorda la necessità di un intervento. Siamo ancora lontani dallo smettere di considerare le donne nei settori tecnologici come dei panda in via d’estinzione, perciò resta necessario sensibilizzare le aziende (ma anche le istituzioni) con periodici report in cui cercare risposte.

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