La generazione che preferisce le dimissioni alla vita da ufficio

No, il mondo oggi non è più definito da un posto di lavoro, né da un luogo di lavoro. E non si tratta di essere nomadi digitali o ribelli anticonformisti. Ha piuttosto a che fare con la ricerca di una nuova sostenibilità e con il desiderio, fortissimo, di diventare esseri umani migliori.

Lo confermano i dati: secondo il Global Human Capital Trends Report 2023 di Deloitte, che ha intervistato oltre 10.000 leader HR in 105 paesi, il 64% delle persone nel mondo sarebbe pronto a dimettersi nel caso in cui l’azienda chiedesse un rientro full-time in ufficio, uno su tre lascerebbe il proprio lavoro anche in assenza di un’altra offerta e due persone su cinque hanno già rifiutato un lavoro perché non in linea con i loro valori.

«Sono un manager, da diversi anni, di una multinazionale americana con sede a Milano. Con il Covid, abbiamo iniziato a lavorare in smart working, cosa che mi ha permesso di tornare a casa, in Liguria. Non passo più ore nel traffico o in metropolitana e mentre lavoro guardo il mare. Se mi dovessero richiamare in azienda, rassegnerei le dimissioni in maniera immediata» racconta Pietro, assicurando che la sua è un’opinione diffusa in azienda.

«Ho accettato un lavoro con l’illusione di una flessibilità che non è mai arrivata. Mi era stato detto che avrei potuto gestire il mio tempo liberamente, in accordo con il team, ma così non è stato. Mi sono ritrovata a dover viaggiare costantemente, tra casa mia, a Bologna, e la sede aziendale, Milano, con ritmi esasperanti che mi hanno portata quasi al burnout. Se avessi affittato casa in città, del mio stipendio non sarebbe rimasto nulla. Così, mi sono licenziata ancora prima che terminasse il periodo di prova» conferma Laura, project manager per una società di consulenza.

Cerchiamo aziende sostenibili

Qualcosa di molto profondo sta accadendo. O, meglio, è già accaduto. Le grandi dimissioni sono solo la punta di un iceberg composto da lavoratori e lavoratrici stanchi, ma molto più consapevoli e determinati di un tempo. Un capitale umano a cui le aziende dovranno proporre nuove regole di ingaggio, con una visione più agile, inclusiva e sostenibile del lavoro. Sempre secondo Deloitte, infatti, oltre l’80% dei lavoratori italiani ritiene importante che la propria azienda si impegni concretamente in programmi e iniziative di sostenibilità. Ma a oggi, solo il 15% afferma di lavorare per un’organizzazione attiva su questo fronte.

La strada da fare è ancora lunga. E attenzione: quando parliamo di sostenibilità facciamo riferimento non solo all’aspetto ambientale, ma anche al capitale umano. Alle imprese oggi si chiede di liberare il potenziale degli individui, affinché si sentano davvero “parte del tutto”. Secondo il sondaggio, 6 persone su 10 sarebbero più interessate a rimanere in un’azienda che crea valore non solo per gli azionisti, ma anche per i lavoratori, in quanto esseri umani, e per la società in generale.

Questo avviene ridefinendo il modo stesso in cui intendiamo il “luogo” di lavoro. Le organizzazioni dovranno sfidare i confini tradizionali e progettare ambienti fisici, digitali o ibridi che si adattino alle diverse esigenze lavorative, rispettando le preferenze delle persone che oggi chiedono di poter decidere come, quando e dove svolgere il proprio lavoro. Un cambiamento che dovrà essere accompagnato, chiaramente, da un avanzamento tecnologico, ma tra i rispondenti italiani al sondaggio, solo il 14% ritiene che la propria azienda sia pronta a questa evoluzione.

La crescita, oltre i titoli

Non solo, altro grande cambiamento riguarda l’approccio alle skills: alle imprese si chiede di spostare il focus dai titoli dei candidati, alle competenze reali e trasversali. Ciò significa essere pronti a investire sulla crescita di ogni singola persona. Le aziende italiane che si stanno avvicinando a un modello di gestione della conoscenza skill-based, che valorizzano quindi lo spirito di coinvolgimento e la crescita in termini di competenze, indipendentemente dai ruoli ricoperti, risultano essere per il 62% più innovative e più agili.

Tutto ciò presuppone un approccio aperto, per accogliere i contributi di tutti, e la capacità di adattarsi in modo flessibile alle nuove esigenze di lavoro. Ma, sempre secondo l’indagine, solo il 14% delle organizzazioni italiane si sente pronta ad affrontare la maggiore influenza dei dipendenti nei contesti lavorativi. Le imprese – raccomanda il report – dovranno quindi dotarsi di un mindset ecosistemico che promuova l’apprendimento continuo e coltivi i rapporti con le persone affinché si sentano realmente coinvolte.

«Sarà indispensabile creare un impatto non solo per il business, ma anche per la società nel suo complesso – conferma Alessandro Ghilarducci, Human Capital Leader di Deloitte Italia -. Le aziende dovranno utilizzare un approccio sempre più basato su competenze, interessi e passioni dei lavoratori, andando oltre i confini tradizionali dei ruoli e massimizzando il contributo e la crescita di ciascuna persona».

Ma per far sì che tutto ciò sia possibile, serviranno leader con una nuova mentalità, capaci di sperimentare con curiosità e coltivare relazioni profonde con le persone. Utopia? Staremo a vedere. La prima risposta arriverà dai prossimi dati sulle dimissioni.

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