Farsi guidare dai pregiudizi, anche se inconsapevoli e in buona fede, nei processi di selezione può costare caro ad un’azienda. Fino al 50% dello stipendio del collaboratore inserito nel posto sbagliato – secondo un’analisi elaborata da Hunters Group – tra cessazione del rapporto e nuovo iter di ricerca, senza contare la bassa produttività e il rapporto con i colleghi. Ma come evitare gli unconscious bias nel recruiting? Un processo libero per esempio da stereotipi di genere potrebbe aumentare l’occupazione femminile?
Il cv anonimo
Il blind recruiting, cioè la presentazione del profilo di un candidato senza dati sensibili e senza elementi che influenzino il selezionatore rispetto ad una valutazione oggettiva delle sue competenze è ancora poco diffuso. Eppure ce ne sarebbe un grande bisogno: un recente studio pubblicato sulla Harvard Business Review ha messo in luce come ad oggi ci siano ancora bias molto radicati – sopratutto relativi a genere, etnia e provenienza sociale – all’interno delle aziende.
Recentemente Hunters Group ha elaborato un processo di recruiting – certificato e in linea con la ISO 30415 – che concentra l’attenzione proprio sull’aspetto più importante di un candidato: le competenze, il ruolo e il contesto nel quale verrebbe inserito. “Neutralizzando” i pregiudizi inconsapevoli che potrebbero compromettere l’iter di selezione: in fase di presentazione e screening delle candidature infatti il profilo non contiene dati sensibili. Niente nome, età, data e luogo di nascita, via tutte le informazioni riconducibili a sesso e anagrafe. Da qui si effettua un primo screening dei candidati realmente “al buio”, cioè senza la possibilità di guardare e sentire direttamente il candidato e farsi così influenzare da elementi che non siano unicamente competenze a cui unire, solo in un secondo tempo, attitudine e linguaggio.
Dove c’è merito, le quote non servono
“Nessuno – spiega Joelle Gallesi, managing director Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato – può dichiararsi immune da pregiudizi, spesso inconsapevoli: ci sentiamo più vicini, ad esempio, a coloro che hanno frequentato la nostra stessa università, vivono vicino a noi o hanno il nostro stesso hobby. È una cosa che potremmo considerare normale – viene chiamato similarity bias – ma che in realtà in fase di selezione può portare a commettere gravi errori di valutazione”.
Con i cv anonimi si potrebbero evitare per esempio domande inopportune, oltre che illegali, sugli impegni famigliari, che in base ad una ricerca EY ancora una donna su due si sente fare durante un colloquio . “Nel momento in cui – spiega ancora Joelle Gallesi – si applica un processo di selezione realmente inclusivo e oggettivo, l’intenzionalità nel proporre candidature appartenenti ad una o all’altra categoria non rappresentata decade al principio”.
Prendere in considerazione le competenze a prescindere dal genere – ma anche cittadinanza, titolo di studi, disabilità, orientamento sessuale o altro – significa sospendere il pre-giudizio e poter valutare l’unicità di ciascun candidato o candidata.
“Sospendere il giudizio”
Per fare questo è fondamentale che i recruiter o gli head hunter siano formati a riconoscere e neutralizzare i pregiudizi, quasi sempre inconsapevoli e spesso in buona fede, che ognuno di noi ha. E’ dimostrato infatti che può accadere che un recruiter decida di selezionare un determinato candidato non in base a fatti oggettivi, ma sulla base di preconcetti, senza neanche rendersene conto.
Il costo della selezione sbagliata
I costi di una selezione non riuscita sono organizzativi ed economici e possono arrivare a metà dello stipendio del candidato inserito al posto sbagliato. Qualche esempio? In base alle simulazioni di Hunters Group una risorsa junior con un’esperienza dai tre ai cinque anni inserita nell’area sales ma che non ha le competenze adeguate per il ruolo e non supera il periodo di prova può costare circa 44.000 euro, tra processi di selezione e inserimento. O ancora nell’area ICT l’errata assunzione di una figura professionale di medio livello (RAL indicativa: 50.000 €) costa all’azienda dai 10.000 € al mese in su, oltre alle spese sostenute.
Le sperimentazioni in Spagna
In Spagna nel 2017 è partita una sperimentazione supportata dall’allora Ministero della salute, dei servizi sociali e dell’uguaglianza in Spagna, Dolors Montserrat, coinvolgendo quasi 200 aziende private e nel tempo altri Paesi come Regno Unito, Germania, Francia e Paesi Bassi lo hanno adottato come prassi nei processi di inserimento nel mercato del lavoro. In Italia è una pratica ancora poco diffusa, ma potrebbe contribuire ad aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro.
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